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Gesù Cristo: un'immagine cinematografica
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2.2 La ricotta (1963)

Stracci-Cristo-Cipriani viene inchiodato alla croce
Stracci-Cristo-Cipriani viene inchiodato alla croce

Il sacro è insomma dentro il profano e non lo rinnega.

2.2.1 Una storia travagliata.

La ricotta, in origine fu progettato per essere un lungometraggio. In seguito dovette far parte di un film a episodi dal titolo La vita è bella. Pasolini lo propose al produttore Roberto Amoruso, il quale non solo rifiutò, giudicandolo offensivo, ma chiese addirittura i danni. Infine, costituì parte del film RoGoPaG, il cui titolo comprende le iniziali dei registi Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti, ognuno autore di un episodio cinematografico; ma dopo il sequestro e i tagli censori venne rimesso in circolazione con il titolo di Laviamoci il cervello.

Sorprendono le reazioni all'uscita della pellicola: da un lato l'indifferenza lascia-passare della società cattolica, dall'altro l'accanimento persecutorio della società civile. La censura è infatti spietata: l'imputazione è di vilipendio alla religione di Stato, la pellicola verrà sequestrata e i dialoghi saranno aggiustati in almeno cinque punti e perfino la didascalia iniziale non rimarrà uguale. In essa Pasolini prevedeva le sicure critiche e la direzione dell'attacco censorio. Le parole originali della didascalia recitavano infatti così:

Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di fare credere che l'oggetto della mia polemica sono quella Storia e quei Testi di cui essi ipocritamente si ritengono difensori

La versione definitiva sarà epurata dalla verve accusatoria:

Non è difficile prevedere per questo mio racconto dei giudizi interessati, ambigui, scandalizzati

Rimarrà però pressochè inalterato il suo attestato di stima verso il valore letterario dei Vangeli.

Ebbene, io voglio qui dichiarare che, comunque si prenda La ricotta, la storia della Passione, che indirettamente La ricotta rievoca, è la più grande che io conosca, e i Testi che la raccontano i più sublimi che siano mai stati scritti

Le vicende giudiziarie furono lunghe e penose: ad una condanna di primo grado seguì l'assoluzione in appello e successivamente l'annullamento della sentenza, dopo che un'amnistia aveva cancellato il reato. Ma il dissequestro della versione originale del film fu ordinato soltanto nel 1968.

Per la società italiana degli anni sessanta, storicamente in bilico fra laicismo e clericalismo, a volte troppo propensa a difendere ciecamente quest'ultimo, le somiglianze fra un individuo rozzo e volgare, come il protagonista Stracci, e Gesù Cristo, non possono che essere interpretate come segni blasfematori e offensivi. In realtà l'autore, trattato come un pericoloso eretico e impune dissacratore, riserva i suoi strali più acuminati proprio a quella società, che stava completando il suo storico processo di imborghesimento. Essa è ben identificabile all'interno del film, con la troupe cinematografica, che è caricata di pesanti simbologie negative. Si trasforma ora in una grottesca parodia della società che ha crocefisso Cristo,

Siete peggio di quelli che giocavano ai dadi ai piedi della croce, voi!

urla la voce dalla regia, ora in quella dei nuovi scribi e farisei e ponzio pilato dell'Italia benpensante. E' incapace di cogliere il messaggio autentico del nuovo messia sottoproletario, Cristo-Stracci, che muore ancora una volta in croce, nell'indifferenza generale. L'attacco, sottilmente pianificato, non lascia dunque possibilità di equivoci.

Particolare del tableau-vivant del film La ricotta (1963)
Particolare del tableau-vivant del film La ricotta (1963)

2.2.2 Stracci-Cristo-Cipriani

Mario Cipriani interpreta il ruolo del povero Stracci, che è scritturato per fare la parte del ladrone buono, in un film sulla Passione di Cristo. Un regista-marxista dirige gli attori su un prato della periferia romana: è Orson Welles.

