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Hana-Bi - Fiori di fuoco Anno: 1997 Regista: Takeshi Kitano; Autore Recensione: Giampiero Frasca Provenienza: Giappone; Data inserimento nel database: 27-01-1998
HANA-BI, scritto e
diretto da Takeshi Kitano. Con Kitano "Beat" Takeshi, Kayoko
Kishimoto, Ren Osugi, Susumu Terajima, Tetsu Watanabe,
Hakuryu, Yasuei Yakushiji, Taro Itsumi, Kenichi Yajima,
Makoto Ashikawa, Yuko Daike. Giappone, 1997.
Si può anche non essere d'accordo, ma
indiscutibilmente il 54° Leone d'Oro del
Festival di Venezia è lui, Takeshi Kitano. Il
suo Hana-Bi ha sbaragliato la concorrenza di
avversari illustri del calibro di Zhang Yimou e Wayne
Wang, in virtù di un film compiuto, tenero,
struggente ed iperviolento al contempo. Kitano o lo si ama o
lo si odia, non succederà mai di uscire dalla sala
dopo un suo film ritrovandosi perplessi od incerti
sull'effetto di ciò che si è visto. Il regista
giapponese procede per antitesi marcate, il giusto mezzo
aristotelico pare non sfiorarlo neppure: lo si era visto nei
precedenti lavori, soprattutto in quel Sonatine che
il Fuoriorario ghezziano continua a
trasmettere senza alcuna soluzione di continuità. Lo
conferma in questa ultima pellicola, dove già nel
titolo vita e violenza si intrecciano indissolubilmente
intorno ai due ideogrammi Hana (letteralmente,
fiore) e Bi (fuoco), e nonostante la
sottotitolatura italiana alla pellicola indicasse
come traduzione il fuorviante "fuochi d'artificio".
Tenerezza commovente e imponente violenza iper-realista sono
il volano che dà energia ad una narrazione essenziale
e stilizzata, alimentata da dialoghi rarefatti che imprimono
maggior forza espressiva, di tenore quasi esplosivo verrebbe
da dire per restare in tema, ad immagini ritagliate con
grande sapienza registica. Storiella nemmeno troppo
complicata a livello d'azione: il poliziotto Nishi (lo
stesso Kitano) per rendere visita alla moglie malata
terminale, lascia l'incombenza di una missione ad un suo
collega che rimarrà gravemente ferito al punto di
dover passare il resto della vita su una sedia a rotelle,
abbandonato da moglie e figlia. Nishi abbandona la polizia,
è compromesso con la yakuza, organizza,
travestito da poliziotto, una rapina ad una banca i cui
proventi serviranno al triplice scopo di affrancarsi dal
legame debitorio con i mafiosi giapponesi ed aiutare l'amico
paraplegico e la moglie morente. Un po' Siegel, un po'
Tarantino, un po' anche Bud Spencer, Kitano ha dalla sua
l'originalità di ritrarre con la semplice immagine
personaggi a tutto tondo, dotati di una profondità
che nasce dai lunghi silenzi angoscianti, dalla grande
capacità di esprimere emozioni senza renderle palesi
con l'uso dell'evidenza dialogica, ritenuta ridondante,
forse addirittura inutile.
Il rosso intenso del sangue che scorre a fiotti si lega
dialetticamente ai colori tenui della malattia della moglie
e alle attese dell'amico immobilizzato, le scene di violenza
esasperata sono il contrappunto della delicatezza dei quadri
(dipinti nella realtà dallo stesso Kitano) prodotti
dallo sfortunato collega. Tutto concorre a comunicare come
si senta il bisogno di crearsi un proprio microcosmo di
affetti all'interno di un mondo corrotto e dedito
all'esagerato culto della violenza, funzionale ad un fine o
gratuita che sia.
Sicuramente uno dei verdetti più giusti che si
siano visti a Venezia negli ultimi anni.
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