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Festival del cinema africano - Milano, 2004
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Ironie nordafricane!
Contaminazioni teatrali nei corti in concorso.

"Fino ad oggi l'ironia faceva parte della letteratura teatrale." Questa le parole di Aziz Salmy (Marocco) che ieri sera ha presentato Un voyage de trop, un cortometraggio colorato al passaggio del quale il pubblico si è fatto travolgere dall'ilarità di un viaggio come tanti altri (ovviamente su un camion, coloratissimo anche lui!).

E' abitudine in Africa utilizzare mezzi di locomozione destinati ad altro uso per gli spostamenti. E su queste strade bianche e desolate gruppi di famiglie attendono un qualsiasi quattro ruote per raggiungere la propria meta. Ma quello di Salmy è particolare. L'autore teatrale, regista, attore cinematografico e televisivo ci presenta un camionista che arrotonda le sue entrate caricando passeggeri sul suo automezzo. Siamo alla vigilia della festa mussulmana. Per le strade c'è grande agitazione: tutti tornano a casa con un montone da sacrificare. Ma il viaggio si fa più movimentato quando nella cabina del camionista prende posto una donna velata dagli occhi seducenti con il suo figliolo. Silenzi di intensa comunicazione seguiti da battute teatrali e da gag televisive portano fino ad un crescendo dove il camionista e la donna si parlano attraverso il figlio come una coppia consumata. La mamma rimprovera il bimbo di non mettere le mani addosso ad una bambola per farsele togliere dal camionista. Il protagonista sottolinea quanto il gioco piaccia al figliolo per dichiarare la fascinazione di cui è oggetto e che causerà un cambio di scena e di prospettiva con un coup de thèatre più che con un colpo di scena: tutti i passeggeri, montoni compresi, vengono uno ad uno scaraventati fuori dal camion a causa del bimbo che gioca e solleva inconsciamente la leva. E il camionista si ritrova privato del suo camion dai gendarmi del caso, ed è costretto a viaggiare in mezzo ai montoni trasportati dal carretto che gli da un passaggio.

Cousines

Donne sempre donne che fanno perdere la testa ad uomini, che le relegano a condizioni di diseguaglianza ed ingiustizia. Ma mentre Salmy lancia una rivincita di quel sesso "debole", tanto temuto e nascosto nel mondo mussulmano, Salem, autore algerino anch'esso in concorso, ferma il mondo femminile del suo paese in maniera più drammatica. Cusines segue per trenta minuti il rientro in patria di un suo cittadino. Driss torna ogni anno ad Algeri in vacanza per godere del calore e della spontaneità di genitori e parenti. Vivendo a Parigi riscuote la simpatia delle cugine che lo sentono più aperto e sensibile ai loro problemi di donne. La linea che divide il mondo degli uomini e quello delle donne si è fatta ancora più netta in una città sotto la minaccia integralista (le cronache pochi mesi fa ci hanno riportato il liberatorio voto alle donne in Algeria!). L'assassinio di una ragazzina che si rifiutava di portare il velo riconduce tutta la narrazione all'insensato divieto che gli uomini di famiglia impongono alle donne: partecipare ad una vita sociale, e soprattutto alle manifestazioni, uscire da sole, mostrarsi in atteggiamenti equivoci. Ma la stridente contraddizione di una società in cambiamento ci dipinge donne vestite all'occidentale, recluse in casa, con la patente in tasca, ma il divieto psicologico di guidare. Driss si scontrerà con il cugino Amrane prendendo una netta posizione di libertà e rispetto, instillando nelle donne della sua famiglia una ribellione.

Dal Dies Irae iniziale si accappona la pelle nella premessa drammatica, ma Salem, classe '73, anch'esso attore teatrale, cinematografico e televisivo, utilizza proprio la musica per preannunciare e commentare i momenti di cambiamento e ribellione. Il rap sottolinea i momenti idilliaci in cui le donne provano a sentirsi libere e felici: l'incontro con il cugino, la manifestazione politica, la serata tra donne, la protesta della ragazza che ruba le chiavi della macchina per scappare e ritrovarsi nella manifestazione conclusiva: BASTA AL TERRORE, urlano virago schierate per la libertà. Personale, sociale, globale.

MalinNel panorama dei lunghi in concorso, invece, veniamo piacevolmente colpiti dall'opera di un kazako. Una delicata commedia ironica, un po' incompleta, che si perde nell'intimismo, ma centra perfettamente l'obiettivo ironico.La storia di Beck e Max, due giovani di Alma Ata, sembra quella di un qualsiasi ragazzo del mondo. Si guadagnano da vivere con il mercato nero in giacca e cravatta. Si ritrovano in riunioni motivazionali, stile multilevel americano, dove Max primeggia e Beck è sempre perdente. Perché è un timido, un sognatore. Max, invece, ha affinato le strategie di sopravvivenza e mira alla grande svolta: un lavoro in Germania. I vuoti delle periferie della grande citta ex sovietica e lo squallore della tappezzeria degli interni, ravvivati solo da poster di due "miti" contrapposti (il bullo per Max, la fascinosa femme fatale per Beck) fanno da ottimo background a situazioni vivaci. La simpatia della coppia di protagonisti è supportata da uno stuolo di donne (che entrano solo nella stanza di Max). Quelle che devono restare un mero oggetto sessuale, a cui non bisogna mai credere, che bisogna liquidare con i soldi per un aborto ("l'uomo responsabile è tale perche paga l'aborto"-sottolinea Max). E sarà proprio una donna quella che distruggera questi due "prodotti della civilizzazione", quella che li infilerà nudi in un letto facendoli vacillare davanti al dubbio di non essere più machi o uomini responsabili... Il film declina verso un finale di abbandono, di separazione, di divisione. Da se stessi prima di tutto.

Intanto, il Festival si avvia alla conclusione e propone un intenso week-end. Imperdibile, come sempre, tutta la sezione del concorso, ma, soprattutto, la tavola rotonda sul SudAfrica e i suoi dieci anni di democrazia e la retrospettiva sul genocidio ruandese di sabato.

Domenica grande appuntamento con il primo lungometraggio di animazione africano, realizzato con la tecnica della Junk Art.

Serata di premiazione, infine, con la proiezione dei migliori film di quest'edizione 2004. Quella che ha portato un po' di ironia, teatrale forse, ma necessaria per tutti quei popoli che stanno vivendo momenti di morte e sofferenza. E sognando la democrazia che l'occidente gli sta regalando. Con la guerra.