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considerazioni interdisciplinari a cavallo tra cinema e filosofia
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D'ailleurs, Derrida
di Safaa Fathy - Egitto - 2000 - VC
Festival del cinema africano di Milano

  • D'altronde Derrida
  • Del resto Derrida
  • Di tutti i Derrida
  • D'altrove Derrida
  • Dappertutto Derrida
  • Da dentro Derrida
  • D'altro Derrida
  • Dell'impossibile Derrida
  • Dell'indicibile Derrida
  • Dei delitti e delle pene di Derrida
  • Di nuovo Derrida
  • Comunque io non voglio mica ammorbare con un compitino sulla filosofia di Derrida e su Derrida come soggetto-oggetto cinemico né scrivere quelle cose che delirano e intrammezzano immagini e pensieri con citazioni di Barthes e Genette, ma qui stiamo parlando di un film su Derrida e dunque un poí di delirio oblige. Pertanto via libera a Haneke, che affronta l'aporia del linguaggio, dimostrandone l'inefficenza dell'uso a cui siamo abituati

    Díaltronde Derrida ti obbliga a ripetere sempre un poí e ti lascia in bocca quel gusto infantile della ripetizione (il piacere del lancio della trottola) di un gesto fino allíautoipnosi, come derviscio che gira, che gira e che coglie il movimento della verità nella ripetizione; dunque ri-tracciare Derrida è un obbligo e un piacere anche se alla fine il gioco ha un contro dono, perdi il gusto dellíimmediato, che è anche un pericolo metafisico, ma lo perdi e una volta perso non sarai mai più spontaneo. Ma in fondo (anzi senza fondo) non esiste questíimmediato e purtuttaquantavia qualcosa in sovrappiù ti rimane, la traccia di esserci passati attraverso e di esserne stati segnati. Quindi surplus di dono.

    Derrida ha scritto del gioco filosofico che non rimuove la vita, in filosofia lui ha fatto qualcosa come rimettere in gioco il dimenticato dellíidealismo e di tutta la metafisica, come dire che mi ha convinto che il cinema non perde la vita solo perché la finge, perché la vita senza rappresentazione di sé non esiste per noi (quel vecchio giochetto di mondo e linguaggio, di linguaggio casa del mondo senza arrivare alla chiusura di Hegel del per noi che è per sé perché il tutto dello spirito cíera già dallíinizio, in Derrida non cíè tutto e non cíè inizio e quindi nemmeno il suo svolgimento, e cíè il linguaggio che è vita, che è líaltro del linguaggio e linguaggio dell'altro; tu sei l'altro anche se non lo vuoi).

    "Ho potuto dire che sono attratto dalla perdita dell'identità: l'autobiografia presuppone un soggetto che sappia scrivere. 'Io' è un pronome legato alla possibilità che si possa scrivere. Solo che non è detto che l'Io si sappia narrare. Se ci conoscessimo non ci cercheremmo. Se chiunque potesse identificare se stesso, io non scriverei e quindi non riuscirei a vivere"
    Dopo aver discettato sul linguaggio, il filosofo non può non considerare in generale il gesto di usare quel codice, secondo tutti i modi di abitarlo che gli vengono in mente. Il suo essere non è solo scrittura, ma anche ciò che è, ovvero in funzione del linguaggio adottato si riscopre una questione metafisica in se stesso fatto "Io" e narrante che non si sa narrare, negando in questo modo l'esistenza la cui traccia sembra appena indicata. Ed è già svanita.

    a cura di Clarissa e Maqroll