I piani della rappresentazione sono numerosi e, se a prima vista, questo mediometraggio di soli trentacinque minuti, può sembrare quasi un divertissement d'autore, ad una prima analisi, invece, risulta ben evidente la sua curiosa e intricata architettura. Si intrecciano infatti, più livelli di finzione: quella di Mario Cipriani, il Balilla di Accattone e uno dei coatti di Mamma Roma, che interpreta la parte del sottoproletario Stracci; quella di Stracci che interpreta il ladrone buono, che dovrà essere crocefisso di fianco a Gesù Cristo; e quello degli attori della troupe, che in un film nel film, fanno la parte delle figure di un celebre dipinto. Ma l'espediente della finzione nella finzione è scavalcato, e il gioco delle parti si rompe, perchè sarà proprio lo stesso Stracci a fare la parte di Gesù, ripercorrendo grottescamente e disordinatamente alcune tappe della Via Crucis: tra l'indifferenza dei presenti, farà la sua ultima fatale cena, prima di morire schernito in croce.

Pasolini si serve di uno dei simboli del cristianesimo, la passione di Cristo, per rappresentare, attraverso l'immoralità della troupe di quel set cinematografico, il vero Cristo: Stracci. Stracci ha una duplice funzione: rappresenta il sottoproletario sacrificato al vuoto borghese, e rappresenta l'incarnazione reale e contemporanea del Cristo. Stracci viene sacrificato, condannato a morte dalla ferocia di un mondo gretto e teso al consumo a tutti i costi.

Stracci-Cristo-Cipriani: questo nuovo messia pasoliniano non è, però, destinato alla resurrezione; a risorgere dovrà essere l'intero sottoproletariato, che abita i palazzoni dei sobborghi di periferia, ben visibili sullo sfondo del film, l'umile umanità da questo suo cinema e dai suoi personaggi riscattata e, in qualche modo, redenta. L'utopia pasoliniana ha qui la sua essenza.

Ma c'è nel film anche il Gesù Cristo storico e tradizionale: è quello con i capelli lunghi biondi, che appare nei tableaux vivants (vedi figg. 2.3-2.5), appena tratteggiato, in evidenza con un primo piano, lieve e non rilevante nella sua morbida forma visiva. Stracci rappresenta, dunque, il nuovo Cristo, anche fisicamente. La sua fisionomia di borgataro si oppone con fermezza a quella del "solito" Cristo, che è immagine piacente, tramandata e alterata, per lo più, da opere di commissione di generazioni di pittori ossequiosi. I tratti fisionomici di Stracci, lo rendono come una macchia in un dipinto; il suo corpo si fa veicolo del suo messaggio, che non è di consolazione, ma di aggressione. Così come consolare non è lo scopo della parola di Cristo, dirà nel 1971 Pasolini a Enzo Biagi nel corso della trasmissione televisiva III B, Facciamo l'appello. E aggredire è quello che fa (e farà con Il Vangelo) Pasolini con secoli di tradizione iconografica del Cristo.

Egli realizza così, forse ne La ricotta più che altrove, il suo Vangelo anti-borghese e marxista.

La Deposizione di Cristo (1521) di Rosso Fiorentino, Volterra, Pinacoteca Civica
La Deposizione di Cristo (1521) di Rosso Fiorentino, Volterra, Pinacoteca Civica

2.2.3 Un Cristo morto di fame

Stracci-Cristo-Cipriani, dopo la keatoniana corsa alla ricotta, si ripara in una grotta e si appresta finalmente al sospirato pasto. Egli scarta la ricotta avvolta nelle carte dei giornali, quando un megafono (inquadrato al centro di un banchetto ricco di ogni ben di Dio) lo richiama al dovere di ladrone buono.

Ecchime. Da', forza schiavi, inchiodateme!

Un' inquadratura in campo medio ci mostra le tre croci appoggiate a terra e Stracci-Cristo-Cipriani che si spoglia in fretta per prendere posto su una di esse. Subito un gruppo di componenti della troupe si affretta a "inchiodarlo" (vedi fig 2.1). Essi incominciano a dileggiarlo, chiedendogli se è riuscito a mangiare, poi un personaggio con un cappello si fa avanti e, dopo averlo scartato, gli avvicina un panino alla bocca, per poi ritirarlo e addentarlo egli stesso. Si avvicina un altro, che gli porge una bottiglietta con dell'aranciata, ma anche questa volta viene ritirata in fretta e bevuta a grandi sorsate davanti ai suoi occhi.

