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Festen
Anno: 1998
Regista: Thomas Vinterberg;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Danimarca;
Data inserimento nel database: 16-12-1998


Festen

Festen

Festa in Famiglia

Soggetto e Sceneggiatura:
Thomas Vinterberg, Mogens Rukow
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Produzione: Nimbus Film ApS
Distribuzione: Zentropa Entertainments
Formato: 35 mm.
Provenienza: Danimarca
Anno: 1998


Zuppa d'aragosta, cosciotto di daino, dolce; tra l'una e l'altra portata "far scoppiare la bomba" della ribellione liberatoria: schematica e velleitaria ricetta per rinverdire la tradizione scandinava di lotte intestine alle famiglie ipocrite dei borghesi, accompagnate da turbe psichiche e perversioni; evidenziate dal fatto che si ribadisce più volte la malattia endemica, presente in tutti gli elementi della famiglia. Sgravando il film dall'illusione di originalità insufflata dalla pantomima tecnica, rimane un'attualizzazione del più vieto bergmanismo e alcuni echi edulcorati di Buñuel (L'angelo sterminatore senza la trappola della messa di ringraziamento, né la carica sovversiva del suo sarcasmo), del quale è blasfemo evocare anche solo il nome.

Per accentuare i legami con le istanze realiste Vintemberg considera conveniente aderire al Dogme 95: il decalogo impone l'astensione dalle luci artificiali, responsabili della grana della fotografia, grossa almeno quanto le "sottili" allusioni tagliate con l'accetta del manicheismo allegorico: l'afro-americano schierato con i ribelli e il tedesco, maestro di cerimonie, collega e alleato del padre-padrone, magnate delle acciaierie, il cui figlio nazistoide svolge il ruolo di gendarme, un esagitato fallocrate razzista.

Ma non mancano spunti pregevoli.


Kim commenta i fatti a cui assistiamo, dicendo "Questo bisogna tagliarlo" (riferendosi al cibo o alludendo ad uno spezzone?)

Egli sottolinea le opportune scelte di stile: ad esempio l'opzione tra due cartellini di diverso colore che racchiudono due possibili sviluppi del discorso (si riveleranno poi di identico tono: "Brindo a un uomo molto pulito che quando faceva il bagno ci stuprava", "Brindo all'uomo che ha ammazzato mia sorella") ci viene esplicitamente rivelato come un richiamo al sorteggio tra i due gemelli che il padre operava per decidere su chi sfogare le sue turpitudini.

La metafora più scoperta è quella di Kim, il cuoco: probabile allegoria del regista che controlla gli eventi attraverso microfoni e consiglia il protagonista, come si fa con gli attori. Si propone come segnale evidente per suggerire che si deve operare pure una lettura simbolica su vari livelli: non solo la lettura politica è autorizzata, ma anche un discorso metalinguistico, che si aggiunge allo studio del linguaggio evidenziato dalla coraggiosa sperimentazione operata (anche se dal punto di vista delle riprese "liberate" dall'uso disinibito della camera a mano, Brackage si spinse in abissi di visionarità qui soltanto lontanamente evocati).

Ben costruita anche la preparazione alla lettura della lettera della suicida, giocando sull'ambiguità delle parole del tedesco che invita al brindisi Helene, non sapendo di evocare Linda, la morta accusatrice del padre.



L'approccio all'indicibile detto: il tabù nominato.

Altro elemento di novità impressionante nel film è la freddezza con cui si pronunciano frasi atroci e definitive, che, al di là dell'orribile doppiaggio, lasciano immaginare un'accurata scelta registica di sorprendere con il distacco, che proviene dall'aver a lungo meditato la rivolta all'infamia del sistema di cui Helge, il padre, rappresenta l'indicibile, fino a quel momento, perversione.
Si innesca un meccanismo già troppo visto in tante opere che vogliono comunicare la coazione a ripetersi dei riti famigliari, tanto da stonare in un film per altri versi votato all'innovazione del linguaggio e che finisce per stemperare la forte impressione che lasciano le battute.
Tra le componenti meno dirompenti alligna la figura della madre, il cui catalogo di presentazione dei figli non poteva essere più scontato per toni, parole e tecnica di ripresa, ma forse anche questo è voluto, per accentuare le differenze con gli spunti innovativi sparpagliati nel film ed il suo tono formale contrasta con quello dei figli.

Non a caso in questa rimeditazione sul film ritornano radici verbali di "dire" (infamia, indicibile), perché la pronuncia di ciò che tutti sanno è il fulcro su cui troppo a lungo viene stiracchiato il plot che lentamente perde la spinta iniziale data dalla frenesia dei movimenti di macchina e del montaggio, adagiandosi nella voluta riproposta esasperante di situazioni uguali a se stesse (la storia dei sette mari del vecchissimo nonno rimbambito).

