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Ragazze - Career girls Anno: 1997 Regista: Mike Leigh; Autore Recensione: Adriano Boano Provenienza: UK; Data inserimento nel database: 27-01-1998
Ken Loach, interpellato al Festival
dei Popoli di Firenze sulla presunta affinità del
proprio cinema con quello di Mike Leigh, ha fatto rilevare
che si muovono su piani e linguaggi
differenti.
Infatti, quanto gli
universi di Loach sono rigorosi, tanto Ragazze (come già Segreti e bugie) è irritante per il suo voler
essere sopra le righe, noioso perché documenta una
situazione risaputa e nostalgica come la rievocazione della
gioventù, montata alternandola con la verifica delle
ingiurie del tempo su questa nuova razza di sconfitti, e
infine scandaloso per la sua misitificazione degli anni
'70.
Un atteggiamento
quest'ultimo che illumina l'intera poetica di Leigh, che
sembra voler indicare in quel periodo di globale messa in
discussione di ogni credo il germe della attuale assenza di
solidarietà, del grigiore intellettuale e della
bestia trionfante neoliberista. Quindi il rappresentante
immobiliare (già dileggiato simbolo di integrazione
in Trainspotting) diventa emblema dello scatafascio
di una intera generazione, la cui colpa fu quella di non
aver visto una qualunque soluzione - in positivo o in
negativo - alle proprie rivendicazioni e alle proposte
avanzate, che nel ricordo del regista, ma solo nel suo,
erano già vacue vent'anni fa.
Una notazione personale:
quella generazione fu la mia, fatta anche di irreconciliati
e non per questo ridotti alla demenza contemplativa del
proprio fallimento, come il personaggio ritrovato sugli
scalini della vecchia casa affittata dalle ragazze - allora
conviventi - e ormai disabitata. Fu una generazione senza
eroi, ma che ha vissuto sulla propria pelle esperienze di
convivenza come quelle malamente documentate nel film e che
si reggevano su tensioni, affetti, idee, scontri anche
ideologici, fermenti che nel lavoro di Leigh sono
inesistenti, soffocati dal bisogno di mostrare le radici del
vuoto dei '90s in quei rabbiosi anni, scanditi
dall'importanza della musica, incomprensibilmente
inesistente nella colonna sonora, una mancanza
immediatamente rilevabile per chiunque abbia vissuto quel
rutilante decennio di rivolta (e non di rivoluzione), di
adesioni totali a gusti e invenzioni artistiche, ma anche di
odii profondi, qui ridotti a moine e gag sulle
promiscuità sessuali (peraltro molto pudiche
nell'opera di Leigh)
Appare banale l'espediente
di usare lo stesso nome per le due donne, ma con una lieve
differenza (Hanna e Annie), allo scopo di sottolineare che
sono due aspetti di una stessa debole proposta di vita,
ormai rinsecchita nelle prospettive di lavoro (titolo
originale è Career girls, che non può non evocare i
Clash di Career
opportunities e lo
spauracchio di quella generazione che aborriva non solo il
servilismo del carrierista, ma il lavoro stesso) e che non
ascolta più, se non saltuariamente, i Cure (peraltro
involuti anch'essi), nonostante l'insicurezza non si
somatizzi più nell'eczema sul volto, quanto piuttosto
nello sguardo spento.
Altrettanto letterario,
sotto ogni punto di vista, è l'uso del testo di Emily
Brönte come oracolo vaticinante il futuro, plausibile
in quel contesto, ma insistito e senza alcuno sbocco
narrativo non fine a se stesso, mentre avrebbe potuto
costituire una buona sponda nel gioco di rimandi tra i due
tempi diegetici nei quali si dibatte stancamente
l'intreccio.
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