Come si è.
Jane è diversa. É il personaggio più interessante e strano del film. Lei non si sforza mai, neanche per un momento, di apparire ciò che non è. Non le importa sembrare più bella, indossa abiti che mortificano le sue forme. Cerca di andare oltre, ma il pericolo è sempre in agguato: quello di diventare come sua madre.

Come si vorrebbe essere.
Spiare le vite altrui spesso è il primo sintomo di una profonda insoddisfazione verso la propria. Strano, ma Ricky ricorda il Frank dell'ultimo Scorsese: sospeso in mezzo alle vite degli altri.

Come si diventa.
Il film sconta un finale pessimo, moralista e sdolcinato, inutile e francamente imbarazzante. Peccato, ma quanto basta per non poter gridare al capolavoro.
Non so se e' davvero la migliore interpretazione di Spacey. Certo e' un ruolo molto diverso da quelli cui ci ha abituati. Ma la Bening gli e' sopra, per tutto il film, di una spanna. Peccato sapere che (almeno per il momento) ha deciso di ritirarsi per dedicarsi alla famiglia. Evidentemente la sua, quella vera, merita.

Come si appare.
Si può riuscire ad essere dissacranti senza essere volgari? A demolire quell'aria di bon ton che sembra avvolgere tutta intera un certo tipo di provincia in modo intelligente e raffinato? A vedere questo osannatissimo (forse anche troppo) film, si direbbe proprio di sì. Per scomporre minuziosamente si parte dalla cellula, la famiglia, ma attenzione, perché non è "la famiglia" che sembra stare davvero a cuore al regista, bensì il cittadino medio benestante americano, lanciato verso il successo, attentissimo all'immagine che restituisce di sé al mondo esterno, vero e proprio manager di sé stesso. Sapersi "vendere", questa sembra essere la filosofia vincente. E il denaro, una bella casa, una bella macchina, un bel giardino, delle belle rose.
Peccato che sotto la superficie nulla vada come dovrebbe. Lester lo sa, si ribella, e paga con la vita. Forse per lui era troppo tardi. Forse. Magari non lo è per Angela. Ma sicuramente lo è per Caroline.

Fede

Non per smorzare gli entusiasmi, ma l'analisi "contenutistica" di American Beauty, ancorché feconda di risvolti assolutamente interessanti (tipo quello perché è impotente, quell'altro perché è omosessuale) potrebbe pregiudicare l'analisi testuale. Padroni di affrontare certi argomenti ma al di là del testo.
[Questo secondo me è un errore. Oddio, poi ognuno analizza il film come meglio crede per carità, ma il contenuto è parte integrante del testo esattamente come lo stile scelto per rappresentarlo. E del resto le tue osservazioni (che in buona parte condivido) lo confermano.
Federica]
Come ho già suggerito se ci si concentra sulla costruzione delle inquadrature e delle sequenze potremo facilmente accorgerci che il film ha una razionalità esemplare, una forma di pensiero che unisce perfettamente il sacchetto di plastica con i corpi viventi. Infatti le opposizioni fisico dinamiche dei sistemi relativamente chiusi confluiscono nel Tutto Aperto.
La differenza tra organico ed inorganico non esiste, c'è solo materia in continuo divenire. Soltanto il punto di vista dell'uomo tenta di configurare delle parti che chiama organiche, esseri viventi. Tutto ciò può essere molto triste per qualcuno, però spiega benissimo la bellezza dell'inorganico, del sacchetto di plastica.

