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Festival del cinema africano - Milano, 2004
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Donne Altre: Sguardi Altrove
Un monito egiziano contro la dipendenza dagli strumenti di controllo e il viaggio di ricerca della trilogia di Attali.

In questi quattordici anni, non è mancata edizione del Festival che non mi abbia lasciato riflessioni profonde e universali.

Per una settimana l'ho ricercata strenuamente e con difficoltà. Alle volte chiedendomi perché Alessandra Speciale e Annamaria Gallone, le direttrici artistiche, abbiano dato spazio ad alcune pellicole, che non solo non hanno diritto alla valutazione (e mi sono rifiutata ieri sera di esprimere il mio giudizio sulla coproduzione USA/Taiwan), ma sono un furto: temporale, economico ed intellettuale.

Promuovo l'espressione ad ogni livello, libera ed incondizionata, ma imporre ad un pubblico pagante, piuttosto che agli addetti ai lavori certi film è un vero delitto.

Poiché, però, per filosofia di vita sono avvezza a dedicarmi solo a ciò che reputo valido ed essendo un'inguaribile ottimista, mi sono orientata in questa faticosa maratona solo verso ciò che di buono c'è. Ed ho scovato anche quest'anno quel messaggio universale che parla a noi occidentali con un linguaggio semplice, che va dritto al cuore e stimola l'attività celebrale.

One nightIl corto in concorso per l'Egitto (uno dei paesi storicamente più presente nella letteratura cinematografica altra) One night, ci fa soffermare sulla nostra condizione di paesi in via di sviluppo. La non comunicazione di due amanti, silenzi, malintesi ed equivoci vengono aggravati dall'uso improprio del cellulare. Sì, proprio quello strumento di controllo, che ti fa lavorare in maniera veloce ed efficace, che tranquillizza chi ti ama nella complicità di sopperire alla mancanza di affetto fisico, che ti dà l'idea di essere libero, trasformandoti in uno schiavo legato da mille catene.

E l'intimissima Soad Shawky, una donna per l'appunto, costruisce in trenta minuti una farsa semplice, ma estremamente efficace. Tra la coppia di fidanzati che non parla, ma gioca con l'amore tra SMS, chiamate non risposte e voci metalliche, s'introduce il terzo elemento: non un amante, ma un saggio anziano, Youssef, costretto dalla figlia Alia a detenere un cellulare. Per farla stare tranquilla, appunto. La serenità della giovane, però, corrisponde ad un controllo spropositato del "vecchio", nonché alla chiave di lettura del film.

Un incipit che ci presenta i due grandi fratelli a cui siamo assoggettati: una televisione che addormenta il cervello con soap opera e consente di giocare con il "mobile". L'amante insicura che misura l'affettività di Adham con il parametro delle risposte testuali e vocali, mentre l'amato lascia squillare a vuoto sulle note di Tom Waits. Parte il messaggio, quello che dovrebbe determinare una reazione immediata: la minaccia di un suicidio. E la provoca. Nel vecchio, però, che diviene, per un errore numerico, il ricevente. Allarmato dalla minaccia, l'anziano riesce a raggiungerla, a divenire il suo confidente, a farla riflettere sull'importanza del dialogo e della dichiarazione esplicita e schietta dei sentimenti. Tutto con un'ironia e con una quantità di gag serratissime. L'educatore, dopo aver compiuto la sua missione, resta solo. Come in realtà siamo tutti. E ci basterebbe solo riconoscerlo ed accettarlo, senza trovare finti sostituti di umanità.

Ringrazio l'autrice egiziana per avere contribuito a diffondere un messaggio così importante.

Sempre con sguardo femminile entriamo in un altro viaggio di ricerca. Coincide con quello della parigina Laurence Attali, che porta quest'anno al Festival (fuori concorso perché già affermata e non africana) l'ultimo e personalmente atteso capitolo della sua trilogia: Le Déchaussé (Lo scalzato). Quest'opera, perché tale è il suo livello, è principiata nel 1999 con Même le vent, proseguita nel 2000 con Baobab e conclusa nel 2003, appunto, con il corto presentato ieri. Senegal ai giorni nostri. In una Saint Luis colorata e purificata da mare e laguna (la città è considerata la Venezia d'Africa e la Attali confessa di aver pensato di girarlo proprio nella nostra romantica città), si consuma la storia d'amore di tre personaggi: il cantante (Cheikh Lô), la violoncellista (Maylis Guiard Schimid)ed il soffio di uno spirito incarnato nel suono di una tromba. Tutto comincia la sera del concerto al Bistrot del faro. Ben, il trombettista, muore davanti alla moglie Ester (una fantastica attrice non professionista, ma brava violinista che a Saint Luis è rinomata come albergatrice) ed al fratello Boz , appunto il ritrovato ed amato Cheikh Lô (disponibili nei negozi sia colonna sonora del film che altre chicche del musicista). Sulle note dei due artisti si svolge la scena della ricerca della libertà e dell'incontro delle culture africana e ebraica. Cheikh nei panni del cognato di Esther è oggetto dell'applicazione di una legge che impone di sposare la vedova del fratello. Questa "norma tramandata" esiste sia nella cultura africana, che in quella ebraica. Ed il non rispetto ha come conseguenza l'essere "scalzato". Attali, sottolinea che la bibbia recita di toglierti la scarpa se devi dare qualcosa a qualcuno. Per liberarti. E il rituale si consuma in tribunale, dove Booz viene privato della sua scarpa rossa, dopo aver rifiutato tre volte di sposare Esther. Ed è, quindi, libero di amarla al di fuori delle leggi. Felliniano nei ricordi, nei colori e nei costumi della rinomata Noussi (mi son sempre chiesta perché Almodovar non l'assoldi!), questo film sensibile, delicato ed indispensabile ci lascia una morale felice e propositiva: l'amore è qualcosa che vuoi assolutamente dare a qualcuno che non lo vuole. E non per questo non devi regalarlo.

E sotto le perturbazioni metereologiche l'edizione numero quattordici del Festival si avvia alla conclusione. Vale la pena, comunque, dedicare questo week-end sonnecchiante alle ultime proiezioni che ci porteranno alla proclamazione dei vincitori di domani sera (San Fedele e Oberdan oe 21) e, quindi, alla proiezione dei migliori in concorso. Restano ancora poche visioni altre: la replica del corto egiziano, la prima del corto Algerino e del lungo sudafricano all'Oberdan e gli utimi due corti (Burkina Faso e Senegal) e due lunghi (Marocco e Angola/Portogallo) in concorso (vedi Ultime note di colore al Festival del Cinema Africano) .

Le ultime occasioni per imparare il senso di pace, amore e rispetto.