Reporter

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


Reporter
reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
<<< torna al sommario

GLBT Film Festival di Torino - I film che cambiano la vita - Da sodoma a Hollywood 2007
Lampisterie sinaptiche

4: ripetitività

SO LANGE DU HIER BIST (Finché sei qui)
di Stefan Westerwelle

Incredibile, non ci posso credere... per una volta non solo riesco a vedere il film che verrà premiato dalla giuria del festival, ma mi trovo persino allineata rispetto al verdetto sancito! Un caso curioso, per me inaudito, attribuibile senz'altro a fortunate circostanze astrali. Volendo assumere il punto di vista di Georg, l'anziano protagonista del film di Westerwelle, appassionato di oroscopi e non a caso innamorato di un giovane prostituto nato nel segno del Toro, ecco che comprendo - nel profondo e con le corde del cuore - le ragioni di questa premiazione, che qui a Torino assumono una valenza ulteriore, considerata la predilezione congenita per l'animale taurino, sacralizzato nello stemma e persino nella squadra granata, la cui vitalità non sempre pulsa e vibra a guisa dei film che invece "cambiano la vita"!

Anch'io, uscendo dalla visione, ho avuto l'impressione di aver assistito alla proiezione di un film riuscito, ben confezionato, originale nella scelta di genere e soprattutto nella ricerca linguistica, seppur rigoroso nella strutturazione interna, dai ritmi un po' dilatati, alquanto sbilanciato sul versante poetico o lirico che dir si voglia, condizionato dall'ossessione manierata per l'inquadratura perfetta nell'immortalare simulacri di oggetti, fotografie e corpi (falsi/veri?), indagati nella relazione con il loro, auspicabile e forse inattuabile, versante luminoso. Una patina, simile a una carta velina sbiadita, diaframma la registrazione quotidiana di azioni ripetitive di un anziano piccolo-borghese all'interno della sua casa: ordinata, lucida e pulita come quella che poteva essere illustrata all'interno di un catalogo di arredamento teutonico ormai scaduto; tutto deve essere ricomposto, condotto all'ordine e all'igiene accurati, ma per fortuna arriva la notte e lo spazio del buio offre il tempo e la possibilità di perlustrare - aiutati dalla sola luce emessa da una pila - i chiaroscuri che accendono il desiderio, materializzano la comparsa di fuori scena, intesi come potere dell'immagine di uscire fuori dal proprio negativo e creare un doppio: il se stesso giovane o l'altro da sé bramato; storie già vissute e forse clonate per mettere in cortocircuito il presente con il passato, in una ripetizione differita che lascia il tempo per assaporare il gusto di scoprire che "finché sei qui" non cÕè tempo per rammaricarsi del fatto di essere già al di là, deceduti realmente o reclamanti il fatto di volerlo diventare, presentificati dalla volontà di raccontare le abitudini di un'esistenza grigia, che diventa colorata nella suggestione del potersi "trat-tenere" il più a lungo possibile.

La macchina da presa immortala il non più giovane Georg nel suo diligente intento di mettere insieme i frammenti di un'intera vita. Lo vediamo ricomporre meticolosamente i cocci di un piatto rotto per ricostruire il fiore che l'abitava in origine; le sue mani occupano l'intera inquadratura, per lasciare solo lo spazio a altre occupazioni manuali: lava il pavimento, toglie la polvere, sposta gli oggetti della sua stanza per collocarli in una posizione di veglia rispetto a quanto si aspetta debba accadere. Poi suona il campanello e compare lui, il giovane prostituto di cui è evidentemente innamorato, un mercenario prezzolato settimanalmente, che si lascia scopare al buio e non reclama particolari attenzioni da parte degli oggetti che occupano la stanza. Ma una sera il giovane indugia, si diverte a giocare con le luci che l'anziano manovra per inquadrare di volta in volta singoli dettagli delle "cose" (in accezione alla Perec) che abitano la camera e allora si scatena la voglia di vederle attraverso la pila collocata sul padiglione delle orecchie altrui, da qui si scatena un'eco visiva e non acustica, che consente di compiere intelligenti operazioni rammemoranti. L'anziano ritorna giovane, il giovane racconta la sua storia e il medesimo innamoramento da parte di un vecchio, fino a giungere a un punto di non ritorno, dove quel che conta è la certezza che l'altro non se ne vada, possa rimanere in eterno qui, seppur imprigionato nello spazio di un semplice ricordo testimoniato da una fotografia e anche... perché no dal film medesimo! Il poter "trat-tenere" l'altro da sé , di cui si è perdutamente innamorati, viene mostrato in maniera meticolosa dalla macchina da presa, incollata ai due attori, ma stavolta non è importante mostrare membra e muscoli al lavoro (comprese le avventure sessuali, d'altronde vedere pelle raggrinzita e cadente non è stupefacente dal punto di vista visivo e manco erotico), prevale lo sguardo in soggettiva, mentre le mani sono impegnate a lavorare, trafficare, rompere persino il vetro di uno specchio, quando si comprende di essere diventati vecchi a propria volta e di assomigliare come una goccia d'acqua al proprio partner, dopo essersi divertiti a replicarne i comportamenti e persino lÕabbigliamento.

paola tarino