A Natalina, senti: viè qua!

E' l'invito allo strip-tease. Natalina inscena lo spogliarello, messo su per prendersi beffa di lui, ai piedi della croce. Due primi piani di Stracci-Cristo-Cipriani crocefisso, che alza la testa e guarda il grottesco spettacolino, finchè, esausto, la fa ricadere all'indietro sulla base di legno della croce, si alternano alle immagini della truppa festante. E' questa un'inquadratura dal taglio particolare, che Pasolini ripeterà più volte e che sembra voler riproporre il punto di vista di chi è ai piedi della croce.

Ettore morente, costretto su un letto di prigionia (vedi fig 2.7), Accattone morente, caduto sul selciato, ora Stracci, crocefisso in orizzontale (vedi fig 2.1): gli "ultimi" dei suoi film sono fisicamente schiacciati a terra e la macchina da presa prova a conferire loro l'onore di un punto di vista solenne.

Portate su le croci!

: è il nuovo ordine della regia. La processione si avvia lentamente al "Calvario", dove i tre crocefissi vengono depositati.

Dopo il campo lungo che ha ripreso la salita, l'autore insiste con le inquadrature ravvicinate di Stracci-Cristo-Cipriani, in croce, a terra, ripreso leggermente dall'alto, di taglio. Egli singhiozza. In controcampo una zoomata all'indietro a partire dal volto della sfacciataggine di Laura Betti, inquadrata sotto un tavolo ricco di vivande e affiancata da due angeli. Accompagnata da Ettore Garofolo (l'Ettore martire di Mamma Roma) si presenta dal regista Welles e minaccia:

Si può sapere che scena prepari? Senti un po', darling, o giri me o me la batto. Mi pare giusto.

Un nuovo ordine parte così dalla regia:

Fare l'altra scena!

Ma la dicitura della sceneggiatura originale era diversa e recitava:

Via i crocefissi

Fu uno degli aggiustamenti apportati dalla censura. In ogni caso le croci vengono portate via.

Lasciateli inchiodati!

: le beffe per Stracci-Cristo-Cipriani si sommano.

Di nuovo l'inquadratura ai piedi della croce.

C'ho fame, ch'ho fame, mannaggia, mo' bestemmio

i suoi pensieri, non vanno all'aldilà, e invece di un "Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno", una sola cosa lo preoccupa e assorbe tutte le sue energie, il pensiero forse più materiale per eccellenza: la fame.

Il dialogo del ladrone buono con Cristo in croce finisce con l'amara presa coscienza della sua vocazione:

C'è chi nasce co 'na vocazione e chi co n'altra. Io sarò nato con la vocazione di morirme de fame.

Particolare dell'inquadratura di Ettore morente, in Mamma RomaParticolare del Cristo morto (1480?) di Andrea Mantegna, Pinacoteca di Brera, Milano
Particolare dell'inquadratura di Ettore morente, in Mamma Roma
Particolare del Cristo morto (1480?) di Andrea Mantegna, Pinacoteca di Brera, Milano

2.2.4 Le citazioni illustri

Pasolini prima che regista fu pittore, e di una certa rilevanza. Le modalità di composizione dell'immagine cinematografica pasoliniana sono fortemente debitrici dell'origine e della dichiarata vocazione pittorica dell'autore.

Il mio gusto cinematografico, non è di origine cinematografica, ma figurativa [...] E non riesco a concepire immagini, paesaggi composizione di figura, al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica [...] Quindi quando le immagini sono in movimento, sono in movimento un po' come se l'obbiettivo si muovesse su loro come sopra un quadro.