Colpiscono le parole di un figlio rivolto alla madre: "Voglio che tu muoia perché sei una bugiarda, puttana e voi tutti ipocriti!", o lo sconcerto derivato dal sentire pronunciare da un padre: "Non è mia la colpa se i miei figli sono privi di talento" e aggiunge, incalzato dal figlio maggiore Michael ("Vorrei sapere perché l'hai fatto", in relazione allo stupro ai danni suoi e della sorella suicida): "Non eravate buoni ad altro"; ed infine quasi una maledizione: "Sono stato imperdonabile, ma sarete sempre miei figli", come a dire che la tara non può essere cancellata.

Delirio tecnico

Gli accorgimenti tecnici adottati sono sorprendenti, perché dovrebbero accentuare la naturalezza della visione di un ipotetico spettatore-attore inserito nella situazione a cui sta assistendo.

Interessante al proposito la ripresa dal basso sull'auto di Michael che varca il cancello della villa padronale, dove la ripresa insegue l'auto con un arco di 180ª senza staccare, come un essere accovacciato che segue la traiettoria del veicolo.

L'effetto reale è quello di denunciare la presenza di una mdp, restituendo la ricostruzione della realtà di un filmino famigliare in super8 ... o in video, di cui rimane il sospetto che siano state gonfiate alcune riprese a dispetto del comandamento imperativo riguardo l'uso del 35 mm.

Ottiche assimilabili all'occhio umano, inquadrature con spallone, strette e ravvicinate, su corpi di cui si colgono infinitesimali e casuali dettagli di azioni già iniziate e abbandonate a metà per cogliere tracce e dettagli, che possono solleticare l'occhio.

la sgranatura a linee nel taxi di Nadiri, lanciato in sorpassi azzardati ripresi con bravura solo per ottenere un effetto spettacolare all'inizio del film, non sarà dovuta ad una telecamera?

Indubbiamente si tratta di un'operazione sul linguaggio nuova, ma non scevra da contraddizioni, forse volute, come appunto la costante incombenza del mezzo tecnico esasperata dalla ricerca di naturalezza dello sguardo da cui dipende una profusione di sciabolate e improvvise sfocature, come se fosse un occhio umano a diaframmare, però contemporaneamente si evitano le soggettive, perché non si vuole privilegiare nessuno degli attori, ma d'altro canto non si rinuncia all'effetto di un montaggio parallelo molto interessante.

Montaggio Parallelo.

Dopo i comportamenti da ragazzini, le barzellette da classico magnate tronfio che vuole chiacchierare con il figlio da parte di Helge, l'atmosfera sinistra e spettrale nella camera di Linda, la gemella suicida di Christian, in cui Helene ("Ho una strana sensazione sgradevole") scova la lettera, il metodo stringato di Vintemberg introduce allo scorrimento forsennato in parallelo di tre situazioni in camere diverse che convergono su un momento preciso.

Lo sforzo di mantenersi fedeli ai dogmi non può nulla contro il ritmo e la situazione che impone di racchiudere nelle contemporanee sequenze l'intero plot concentrato nell'urlo di Helene in questa ubiqua presenza della cinepresa alle prese con le tre situazioni.

la fine della caccia al tesoro e il ritrovamento della lettera suicida, tenuta nascosta fino al termine dello stillicidio e della festa,

la caduta sul sapone di Michael dopo la vertiginosa ricerca delle scarpe e l'epilogo violentemente sessuale con la moglie Mette,

l'uscita dal bagno della bella fanciulla innamorata di Christian, il quale dovrà liberarsi dei suoi fantasmi per accettare le sue avances alla conclusione del film.

Nonostante collimino perfettamente i dosaggi e i tempi adottati in ciascuna stanza inquadrata con la proposta di improbabili posizioni di ripresa, le inquadrature adottano alternanze millimetriche tra plongée (su Lars costretto a sdraiarsi nella vasca per una immedesimazione con la suicida e su Michael che scopa selvaggiamente la moglie) e dettagli (le frecce sui muri e gli asciugamani nella stanza di Christian) gradualmente vanno incrementando la velocità e la brevità degli spezzoni per accentuare l'impressione di sospensione data poi dall'interruzione sull'urlo di Helene; benché si indovini lo studio per ridurre gli scarti nella successione dei movimenti in modo che risultino più interrelati possibile e fluenti, pur nello spezzettamento;

l'uso di due angoli di ripresa per montare un'unica azione è innegabile e non si può dire che oltre ad usare questo espediente di riproduzione innaturale si rispetti la verosimiglianza della visione predicata dal dogma. Per fortuna: perché questo ci regala la sequenza più preziosa del film.

Viene il dubbio che il dogma sia un pretesto per spingere la sperimentazione di un nuovo linguaggio alle estreme conseguenze, ottenendo buoni risultati nelle acrobazie tecniche. Ma fatalmente il testo non regge l'intera esibizione del catalogo formale; probabilmente neanche agli officianti interessa più di tanto la fede nel decalogo, quanto la ricerca del sorprendente: un'impresa stimolante, se sostenuta dalla stessa carica sovversiva delle riprese e dei dialoghi anche nell'organizzazione delle situazioni