Il
primo lungometraggio del giovane regista marocchino Ismael Ferroukhi, Le
grand voyage, è un road movie che attraversa mezza Europa per
arrivare fino a La Mecca: un viaggio interminabile di 5000 chilometri in
automobile, che non è di colore verde come la tradizione islamica
vorrebbe, bensì azzurra come la tonalità del cielo sereno.
Per il suo avvincente contenuto didattico e formativo, volto a promuovere
l’educazione interculturale, il film è stato presentato anche nello
spazio riservato alle scuole accompagnato da una scheda introduttiva,
curata dall’organizzazione del festival, settore Coescuola: “Il tema
del viaggio come percorso di iniziazione, crescita e conciliazione è al
centro del film Le grand voyage di Ismael Ferroukhi, regista franco
marocchino alla sua prima opera di fiction. Il film è il racconto del
pellegrinaggio a La Mecca intrapreso in automobile da Mustafà, anziano
marocchino emigrato in Francia, e da suo figlio Reda, naturalizzato
francese e assai distante dalle tradizioni e dalla pratica religiosa
musulmana. Reda non può esimersi dall’accompagnare il padre: il viaggio
sarà per entrambi i protagonisti l’occasione per conoscersi meglio, per
accettarsi e comprendersi. Attraverso gli occhi di Reda entriamo
nell’universo religioso dell’Islam ispirato alla pace e alla saggezza,
lontano dai comuni stereotipi. Dopo tanti film maghrebini che hanno
indagato la condizione e il ruolo femminile, è assai interessante una
storia sui ruoli maschili, di padre e figlio che si interrogano sulla
propria identità, in un dialogo difficile, ma possibile con le radici. Il
conflitto non raggiunge toni tragici e irreparabili, in quanto prevale uno
spirito di consapevolezza e di determinazione che si apre alla speranza e
alla volontà di poter cambiare”.
Proviamo a seguire le tappe di questo lungo percorso stradale, cadenzato
da siparietti, spesso narrati in maniera piacevole e delicata anche quando
mettono in campo malumori e tensioni indotte dall’appartenere non
soltanto a generazioni diverse, ma anche dall’essere educati e cresciuti
in universi culturali differenti, che portano il figlio a vivere la
dimensione laica del viaggio, riservando al padre quella più rigorosa del
pellegrinaggio rituale.
La partenza
Reda non ha alcuna voglia di accompagnare l’anziano padre in questa
missione “speciale”, ma si trova costretto a farlo, perché al
fratello maggiore, cui sarebbe toccato per diritto di precedenza, è stata
ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, giudicata anche
peccaminosa dalla tradizione musulmana. L’ostilità del giovane nei
confronti del genitore è acuita anche dal fatto che si trova
repentinamente a doversi assentare da scuola (proprio quando dovrebbe
prepararsi per un altro tipo di maturità, aliena a quella che gli sta
preparando il padre) e dalla ragazzina francese, Lisa, di cui è
segretamente innamorato.
La prima tappa
Il passaggio della dogana tra Francia e Italia viene a coincidere con
l’ora della preghiera serale quotidiana: il vecchietto tira fuori il
tappetino e si accinge a uscire all’aperto, in quella sorta di “terra
di nessuno”, per eseguire il rito sotto gli occhi stupefatti del figlio,
che lo rimprovera severamente di scegliere un posto non adatto a
quell’officio!
L’impulso del giovane è quello di mettersi a guidare pigiando
l’acceleratore a tavoletta, nella vana speranza di arrivare più in
fretta possibile alla meta, ma è il padre a dettare il programma del
viaggio, stabilendo ritmi, tempi di sosta, pernottamenti e direzioni di
marcia. Non avendo il volante in mano, non ha timore di imporsi sulla
cocciutaggine di Reda, tirando il freno a mano all’improvviso, anche a
rischio di far sbandare l’automobile.
Il ragazzo vorrebbe guidare fino a Milano per poterla visitare, ma gli
basta quel gesto repentino per comprendere che non è una vacanza quella
che dovrà affrontare, bensì un tour de force inaudito e persino
interminabile.
