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GLBT Film Festival di Torino - I film che cambiano la vita - Da sodoma a Hollywood 2007
Lampisterie sinaptiche

3: ouh! voilà l'amour à 3 (et le velò)

GLUE - HISTORIA ADOLESCENTE EN MEDIO DE LA NADA, di Alexis dos Santos e SHAONIAN HUA CAO HUANG (Withered in a blooming seasons), di Cui Zi'en

L'amore a tre adolescenziale, un punto di arrivo in entrambi i film, profondamente diversi tra loro per sensibilità, intenti, modalità di racconto, cultura, inquadrature e... soluzione finale, nel caso ne esista una.

Sicuramente in Cina non si vive troppo sereni, ma forse la serenità non è nemmeno in cima ai loro pensieri... è evidente in una pellicola come Still Life, distribuita nelle sale con le sue demolizioni, metaforiche di rovine interne all'evoluzione della società e alla deriva della cultura precedente senza una chiara direzione da intraprendere; ancora di più era marcata in Buyi zhi le di Xia Peng - presentato al Torino film festival nel 2006 - dalla incapacità persino di dare un criterio al bisogno di registrare un quotidiano disagio, non individuabile chiaramente ma che emerge dalla fatica di sopportare ore e ore di girato noioso, vacuo, poco significativo e che alla fine dovrebbe convincerci iperrealisticamente di aver vissuto un paio di ore di quello squallore in cui è infitto il regista da mane a sera.
L'operazione di Cui Zi'en potrebbe somigliare a queste, ma si differenzia perché ci sembra di poter individuare un criterio, un filo rosso, una coerenza. Innanzitutto esiste una sorta di canovaccio, altro tratto che accomuna il film cinese di ultima generazione a quello latinoamericano, dove a tratti i ragazzi sono chiamati a "improvvisare", recitare a soggetto, risultando particolarmente spontanei e credibili; cosa che invece viene spinta al parossismo da Cui Zi'en, ottenendo una recitazione sopra le righe, volutamente esasperante, probabilmente perché in questo modo si fa emergere innanzitutto la sfida provocatoria del fratello "abituato" a condividere gli spazi con la sorella e incapace di sostenere la sua/loro crescita, il distacco, l'autonomia: quello è il suo disagio, che si indovina voglia significare altro nel contesto culturale a cui si riferisce. Si tratta di nuovo di un disagio non ben delimitabile, ma che aderisce completamente alla pellicola diventando intollerabile. Infatti proprio questa è la sensazione che si vive: impossibilità di trovare alcuna piacevolezza dal modo sciatto adottato per narrare la vicenda; irritazione di fronte ai birignao canzonatori del giovane; certezza che l'evoluzione della vicenda non nasconda alcun colpo di teatro; negazione della possibilità che la struttura del film sia costruita in modo da rivelare un modo originale di costruire lo script... tutti elementi che vengono via via confermati. I maestri del regista sembra allignino dalle parti del neorealismo italiano - a sua detta - però, mentre la situazione di ricostruzione è uguale, manca completamente quell'intento di blandire il pubblico con una vicenda in superficie buona per tutti i palati: qui esistono solo gli altri livelli di narrazione, sgradevoli perché quello è l'aspetto che si vuole comunicare: la sgradevolezza della situazione e la sua ineluttabilità, ci si potrebbe sottrarre, andandosene dalla visione, ma è la stessa sfida di Haneke, che inchioda alla poltrona a vedere annoiati e con la voglia di distrarsi da quelle scene ravvicinate, sempre meno spazio - anche per noi spettatori per capire se è un pazzo o riesce a restituire l'atmosfera - ma occupato anche dal nostro dis-interesse a una vicenda così dozzinale e narrata in modo altrettanto privo di orpelli, con l'atroce ricatto finale della madre - prototipo di capitalista, priva di scrupoli, distante dai ragazzi (anche fisicamente abitando un altrove di totale disinteresse) e loro avversaria - e non è depositaria della tradizione maoista, come di solito è la famiglia cinese; è lei a eliminare ogni resistenza e ogni pulsione verso l'esterno da parte della ragazza che viene relegata, senza alcuna possibilità di sottrarsi, nel menage a trois con il fratello e il ragazzino innamorato di quest'ultimo: non la musica "libera" dei ragazzi che intenderebbe frequentare, ma quella domestica, suonata dai due "fratelli" tra le mura domestiche. Una prigione priva di uscite.

Il regista cinese limita la presenza di oggetti, li riduce sostanzialmente a una bici. Esattamente quello che fa l'argentino: in un mondo fatto di nulla, campeggia la bici e l'ipod sempre inastato (con musica per una volta godibile, potendosi inventare un protagonista punk, un ragazzino perso nel nulla della provincia argentina e nei dilemmi adolescenziali universali affidati a un flusso di coscienza che ogni tanto sorprende per l'immediatezza e la riconoscibilità delle domande che i ragazzi si pongono con quelle della propria lontana adolescenza).
L'ossessione degli spazi chiusi, limitati, da condividere che ottenebrano anche la capacità di interagire pienamente con essi del film cinese - dove talvolta sembra che la ragazza si trovi tarpata innanzitutto nella sua piena possibilità di usufruire dell'ambiente attorno a sé - diventano nella poetica di Alexis Dos Santos la vicinanza del mezzo di ripresa ai corpi dei ragazzi che sono braccati da presso ma per evitare eccesso di realismo si usa abbondantemente la sfocatura, il colore grasso e lisergico, come se si guardasse quel mondo giovanile attraverso una sostanza collosa che produce deformazioni della percezione, come se oltre a frapporsi alla vista effondesse effluvi che deformano la realtà.
La sensazione di viaggiare all'interno della mente di un adolescente - in particolare uno, ma anche gli altri due sono scavati con sensibilità - si fa strada sui pedali di una bici che percorre strade di estrema provincia sulle quali corrono note punk che animano locali in cui stordirsi e riconoscere i corpi, il proprio e quelli degli amici, maschi e femmine, a loro volta confusi sulle pulsioni che li animano : i corpi come i locali. Ma sono soprattutto i timori di tutti e tre i ragazzi del menage, i turbamenti di ragazzi normali e speciali, come sicuramente si sentono, attirati dal bisogno di approfondire la conoscenza dei corpi propri e altrui, siano maschili o feminili le bocche che vogliono baciare... in una tenerissima sequenza dove le lingue si aggrovigliano, i corpi si uniscono durante una festa, liberi da inibizioni, le stesse che invece poco prima, in un'altra sequenza altrettanto tenera e senza pruriginosità, li invadono e impediscono approfondimenti che si sarebbero voluti e non si sono realizzati. La bisessualità rappresentata nel modo più naturale e più distante da sensi di colpa o da ricatti delal morale comune, anche e soprattutto nelle domande che i ragazzi rivolgono a se stessi.

adriano boano