All'interno della mailing list gestita da Expanded Cinemah si è aperto un dibattito che per i più fedeli frequentatori riprende un tema affrontato ad agosto '99 a partire da Guy, C'est arrivé près de chez nous, Pleasantville, Truman Show ...: come allora ci troviamo a discutere di rappresentazione e realtà e dello spazio occupato dalla soggettiva e della sua falsità. Ovviamente lo spunto nasce da American Beauty e più evidentemente da The Blair Witch Project, quest'ultimo è un film che per alcuni non esiste se non per il fuori campo a cui rimanda e al gioco con lo spettatore prima ancora che con i protagonisti evidentemente sottoposti a diversi livelli di consapevolezza, mentre per altri è assolutamente privo di fuori campo. Sarebbe interessante porre a confronto quel tipo di "realtà fictionale" con quella di Lynch (The Straight Story), altrettanto ricostruita a partire da stereotipi mitici. Per ora ci siamo cimentati con gli schemi di American Beauty

I lunghi e multipli messaggi possono rafforzare un pregiudizio in chi non ha ancora visto il film: il valore iconico di American Beauty sembra venire sviscerato e portato in primo piano, come probabilmente merita dai molteplici e contrapposti interventi che abbiamo deciso di documentare rendendoli di pubblico dominio anche per coloro che non sono iscritti alla lista, poiché si tratta di film che hanno scatenato un tale dibattito da meritare trattamenti ulteriori rispetto alla semplice recensione. Il plausibile dubbio del non ancora spettatore del film (ma avvinto lettore dei commenti allo stesso senza timore di spoiler) è che quest'iconologia/iconografia possa essere in realtà un "trasferello" di pop-art (molto pop, dunque, ma anche un po' desueto), una specie di True Stories per le masse.
Probabilmente l'intento ricercato in sede di produzione del film fu quello di non scontentare nessuno, a parte Roberto Silvestri (vecchio saggio che non si fa imbrogliare da giochini). Probabilmente su questo si può trovare un punto in comune tra contenutisti e amanti del significante, perché il testo lo consente per propria precisa volontà.
Molti sono rimasti scontenti dal film, e se ne intuiscono abbastanza bene i motivi: e' un film studiato per vincere, proprio il contrario di quello che il suo protagonista vorrebbe quasi cercare di proporre come nuova filosofia di vita (il perdente per scelta, non per necessita' – per sottrazione, perché alla logica del successo a tutti i costi, la vera "American Beauty", non vuole più cedere); e' un film che tutto sommato affronta tantissime cose senza veramente approfondirne nessuna. È un film che «finge» di essere cinico quel tanto che basta per solleticare certo pubblico e poi alla fine riconcilia tutto e tutti in perfetto american style. E la scelta del cast è perfetta, capace di solleticare chiunque, perché Spacey è un uomo affascinante ma è credibile come 40enne in crisi (avessero messo un bellone come Kevin Costner non avrebbe più avuto molto senso, la storia), e la Bening e' isterica quanto deve.

Un elemento accomuna i due film maggiormente discussi dello scorcio di stagione: l'assenza di immagini

Grazie a Valentina per averci ricordato Borges ...e ad Andrea per Lavoisier. Se tutto si trasforma, allora viene suffragata l'ipotesi che anche le singole immagini, ogni singola immagine, del film si possono leggere in modo diverso a seconda dell'interpretazione data da ciascun carattere: l'apoteosi ermeneutica. Potremmo riguardare tutto il film individuando la fessura attraverso la quale lo guarda ogni personaggio, finendo con il scegliere autorialmente alla fine la visione (pacificata?) dall'alto di Spacey, o negandola per accettare la fuga dei due ragazzi. Questo confermerebbe la genialata di quelle riprese sconnesse e assolutamente folli che ritraggono i due ragazzi nella stessa impossibile inquadratura. Quella è la fessura attraverso la quale il cinema cerca di sfuggire ai suoi canoni e imbrigliamenti.

La rosa,
l'mmarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del nero giardino e nell'alta notte,
quella di qualsiasi giardino e qualsiasi sera,
la rosa che risorge dalla tenue
cenere per l'arte dell'alchimia,
la rosa dei persiani e di Ariosto,
quella che sempre sta sola,
quella che sempre è la rosa delle rose,
l'ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.