Come non bastasse il genitore approfitta di una momentanea sosta-pipì per
gettare di nascosto il cellulare del figlio in un cassonetto (“L’ho
fatto perché non c’eri con la testa e non sentivi ragioni” gli
rivelerà in seguito), ma quest’ultimo se ne accorgerà soltanto 500
chilometri più avanti. L’arrabbiatura fulminea lascerà posto soltanto
a un broncio silenzioso, che i due protagonisti finiranno per adottare a
turno lungo l’intero viaggio, sempre ripresi dal finestrino anteriore
dell’auto, in un’unica inquadratura frontale che comprende
rispettivamente il volto offeso dell’uno e quello compiaciuto
dell’altro, attualizzate dal recente scontro di culture tra
occidentalismo e islamismo.
Seconda
tappa
Costretto ad abbandonare l’autostrada verso Belgrado, perché il padre
preferisce le strade secondarie, Reda non sa più che direzione prendere e
consulta infastidito la cartina. Mustafà non lo può aiutare, poi non sa
nemmeno leggere, come gli viene rinfacciato malamente dal figlio (ormai
giunto al limite della sopportazione), ma sa scrutare il cielo, così
stabilisce ancora una volta da che parte andare, non impedendo però di
perdere ulteriormente la rotta e di aumentare il disorientamento.
Il bivio a cui approdano è espressione metaforica del loro rapporto: la
ripresa dall’alto mostra la macchina ferma, facendo solo presupporre
allo spettatore che cosa stia passando nella testa dei due protagonisti;
uno andrebbe a destra e l’altro sicuramente a sinistra, ma l’auto
rimane immobile per l’intera notte, indicando significativamente e solo
con poche inquadrature la sostanza del film, ossia la non volontà di
predominare sull’altro, tenendo uniti i due destini, che, pur
percorrendo lo stesso tragitto, si trovano comunque a marciare su strade
parallele. Qualunque percorso scelgano, e questo il film non lo rivela
(proprio perché non si presenta ai loro occhi come un bivio, ma solo come
un’incomprensione), il padre è destinato a raggiungere la propria morte
a La Mecca.
Un’altra tematica parallela, rivelata man mano da numerosi dettagli
disseminati lungo il film, che producono senso soltanto alla fine, è data
dalla progressiva spoliazione della propria figura da parte del padre, che
arriva a essere nudo con un solo lenzuolo addosso, mentre si avvia verso
La Mecca. Questo percorso iniziatico è evidenziato maggiormente dal fatto
che il pellegrinaggio, qualsiasi esso sia, ha valore in sé e lo desume
grazie a questo azzeramento, che non ha bisogno di assorbire gli umori
delle città attraversate, che caricherebbero il pellegrino di ulteriori
fardelli mondani di cui deve invece imparare a sgravarsi, pertanto sono
sufficienti i propri mezzi per raggiungere lo scopo, ossia il viaggio
stesso e solo la strada che unisce un punto all’altro del tragitto. Non
vengono infatti mostrate città, né il padre permette al figlio di
visitare quelle che vorrebbe, a parte Istanbul, di cui viene mostrato solo
l’interno della moschea di Santa Sofia, dove il padre si fermerà a
pregare.
Compare all’improvviso una vecchia, tutta vestita di nero, il suo viso
dai lineamenti balcanici è segnato dalla sofferenza e gli occhi severi
rivelano uno sguardo duro e per niente socievole: la bloccano per chiedere
informazioni, ma l’anziana, anziché rispondere, apre con sicurezza la
portiera posteriore e si infila nell’abitacolo, intenzionata a farsi
dare un passaggio. Dalla sua bocca esce solo una parola, scambiata per il
nome di un presunto paese, mentre la sua mano destra indica una direzione:
andare avanti!
Terza tappa
Durante la sosta alla dogana tra la Croazia e la Serbia per l’ennesimo
controllo dei documenti, la vecchia sparisce, con la stessa rapidità con
cui aveva in precedenza occupato il sedile posteriore, per materializzarsi
oltre la frontiera, ritta in mezzo alla strada, decisa a ottenere un nuovo
passaggio. Reda non vorrebbe, è infastidito e quasi spaventato da quella
presenza inquietante, ma il padre acconsente e i due anziani si lanciano
uno sguardo profondo, segnale di un’intesa misteriosa.
Strada facendo finirà per prevalere l’opinione del figlio, intenzionato
invece a sbarazzarsi della vecchia con un ingenuo stratagemma: lasciarla
seduta al tavolo di una trattoria, raggiungere di corsa l’automobile e
partire. Il padre non si opporrà alla sua trovata, ma gli darà il tempo
per comprendere che l’anziana l’aveva comunque intuita, infatti,
quando i due se la danno a gambe, rimane impassibile a guardarli,
comodamente seduta e senza scomporsi. “Che Dio l’aiuti!”, esclamerà
Mustafà, guardandola dal finestrino per l’ultima volta.