Andrea

Effettivamente per me è molto triste l'idea che sia "razionalità esemplare" quel pensiero (?) capace di tale GROSSOLANA NEGAZIONE del reale da non distinguere più l'umano dal non umano. Per me tra un sacchetto di plastica e un essere umano c'è una differenza abissale e piuttosto evidente. Ma mi rendo conto che il tutto può destare inquietudini fastidiose. Il cinema, del resto, mi interessa proprio in quanto espressione dell'essere umano (che sia il solo regista/autore, che sia la mega macchina produttiva: io credo proprio che Kubrick sia esistito, comunque). Che poi l'essere umano sia in grado di raggiungere livelli di negazione tale – attraverso la sua razionalità esemplare, inscindibilmente legata a un'idea religiosa – fa parte del dramma dell'uomo e della solita, dura battaglia che i Giordano Bruno di tutti i secoli hanno sempre combattuto contro razionalisti e religiosi, eternamente a braccetto, spesso protetti da intellettuali generosi di analisi testuali pur di non dire mai delle cose umane.
Giordano Bruno sosteneva che la possibilità di conoscenza fosse legata alla capacità di nutrire affetti, e che quello fosse anche lo specifico umano. Per dare nomi alle cose (come "omosessualità", "impotenza" e soprattutto come "immagine" invisibile o visibile che sia, ma insomma, la materia del cinema) occorre in effetti l'idea che il movimento di un soggetto umano sia ben più profondo e cangiante di quello di un sacchetto di plastica. All'uomo che piange, che muore, che guarda, la bellezza la si può regalare o togliere in base all'"affetto" di cui è capace lo spettatore e, prima di lui, il regista. Il sacchetto di plastica ha una bellezza di certo più rassicurante ed accettabile sempre, perché, in realtà, è immobile, non smuove nessun affetto. I matti contemplano per ore oggetti inanimati. I poeti, quando sembrano rifare la stessa cosa, invece, è perché mettono nell'immagine inanimata un loro affetto umano. Ma, per tornare al film (o l'analisi testuale esclude le battute ?) Ricky parla di una bellezza che porta al nulla, ad un'armonia che nullifica l'essere. Sì, filosofia buddhista, ancor più che sartriana. Effettivamente quanto di religioso io denunciavo essere presente nel film è forse legato a un principio buddhista.

Valentina

La bellezza della scena in cui Ricky e Jane guardano le immagini del sacchetto di plastica sta nel loro rapporto, nel loro guardare le immagini e "reagire": Jane stringe la mano di Ricky perché coglie il suo malessere, la sua ricerca di bellezza disperata perché soffocata dentro un sacchetto di plastica.

Io ci vedo poco di "dinamico" nella filosofia buddhista e in generale in qualsiasi credenza religiosa che punti a una "razionalità esemplare", ovvero che non osi intraprendere un percorso di conoscenza attraverso una ricerca del PENSIERO, legato allo specifico umano, agli affetti, alla sensibilità non dei soli 5 sensi, alla capacità (che le buste di plastica non hanno, mi pare) di inventare immagini, di fare immagini visibili di proprie immagini interne ed invisibili...insomma: io della vita ho un'altra idea dalla tua, questo mi pare evidente. DI conseguenza, anche del cinema e di come guardarlo.

Valentina

Io credo sia più positiva, questa associazione sacchetto-Spacey, o inorganico-organico, appunto. Ricordati cosa dice il ragazzo, di quel sacchetto: "e' libero, sta li', fa quello che vuole, condizionato da nulla e nessuno. E' bello." Period. Spacey e' libero manco per il cazzo, scusate l'espressione, e ad avvicinarsi alla condizione del sacchetto ha solo da guadagnare.

Federica

Ricky, incantato dal nulla, in effetti, poi non sa vedere la morte nel volto di Lester assassinato, sorride di una sua beatitudine che ahimè la voce off di Lester conferma, astratta, irreale. L'orrore della morte, dell'assassinio, della violenza, dell'indifferenza, del nazismo, rischia di sfuggire, incantati dal tutto in divenire e che non cambia mai. Invece il mondo degli esseri umani cambia eccome. In bene o in male, a ciascuno le proprie responsabilità.

Valentina

A latere del tema del corpo sta anche nella fine dello stesso e lo sguardo da dopo morto l'ha rubato al se stesso diretto dal grande Clint – altro mago nel riciclaggio di tutti i miti cinematografici–, con ben altra maestria (ed in questo rientra il "sopravvalutato") in Il giardino del Bene e del Male.
Il sacchetto poi è sicuramente – con tutte le volte che lo ripropongono!! – il centro della ipotesi teoretica degli autori, solo che mi sembra meno pregnante di altre situazioni perché conclude in sé la sua funzione e in realtà non aggiunge nulla, anzi riassume come in un compitino per lo spettatore distratto il messaggio: un espediente da Accademy Award, che in effetti è stato premiato (e Mendes credo che più che alla bellezza intrinseca ad un sacchetto metafisico svolazzante creda di più ai soldi degli oscar).

adriano