Ma si può notare anche una forte volontà di commistione fra i due mondi generatori d'immagini: il suo cinema, non solo non dimentica e non ignora la pittura come arte figurativa prima, ma la cita e la richiama, tenta addirittura di inglobarla. Particolare interesse suscita ne La ricotta il tentativo di riproposizione di due opere del manierismo toscano: la Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino (1521) e la Deposizione di Pontormo (1526-1528). La ricostituzione delle figure dei dipinti avviene tramite dei tableaux vivants, ossia delle vere e proprie messe in scena di un'opera pittorica, perfettamente inserite all'interno della diegesi, ma dotate anche di una sorta di indipendenza episodica. Le citazioni vengono sottolineate dall'uso, attento e preciso nel confronto con gli originali, del colore: vengono così, in qualche modo isolate, dal resto del film che è in bianco e nero. Il tableau vivant è attuazione di quel "ricostruire, ripensare, reinventare" che si può indicare come costitutivo e costante del processo creativo del poeta. E' la riproposizione della genesi di un'opera, che in un'altra chiave, in un altro contesto, ma soprattutto con un altro mezzo, viene fatta rivivere. Le finzioni nella finzione si sommano e l'inquadratura si fa dipinto, è dipinto essa stessa; e così il cinema assimila la pittura, la ingloba dentro di sé. Ma questo inquietante tentativo di suprema unione delle arti è guastato dalla sciocchezza degli attori e dalla loro distrazione. O forse da essa reso ancora più sublime.

Il tentativo è per certi versi paragonabile alla riproposizione buñueliana de L'Ultima Cena riproposta da Buñuel in Viridiana (ma l'autore spagnolo aveva fissato il "quadro" fermando il tempo) e si deve rilevare la giusta preoccupazione figurativa di questi due autori di rendere omaggio a chi prima di loro ha "visto" e proposto le grandi scene della vita del Cristo.

Altre illustri citazioni pittoriche avevano segnato i primi lavori di Pasolini. Ettore, il figlio di Mamma Roma, nel finale dell'omonimo film è martire sul letto del reparto psichiatrico del carcere, dove è stato rinchiuso per un furtarello in un ospedale. L'inquadratura è una citazione del Cristo morto (datato intorno al 1480) di Andrea Mantegna, effetto suscitato dalla più che cinematografica soluzione estetica della trasformazione del letto di contenzione in una vera e propria scena di crocifissione, attraverso un reiterato movimento di macchina che parte dal volto del ragazzo e termina ai suoi piedi. Nel dipinto del Mantegna la figura del corpo del Cristo è distesa sulla pietra dell'unzione ed è affiancata da quelle della Madonna e di San Giovanni Evangelista. Il quadro è celebre soprattutto per l'audace soluzione del punto di vista. Esso è scorciato, ai piedi del Cristo, dall'alto verso il basso, dando l'impressione di voler trasportare lo spettatore ai piedi di un'invisibile croce.

Si può notare che, tanto sono umili i personaggi dei suoi film, tanto sono nobili le citazioni e richiami all'arte. Nel finale del suo primo film Accattone, il protagonista interpretato da Franco Citti, viene colto durante il furto di alcuni salami dalla polizia: fugge, rubando una motocicletta, ma un incidente stradale lo uccide dopo poco. Accattone è al suo ultimo respiro, sul selciato, mentre il regista gli tributa una morte onorevole: la Passione secondo San Matteo di Bach è la colonna sonora della sua liberatoria fine.

L'aperta provocazione di utilizzare uno dei capisaldi della tradizione musicale religiosa, La Passione Secondo San Matteo di Bach, come leitmotiv per le gesta disperate dell'Accattone senza Dio, a enfatizzarne la condizione di povero Cristo che porta su di sè i peccati di tutto un mondo senza neppure il beneficio religioso della redenzione.

Accattone, Ettore e Stracci: il Gesù di Pasolini non ha nobili origini, si muove fra questi disperati e si differenzia chiaramente da quelli della tradizione storico-pittorica.

Ciò che all'epoca spingeva Pasolini a dipingere l'epos del sottoproletariato romano era l'utopia, di origine marxiana, del supporre in chi fosse intatto dalla logica dominante il germe di una storia futura, di là da venire, basata sui valori di una spontaneità anche vicina a quella predicata da Cristo nel Vangelo.

C'è dunque un legame abbastanza evidente che avvicina i personaggi dei primi tre film di Pasolini, che vanno a costituire una sorta di "trilogia del sottoproletariato", a Gesù Cristo. Si può dire che si intravedono già in modo netto quelli che saranno i presupposti ideologici de Il Vangelo Secondo Matteo, o forse, meglio, che nel Vangelo si muove quello che era stato il primo vero Cristo pasoliniano: Stracci.


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