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La leggenda del pianista sull'oceano
Anno: 1998
Regista: Giuseppe Tornatore;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 29-10-1998


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La leggenda del pianista sull'oceano
Di Giuseppe Tornatore
Con Tim Roth, Pruitt Taylor Vince

"Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla".
E la storia di Max, ex trombettista, è buona davvero. Attraverso le sue parole saliamo su un transatlantico che non si chiama Titanic ma Virginian, che non affonderà, e dove non ci aspettano due adolescenti leziosi che si inseguono di corridoio in corridoio, ma Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, e la sua musica. E che musica! Tratto dal brevissimo ed intenso monologo di Baricco "Novecento", "La leggenda del pianista sull'oceano" è un incontro con un uomo straordinario. Un uomo nato e cresciuto su una nave a cavallo del secolo che sta per morire, dalla quale non riuscirà mai a scendere, un uomo dal talento incredibile, che vive con e per la sua musica, che vive della vita e delle esperienze degli altri, che fa della sua condizione di "diverso", di "alieno" il suo punto di forza, ma anche la sua rovina. Interpretato dal grandissimo Tim Roth (non saprei pensare ad un attore più adatto per questo ruolo), la cui bravura ed intensità ci fan davvero credere che venga quasi da un altro mondo (e chi ha visto "L'uomo che cadde sulla terra" può capire a cosa mi riferisco), il personaggio di Novecento ci pone di fronte ad una serie di inquietanti interrogativi: è l'intelligenza di Tornatore soprattutto che non ne fa un personaggio a tutto tondo, non ne fa un eroe immolato sull'altare dell'arte o della "straordinarietà" (opposta alla mediocrità così umana e così riconoscibile - e quindi più comprensibile - di Max), bensì un uomo pieno di problemi e di paure, incapace di vivere una vita propria, incapace di concepire un mondo che possa non avere confini, che possa non avere "una fine", un mondo dove in fondo non sarebbe altro che uno tra i tanti. Novecento va fino in fondo al suo destino e muore sulla sua nave, ma siamo sicuri che è questa la scelta più coraggiosa? Quanto più gli sarebbe costato scendere quella interminabile scaletta ("non è stato ciò che ho visto a farmi desistere, ma ciò che non ho visto... la città non ha una fine... mi chiedo come fate voi a vivere lì e a riuscere a scegliere una strada tra le infinite strade che avete a disposizione... qui, tutto ha una fine, tutto è compreso tra la poppa e la prua", dice Novecento a Max in uno dei dialoghi più intensi del film), quanto coraggio gli ci sarebbe voluto per abbandonare quel microcosmo dentro il quale era un eroe?
Alla fine del suo racconto, a Max resta una leggenda, un nome, un vecchio disco spezzato e ricomposto. E una vita da vivere, col coraggio di chi sa accettare la propria mediocrità. A noi restano le immagini bellissime di Tornatore (l'America negli occhi degli emigrati, la speranza palpabile di chi decideva di abbandonare tutto e tutti per crearsi una nuova vita in un nuovo mondo), la voce del mare che Novecento non ha mai potuto sentire e mai ha avuto il coraggio di sentire, e la musica... quella stessa che permetteva a Novecento di entrare nella vita delle persone che incrociava, quella stessa che associeremo nei nostri ricordi a quello che è senza ombra di dubbio il più bel film italiano di quest'anno (e fors'anche degli ultimi anni).