J.L. Borges

A parte l'inizio che registra lo stupore verso il cinema americano dieci, cento volte superiore a quello europeo come intensità ed elaborazione dello sguardo (è curioso che su Positif di febbraio la recensione sul film inizi quasi con le stesse parole di Luca nel suo articolo per "reVison"). Tra le cose più intriganti:
"Certo, chi chiede ad American Beauty una rivoluzione formale che vada di pari passo con le scosse telluriche del racconto, del progetto ideologico, della recitazione, non comprende la misura della fiducia che regista e produttore ripongono nel cinema classicamente concepito; un approccio, questo, condiviso da alcuni cineasti americani considerati fra i più (politicamente) trasgressivi (Carpenter, Cronenberg, Ferrara)."
Certo l'utilizzo della struttura classica, ammesso che con questo termine ci riferiamo ad un linguaggio cinematografico per alcuni versi anche convenzionale, non scalfisce minimamente il rigore formale di American Beauty, che sorprende per la capacità stilistica, che hanno pochissimi registi di legare ogni espressione ad un preciso gesto filmico che risiede prima di tutto nella composizione delle inquadrature.

Andrea Caramanna

La voce over è più autentica delle immagini, ma anch'essa ha una origine tutta interna alla storia del cinema (Sunset Boulevard) e solo attraverso quella sua sardonica verità (alla fine ci dileggia e ci ammonisce con un memento mori degno dei pittori della controriforma) ricostruiamo a posteriori il vero paese di zombies, documentato nei morti nastri video, che ci è stato mostrato e non attraverso infinite parodie deja vu della crisi di mezz'età o l'ennesima resurrezione di Nabokov (la signorina è semplicemente lo spot della più classica e poco originale idea di seduzione dell'americano wasp, riproposta ancora una volta per ribadire la mancanza di spunti nuovi che infarciscono volutamente la pellicola per rendere asfittico l'immaginario, ancora più cortocircuitante nella duplicazione).... potrebbe essere interessante ripescare lo studio (G.Bettetini, Tempo del senso Milano, Bompiani, 1979, pp. 160-201) semiologico fatto sulla voce dalla piscina del morto William Holden.

adriano boano

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Trovo straordinario applicare al film di Mendes il Deleuze-pensiero, impresa cui rinunciai in partenza: Deleuze è un pensatore per diadi, il film impone invece le triadi, e io mi vedevo già a bisticciare coi numeri. Caramanna ci riesce e vince la partita.

Luca Bandirali

Se provassimo per una volta a vedere cosa effettivamente c'è nel film e non ciò che ci piacerebbe ci fosse tanto per solleticare il nostro già fin troppo smisurato intelletto? Cerchiamo di non "canoveggiare" dove non necessario.
Il sacchetto di plastica è, senza bisogno di sembrare null'altro. Forse perché non ne ha bisogno?

Federica Arnolfo

Quello che più mi fa riflettere di questo film, intanto, è la grandissima eco che ha avuto tra pubblico e critica. Cosa dice di così "forte" ? E' uno specchio? É perché assolve le colpe di cui si sentono tutti responsabili (la mediocrità di una civiltà dei consumi vuota come...una busta di plastica?) o perché, al contrario, mette a fuoco le vere "colpe", il vero guaio, la RADICE di certi mali/malesseri?

Si è sottolineata negativamente la rivelazione della natura omosessuale del padre di Ricky: forse invece è stato quanto io ho trovato di più geniale nel film. A ritroso, partendo da ciò, ricostruisco una mia lettura.

Valentina

1) LA COMPOSIZIONE DELLE INQUADRATURE
Si tratta di composizioni caratterizzate da un'assialità che è principio ordinatore (di controllo geometrico, diciamo) e insieme di rimando al simbolo (le equi-distanze tra personaggi e gruppi di personaggi).
2) PARLIAMO DELLA PORTA, MA NON DIMENTICHIAMOCI LA FINESTRA
Sì, la porta è un elemento importante in un film in cui il limen, la soglia è costantemente attraversata (soglia della consapevolezza: fra la prima e la seconda esistenza di Lester - prima soglia della realtà: fra i livelli del sogno e del quotidiano - seconda soglia della realtà: fra l'immagine cinema e l'immagine video).
La porta rossa, poi, chiede a gran voce un'interpretazione metziana. Potrebbero esserci utili i riferimenti a Sleepy Hollow (ancora una porta rossa nei sogni di Icabod Crane) e alla Relazione privata (un albergo con porte rosse, che celano pratiche "pornografiche").
Però non dimentichiamo le finestre. Non possiamo, a livello critico, mortificare il lavoro sullo sguardo meccanico come tramite tra le inquadrature; il ruolo di Rick, è tutto in questo suo "riprodurre" la realtà. La relazione che si instaura tra gli universi Burnham e Fitts passa per la finestra. La ripresa, dalla finestra di casa Fitts della finestra di casa Burham con la videocamera, proiettata sullo schermo di una sala cinematografica, crea un sistema di "cornici" che mi fa letteralmente sbavare.

