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Festival del cinema africano - Milano, 2004
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Il grido di pace del Festival del Cinema Africano
Entrato nel vivo il concorso pervaso dal concetto del rispetto .

La XIV edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina è ufficialmente entrata nel vivo ieri sera con l'apertura del concorso.

Il tris Algeria, Marocco, Iran ha confermato la qualità, a cui siamo stati abituati, portando una novità nella selezione riservata a giovani artisti.

Infatti, il nome di Idrissa Ouedraogo, regista del Burkina Faso con 12 titoli all'attivo e premiato nelle edizioni 1991 e 1995, ieri ha avuto il compito di aprire la Panoramica sul Cinema Africano. (vedi link Panoramica)

La colère des dieux (La collera degli dei) ripropone lo sguardo intenso del regista attraverso la sua tradizionale narrativa favolistica per un appassionato ritratto politico, storico e intimista. Il potere, l'amore, l'usurpazione della libertà da parte dell'uomo bianco, la vendetta scorrono sullo schermo secondo gli stilemi del racconto orale africano. E' l'aquila dal collo bianco che vola sempre più alta, irragiungibile, quella che detiene il segreto del potere. Ed a mo' di morale di una fiaba ce ne lascia due verità in cui è racchiuso: "Primo: non preoccuparti di ciò che pensano gli altri. Secondo: lascia che siano gli altri a preoccuparsi di ciò che pensi tu!" Ouedraogo, come sempre, ci avvolge per la fotografia incisiva, per i silenzi assordanti, per la circolarità del racconto cinematografico. Seguiamo i protagonisti, rigorosamente corali per la letteratura africana, stretti tra lo spirito comunitario di lotta contro i potenti (il re, i francesi) ed il lacerante dolore della perdita degli affetti. E sui titoli di coda ci ritroviamo a riflettere sull'insensatezza di vite sprecate all'insegna dei giochi di potere. Individuali e collettivi, Ma l'aquila dal collo bianco ci porta via con sé.

Il primo lungometraggio in concorso Danehaye Rize Barg (Minuscoli fiocchi di neve) porta la firma dell'aiuto regista di Ghobadi (quello de Il tempo dei cavalli ubriachi). Ali-Reza Amini, classe 1970, è un prolifico autore il cui primo lungometraggio sulla storia di alcuni soldati iraniani, censurato in patria, ha raccolto consensi in tutto il mondo.

Al Festival presenta la solitudine e diffidenza di due guardiani di una miniera isolata tra le montagne. Il possesso e la gelosia delle piccole cose in un luogo sperduto ed ameno è lo stesso che assilla tutto il nostro globo terracqueo.

Cessez le feu (Fermate il fuoco) - Ahmed ZirCosì come nel suo corto Cessez le feu (Fermate il fuoco) Ahmed Zir lancia un appello estremo contro la violenza che sconvolge l'Algeria. E non solo. L'insegnante algerino (che ha già realizzato 45 corti in Super-8 mietendo una trentina di premi in festival internazionali) fa urlare il grido di pace ad un bambino. Il pastorello arroccato con le sue pecore sulle montagne al confine della Mauritania, non sa leggere, non sa scivere, ma la violenza dell'assassinio del padre ha talmente turbato la sua giovane mente da portarlo ad apprendere da autodidatta e, quindi, scrivere in ogni forma ed in ogni dove il suo ingenuo appello: fermate il fuoco. Fa da contraltare a questa giovane creatura, profondamente segnata dalla violenza e dalla solitudine, un'intera classe di scolari (Zir dichiara tra l'altro che nei villaggi delle montagne algerine di insegnano francese, arabo, inglese e berbero… glielo diciamo alla Moratti?). E proprio l'ignorante pastorello porta nella classe il messaggio CESSEZ LE FEU! Forse la soluzione per la pace è nascosta nell'ascolto, anche di chi, con saccenza tacciamo di inferiorità?

Il concorso di ieri (oggi in replica alle 16:30), quindi, lanciava molteplici grida di pace. Il più assordante ed efficace è quello lanciato da una donna contro l'inutilità della proprietà e della violenza. Lo sguardo altro della regista marocchina Laila Marrakchi, al suo secondo corto, propone egregiamente un corto circolare. La giovane si è, infatti, laureata all'Esra francese con una tesii su Wenders, maestro della circolarità. E già dalla prima panoramica aerea ce lo ricorda. Deux-cents dirhams (duecento dirham) sono quelli che capitano per caso nelle mani di un altro pastorello (il Festival vuole mostrarci proprio l'essenzialità delle cose e dei ruoli semplici?). Ingenuamente il bimbo le vessilla in tutto il villaggio. Ma, mentre per lui sono il simbolo dell'affrancamento (andare a scuola in città), per tutti rappresentano uno strumento di potere. Il protagonista dovrà difenderli strenuamente da tutti i suoi coetanei e dagli adulti avidi che desiderano il possesso di questa cifra. E' rattristante vedere la libertà e democrazia che abbiamo inculcato noi occidentali nei popoli che ci ostiniamo a chiamare in via di sviluppo!

Seguendo le evoluzioni del bigliettone tanto ambito, si cade in angoscia quando lo zio ubriacone se ne appropira sperperandoli per il proprio vizio. Ma questa debolezza, con un magistrale colpo di scena innescherà un circolo che, come nella scena iniziale, porta all'happy end. Immaginiamo guardando il cielo terso, punteggiato da nuvole all'africana, che quei 200 dirham volteggianti tornino, circolarmente appunto, nelle mani dell'anima pura e realizzino il suo sogno. Ed anche il nostro: che il danaro sia solo uno strumento e non un obiettivo o il simbolo del potere.

Una buona partenza, dunque, per un Festival che si è aperto a tutto il Sud del mondo. All'insegna della pace e dei valori, primitivi forse, ma assoluti.