Quarta tappa
Raggiunta Belgrado, Reda vorrebbe tanto poter telefonare a Lisa
dall’apparecchio dell’albergo, fa persino un timido tentativo, ma si
accorge di essere costantemente sorvegliato dal padre, i cui imperativi
categorici finiscono con l’essere presenti anche quando lui è fuori
scena. Come non bastasse il genitore gli nasconde persino la fotografia
dell’amata che il ragazzo aveva smarrito sul sedile!
Di fronte all’ennesimo litigio, Reda finisce per trascorrere la nottata
in un locale equivoco, bevendo e rimorchiando una ragazza. Scoperto dal
padre, che ha ormai fatto la valigia e stabilito di proseguire il viaggio
da solo, dovrà scusarsi e andare a recuperarlo per strada.
Quinta tappa
Il viaggio prosegue verso la Bulgaria attraverso strade innevate e
paesaggi montani, che danno il tempo per una tregua, necessaria per
scaldare membra e cuori. In questa circostanza la coppia dialoga per la
prima volta: il figlio domanda al padre se non era meglio per lui,
considerati anche gli acciacchi dovuti all’età, affrontare il viaggio
in aereo, il genitore risponde, affidandosi ai suoi ricordi di bambino,
quando voleva essere il primo a vedere il ritorno del padre da La Mecca,
dove si era recato a dorso di un mulo. “L’acqua dell’oceano ritorna
sempre purificata in mare”: il racconto del ciclo dell’acqua gli serve
per affrontare un principio religioso attraverso l’esame di un fenomeno
fisico, oggetto in realtà di studi scientifici; un’angolazione
inusuale, decisamente fuori dagli stereotipi religiosi, sicuramente più
adatta a essere compresa dall’universo di riferimento del giovane.
Il pernottamento nel regno del ghiaccio, che non accenna invece a
evaporare per dar corso alla ciclicità precedente, riserva però
un’amara sorpresa al mattino: l’automobile si è trasformata in un
igloo, l’anziano sta male e dovrà essere ricoverato d’urgenza presso
un ospedale di Sofia. Per fortuna si riprenderà in fretta e potrà
concludere il pellegrinaggio sognato per tutta la vita, mentre il giovane
avrà il tempo di riconoscere, transitando in autobus per le vie della
capitale bulgara, proprio la vecchina nero vestita abbandonata giorni
prima: un’altra anziana tornata sicuramente a completare il suo ciclo!
Sesta tappa
Alla frontiera con la Turchia compare stavolta un aiutante magico: un
cittadino di Istanbul, faccendiere e chiacchierone, che si presta a far da
traduttore, per risolvere alcune formalità burocratiche. La sua cortese
ospitalità nasconde in realtà il desiderio di farsi portare fino a La
Mecca, approfittando dell’inaspettata occasione. Questa volta è il
padre a non vedere di buon occhio la nuova intrusione: il passeggero, un
ex emigrato che ha abbandonato in Francia una donna
- non musulmana - per rifarsi una nuova famiglia al paese, non gli
ispira fiducia, non lo ritiene spiritualmente pronto ad affrontare il
pellegrinaggio. Inoltre ha un’influenza negativa sul ragazzo, poiché lo
spinge a bere fino ad ubriacarsi, per poi sparire misteriosamente la
mattina dopo. Forse quello strano individuo voleva solo scroccare un
passaggio, ma il vecchio non trova più il denaro che aveva celato dentro
un calzino e allora il dubbio che il turco sia in realtà un ladro, lo
spinge a coprire di rimbrotti il figlio, ingenuo e credulone. Si verrà in
seguito a scoprire un’altra verità: l’anziano aveva dimenticato di
aver nascosto il bottino altrove, ritrovato per caso dal figlio, che gli
farà credere si tratti di una somma ottenuta come risarcimento
dall’assicurazione.
Settima tappa
Prima della fortunata scoperta, il viaggio verso la Siria procede in
economia: Mustafà tira fuori alcuni quattrini nascosti in cintura, ma
bastano solo per un pieno e per comprare un po’ di uova. Durante una
sosta per rifornirsi d’acqua, l’anziano elargisce quel poco che ha
ancora nelle tasche a una donna che chiede l’elemosina. Apriti cielo!
