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considerazioni interdisciplinari a cavallo tra cinema e filosofia
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D'ailleurs, Derrida
di Safaa Fathy - Egitto - 2000 - VC
Festival del cinema africano di Milano

  • D'altronde Derrida
  • Del resto Derrida
  • Di tutti i Derrida
  • D'altrove Derrida
  • Dappertutto Derrida
  • Da dentro Derrida
  • D'altro Derrida
  • Dell'impossibile Derrida
  • Dell'indicibile Derrida
  • Dei delitti e delle pene di Derrida
  • Di nuovo Derrida
  • Questo documentario più che tanti piccoli film su Derrida sembra un telefilm su Derrida, stessi personaggi ai quali ci siamo affezionati, vicende sempre nuove ma legate in maniera confusa, ripetizione (obbligata) su diversi registri e sfondi del già scritto di Derrida del suo libro a puntate, che segue la scrittura infinita, ma che qui si declina allíimmagine ñvita e si performa (come sempre la filosofia di Derrida che è azione che è politica), un Derrida bambolina di carta alla quale si cambiano abitini e sfondi di cartone, tanto reali da sembrare fasulli.

    La sit-tragicom di Derrida mi era sembrato un irritante bignami esotico, esercizio di stile nascosto tra Algeri e le moschee, Parigi e le scuole, le case caotiche e le spiagge ombrose, un nuovo Derrida-base ripieno di tutti i suoi tropismi e idotismi più vanitosi e dei suoi desideri esposti come oggetti trovati in un mercatino protosurrealista, in realtà (?) la ripetizione di Derrida è dunque líunica possibile fedeltà infedele a Derrida stesso, ed è normale che possa irritare perché solo seguendo le sue tracce non vieni scoperto come metafisico, ma se lo ripeti e basta lui si arrabbia e tu ti annoi, tristo epigono.
    Allora tra le infinite scritture di Derrida si selezionano margini e fermi immagine che altro non sono che differenze giocate che si fingono il tutto, come il documentario che riassume e presenta il tutto della vita-pensiero di Derrida uomo e oltreuomo, senza un centro cíè solo il DerridaPensiero colonna sonora del film, e le immagini colonna visiva del pensiero. Ora il gioco senza centro di Derrida non impegna nessuno a capire tutto e secondo un percorso progressivo, non indica un tempo di visione e non srotola un tempo progressivo, ognuno può cogliere quel che vuole nellíordine che vuole e riordinarlo poi come vuole, nessun obbligo, dunque nessuna logica e necessità della narrazione (anche perché necessità rispetto a cosa se la vita non esiste fuori dalla rappresentazione?).

    Nell'acquario: "La pazienza del pesce: anch'io sono un pesce dietro a un vetro. Ma qual è la loro idea di tempo? Deve essere una percezione infernale del tempo, diversa dalla mia che vivo lo stesso tempo").

    Al museo coloniale: "Io sono un prodotto postcoloniale, perché comunque appartengo a una storia della Francia; tutto ciò che faccio ha un legame con la storia post-coloniale"

    "Tutti i luoghi sono appropriati, disappropriati e poi nuovamente appropriati", e ci mostra gigione la sua - di lui bambino - sinagoga a Orano, che prima era moschea e ora è ridiventata moschea: "un sito senza luogo che attraversa questi siti".
    Ma Derrida-tutto ricorda il suo attraversamento dell'ebraismo. Interpretato nell'ermeneutica personale come cultura del segreto (quello dei sefarditi ebrei spagnoli), il cui valore sta in quel segreto che il totalitarismo vorrebbe esibire: "il totalitarismo è il segreto strappato", una definizione che ne mette in luce tutta la violenza becera e cieca, incapace di vedere l'assurdità della pretesa; come può un segreto svelarsi. Nemmeno i suoi corifei sono in grado di conoscerlo (il libro dei mille nomi di Allah indecifrabile in Il periplo di Baldassarre di Amin Malhouf). E allora lui si sente molto vicino alla figura del marrano: chi porta un segreto con sé a cui non ha accesso neppure lui. Il segreto non è svelato, ma si sa che esiste, si immagina (come in
    Hanna Arendt)

    a cura di Clarissa e Maqroll