Luca

La porta rossa...
Senza offesa, ma queste sono poco più che seghe mentali. Federica
[Affini, in qualche misura, alla pratica preferita da Lester. Ebbene, te lo dico in tutta sincerità: le beghe della famiglia americana, e le paturnie della donna wasp frigida, non mi appassionano pur costituendo un elemento narrativo con cui fare i conti. Allora li lascio fare a te, e per me tengo tutto il resto (il cinema). Luca ]
Non disdegno invece il riferimento a Une liaison pornographique, ma non nei termini in cui lo prospetti tu. Il film tra le tante altre cose ci pone di fronte una visione spietata e feroce della coppia borghese (e della classe borghese più in generale), chiusa nelle convenzioni della società di cui fa parte, chiusa tra quello che è e ciò che appare. Un microcosmo (ciò che è) opposto ad un macrocosmo (ciò che appare) cui tutti più o meno direttamente fanno riferimento. In questa ottica, è d'obbligo notare i forti precedenti di Lolita (non quindi nella relazione uomo maturo-ragazzina, che qui conta pochissimo, in quanto la biondina è solo una molla che serve a Lester per far scattare il "ciò che si è" e poi tanto ragazzina neanche lo è), di Truman Show, di Eyes Wide Shut, e financo di Fight Club. Tutto ha una duplice natura, in questo film (ciò che è e ciò che appare), a cominciare dal titolo. La bellezza americana chi è? Una ragazzina bionda, o una rosa? O entrambe?
Federica

Ci sono film che sostanziano un equivoco che il cinema narrativo si porta dietro fin dalle poco nobili origini: l'equivoco riguarda l'annoso dibattito sullo "specifico filmico". Io credo che il film sia una merce culturale marketing oriented (come dice Marcello Walter Bruno), e che assolva ad una funzione mitica. Nell'assolvere a questa funzione, i realizzatori del film (che non sono l'Autore) hanno (non sempre, ma quasi sempre) un rapporto del tutto strumentale con l'elaborazione formale.
Se accettiamo questa chiave di lettura (che poi è quella di critici di opinioni moderatissime come l'amato Daney), possiamo riconoscere che una piccola percentuale dei film che vediamo hanno a che fare col cinema propriamente detto (a livello estetico, e non semplicemente fenomenologico). Allora, io trovo che la discussione intorno ad American Beauty possa svilupparsi secondo coordinate diverse, lontanissime: ci sono però due luoghi comuni che non intendo frequentare.

Luca

A me interessa di più la genialata di mostrare frontalmente entrambi i ragazzi contrapposti dalla disposizione delle finestre e che soltanto il cinema mi consente di vedere in una sola inquadratura di infiniti specchi e divisa in metà, dove non si sa chi dei due seduca e chi dei due "guardi", chi il voyeur e chi l'esibizionista: era l'unica idea del primo Soderbergh e qui è portato al parossismo, come anche nella sequenza in cui il video enorme sulla destra restituisce la figura del ragazzo-pusher ridotto nelle dimensioni in basso a sinistra, ma è quest'ultima porzione di schermo ad attirare. La vera immagine affezione (bravo Andrea a evocare Deleuze) è quella più piccola e risultato di un passaggio in meno attraverso la duplicazione rispetto ai livelli di distanza dalla realtà, però il confronto con la duplicazione è indispensabile per rilevarla, e serve (in un'interpretazione del testo che non si ferma al vieto contenutismo del quartierino wasp fordista) a ribadire che il vero racconto è quello della voice over e non quello fatto di battute già conosciute, di musica prefabbricata (come quella dei pasti) o di situazioni "morte" già nei film di James Dean e infamone-Kazan.

adriano