L’affamato e stanco Reda perde le staffe, cerca di sottrarre la
banconota ormai in mano alla questuante, ma riceve in risposta un sonoro
schiaffo dal padre. La misura è colma: il giovane agguanta la valigia e
s’inerpica lungo una duna, deciso a non fare marcia indietro! Stavolta
sarà il padre ad andarlo a recuperare: una volta raggiunto, ansimante e
con il fiato in gola, dopo l’estenuante camminata sotto il sole,
pronuncerà solo alcune frasi: “Una volta arrivati a Damasco, venderemo
la macchina e tu potrai ritornare in aereo. Sei libero!!”.
Ovviamente la coppia si ricompone, ma il ragazzo, se da un lato è
tranquillo perché sa di aver ormai poca strada da fare, dall’altro
continua a lamentarsi perché ha fame e vorrebbe mangiare qualcosa di
sostanzioso, della carne ad esempio. Detto fatto: il padre baratta la
macchina fotografica con un montone, deciso a macellarlo, ma il figlio,
anziché tenerla fermo, lo lascia scappare. Il sacrificio non può
pertanto aver luogo, così il rito mancato crea il pretesto per
un’ulteriore baruffa.
I ruoli si ribaltano ancora una volta: la vittima diventa il carnefice,
l’offeso precedente si trasforma in colui che crea nuovi argomenti per
contendere. Quello che se ne va adesso è il padre, mentre il figlio lo
insegue con l’auto, sperticandosi in scuse. “Ma non esiste il perdono
nella tua religione?”: trattandosi di un pellegrinaggio verso La Mecca,
il padre non potrà esimersi dal perdonarlo, come la “sua” religione
d’altra parte insegna. Una maggiore tolleranza nei confronti
dell’altro da sé, unita all’attenzione di capirne le ragioni, pur
restando sempre fedeli alle proprie convinzioni, accompagna il tragitto
finale, segnando l’ingresso in Arabia Saudita.
Ultima tappa
Una prolessi onirica anticipa il messaggio del viaggio filmico: il ragazzo
sogna di sprofondare nella sabbia del deserto, mentre il padre,
transitando da quelle parti alla guida di un gregge di capre bianche e
nere, procede con indifferenza. L’inconfessabile timore di diventare
orfano e di conseguenza imprigionato all’interno della sua visione del
mondo (difesa strenuamente per rimarcare la differenza rispetto a quella
incarnata dal padre) si materializza all’improvviso, al punto che, solo
una volta giunti a destinazione, il figlio dimostrerà interesse a capire
perché il genitore abbia deciso di intraprendere quel viaggio. Le
risposte di Mustafà non si discosteranno dalla tradizione: andare a La
Mecca significa raggiungere il luogo santo per i musulmani, celebrare
l’eternità del profeta Abramo, ma nel suo caso specifico ha
rappresentato imparare anche altre cose in compagnia del figlio. Entrambi
riconosceranno l’importanza della loro difficile convivenza e potranno
accomiatarsi l’uno dall’altro, scoprendo aperture possibili nei
confronti delle rispettive culture di origine: il padre farà ritrovare al
figlio la fotografia della ragazza amata, benedicendo forse in cuor suo il
rispetto di quel legame multietnico, il ragazzo sarà costretto a
mescolarsi ai riti dei pellegrini, raccolti in preghiera, per compiere un
ultimo gesto: recuperare il corpo del genitore e seppellirlo secondo la
tradizione proprio nel luogo sacro per eccellenza.
Lasciandosi La Mecca dietro le spalle, prima di salire sull’aereo che lo
porterà a casa, al ragazzo verrà naturale fare anche qualcosa in più:
accorgersi della presenza di un mendicante e fargli un’elemosina…
Potrebbe risultare solo un gesto retorico, ma il suo atteggiamento sembra
sincero. L’eredità che si porta appresso al termine di questa
esperienza, che si è man mano trasformata in una sorta di accompagnamento
funebre del padre nel suo viaggio verso la morte (o la vita eterna?), non
aveva infatti lo scopo di convertirlo, ma di arricchire il suo laicismo di
sentimenti umani, più attenti alla tolleranza e al rispetto della
diversità. Il viaggio ascetico del padre permette inoltre al figlio di
comprenderne la morte, intesa come progressiva spoliazione di tutti gli
aspetti mondani dell’esistenza.
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