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Kiss or Kill Anno: 1997 Regista: Bill Bennett; Autore Recensione: Giampiero Frasca Provenienza: Australia; Data inserimento nel database: 07-05-1998
Chi sono Nikki ed Al, i due amanti che fuggono sulle strade immensamente desolate dell’Australia alla ricerca della libertà dalle convenzioni e da quella prigionia apparentemente assicurata
« Noi guardiamo le ombre
che si baciano o sparano» (D. Thomas)
KISS OR KILL: THE ULTIMATE ROMANTIC
GETAWAY
Kiss or Kill
Tit. or.: id. Regia: Bill Bennett.
Sceneggiatura: Bill Bennett. Fotografia:
Malcolm McCulloch. Scenografia:
Andrew Plumer. Montaggio:
Henry Dangar. Prodotto da: Bill
Bennett, Jennifer Cluff. Cast:
Matt Day (Al), Frances O'Connor
(Nikki), Chris Haywood
(Hummer), Barry Otto (Adler
Jones), Andrew S. Gilbert (Crean),
Barry Langrishe (Zipper Doyle),
Max Cullen (Stan).
Produzione: Bill Bennett Productions. Australia,
1997. Durata: 1h e 33'.
Chi sono Nikki ed Al, i due amanti che fuggono sulle strade immensamente
desolate dell'Australia alla ricerca della libertà dalle
convenzioni e da quella prigionia apparentemente assicurata? Lei
è mentalmente disturbata da quando, piccolissima, ha assistito
all'omicidio della propria madre, cosparsa di benzina ed incendiata
davanti ai suoi occhi ancora innocenti; lui, rampollo di una famiglia
bene che lo ha ripudiato a causa della sua condotta disdicevole,
insofferente a qualunque obbligo, compie piccoli furti e truffe
da quando aveva tredici anni. Si sono trovati ed hanno scoperto
di combaciare perfettamente tra loro come l'ombra con una sagoma
qualunque, così come recitano i versi di Dylan Thomas in
apertura di pellicola ("noi guardiamo le ombre che si baciano
o sparano", kiss or kill appunto). Affinità
elettive. Ma non solo all'interno della coppia. Il legame con
molto del road-movie precedente è fin troppo evidente:
Nikki ed Al sono solo gli ultimi arrivati (forse per la lunga
distanza che ci separa dall'Oceania) di una lunga teoria di coppie
fatali che lasciano sul loro avventuroso cammino sconquassi, morte,
distruzione, dolore ed aneliti di libertà. Primi, alla
mente, vengono Mickey e Mallory Knox di Assassini nati
(di Oliver Stone, 1994), disturba(n)ti quanti altri mai, distruttori
ben oltre la semplice iconoclastia, impietosi e feroci omicidi
per dovere di sceneggiatura; ma anche la coppia formata da Brad
Pitt e Juliette Lewis in Kalifornia (di Dominic Sena, 1993),
serial- killers sconfitti da una cultura restauratrice
che osserva quasi spiando l'amoralità nel tentativo di
perpetuare l'ordine esistente. Personaggi che a loro volta avevano
genitori archetipici in Holly e Kit Carruthers (che a loro volta
rispecchiavano la coppia Starweather-Fugate, protagonista di un
reale fatto di cronaca americana) de La rabbia giovane
(di Terrence Malick, 1973), ribelli distaccati alla ricerca di
miti a cui appellarsi, e in Clovis e Lou Jean (Sugarland Express,
di Steven Spielberg, 1974), rivoltosi contro il Sistema per necessità
di sangue. Modelli e riferimenti che si addentrano nelle viscere
della storia del cinema: coppie alla Bonnie and Clyde (si
pensi a Gangster Story di Arthur Penn, 1967) che si rispecchiano
una nell'altra fino a giungere al 1938 con i due fuggitivi interpretati
da Henry Fonda e Sylvia Sidney (in Sono innocente, di Fritz
Lang), in fuga nella speranza di dimostrare la propria innocenza
in mezzo all'oppressione delle regole di una società inumana.
Un gioco di specchi in cui il film scritto e diretto da Bill Bennett
giunge ultimo con la speranza di dire qualcosa di nuovo. Bennett
cerca di rompere linguisticamente con il passato frammentando
esasperatamente la sua messa in scena, bilanciando l'euforia dei
personaggi alla ricerca della libertà con un montaggio
che il più delle volte pare forzatamente ellittico solo
nel tentativo di snellire (ad uso e consumo degli abituali fruitori
di videoclip) e personalizzare la narrazione. Qualche idea buona
nel corso della pellicola pare farsi largo, soprattutto a livello
di sceneggiatura: la scelta di permeare l'intera storia di un'aura
di ambiguità che viene rafforzata grazie all'utilizzo di
ellissi, che cancellano intere porzioni di tempo determinanti
a livello cognitivo (le uccisioni non vengono mai mostrate allo
spettatore), ed al rigido uso della focalizzazione esterna
rispetto ai due protagonisti, che lascia di fatto nel dubbio riguardo
alle vere responsabilità dei violenti atti. Anche l'acuta
disseminazione di false piste che portano allo spiazzamento del
pubblico concorrono a creare una torbida atmosfera di mistero
ed incertezza. Peccato che troppa indeterminazione vada a scapito
della chiarezza di alcuni passaggi narrativi, che risultano confusi
e a volte gratuiti. Bennett ha però la colpa di pensare
che basti infarcire il film di jump-cut (ossia, sincopi
che spezzano la continuità narrativa all'interno di una
stessa inquadratura) per risultare originali. Purtroppo per lui,
niente di più sbagliato.
Giampiero Frasca
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