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Amic/Amat
Anno: 1998
Regista: Ventura Pons;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Spagna;
Data inserimento nel database: 18-04-1999


Amic/Amat
Visto al 14' Festival Intern. di Film con tematiche omosessuali ------------

AMIC/AMAT

Regia: Ventura Pons
Formato: 35 mm.
Provenienza: Spagna
Anno: 1998

Incidentale il tema gay e pretestuoso l'argomento AIDS per un film che scandaglia invece due diverse paure di due generazioni profondamente differenti: i cinquantenni posseduti dalla paura della morte, che significa ricerca di un'eredità da tramandare o finalmente di esprimersi come individui; i giovani, impreparati a operare scelte nonostante la sfrontatezza, alla ricerca rabbiosa (Vila) o incantata (Morena) di un paradigma da seguire.

In questa categoria non rientra certo il padre docente universitario insensibile ed incapace di comprendere le frustrazioni della moglie, se non quando gli rivela che lo lascia, non in grado di affrontare la gravidanza della figlia, né di comunicare con il giovane maudit. Ma soprattutto la sua chiusura si avverte nei rapporti con Jaume, professore di letteratura medievale che ha contratto l'AIDS ed è alla disperata ricerca della salvezza. Proprio questo aspetto risulta contenutisticamente innovativo, perché la ricerca di una salvezza non ha nulla di trascendentale o metafisico (il dramma, che per soluzioni di sceneggiatura sfocia talvolta nel vaudeville per salvaguardare gli intrecci, è rinchiuso in un ambiente di intellettuali di sinistra): Jaume vorrebbe dall'amico un gesto più intimo, una complicità che desse un senso al suo amore giovanile per lui, ma trova un'opposizione trincerata dietro la distinzione tra "amistad" (amicizia) e amore; spiega la sua laica necessità salvifica: "Non parlo di trascendenza , ma dell'uomo, mi interessano quelli che vengono dopo di me".

La soluzione per rispondere all'ossessione di lasciare un fra mmento di sé è interessante: allo stesso studente marchettaro che ha ingravidato Morena e di cui Jaume è innamorato, viene affidata l'eredi tà che è un fardello duplice: il giovane è intrappolato dag li eventi, non può sottrarsi. Nella soluzione cinematografica di questa i ntuizione originale ci sono due aspetti ben realizzati: la scelta non cade avven tatamente, perché il giovane Vila è un proletario senza ideali, al contrario del padre morto (altra eredità pesante), è uno scanzona to e sgradevole per la sua indifferenza, molto intelligente (la tesi su Llull lo dimostra) e provocatorio, tanto da dividere nel giudizio su di lui i due amici docenti, ma soprattutto è anticonvenzionale e dimostra sotto la scorza du ra di essere sensibile proprio nell'episodio in cui pesta il vecchio omosessuale , dileggiandolo; il secondo aspetto di particolare interesse è come la trappola si chiuda su di lui quasi inconsapevolmente da parte di tutti, forse pure dello sceneggiatore stesso, che se la ritrova confezionata dai due puntelli inseguiti per tutta la città (la descrizione del disperato afflato di salvezza in un futuro non prossimo e la paura angosciosa per quello immediato) attraverso cinque individui soli nella metropoli occitana, come si vede in una classica sequenza di rimeditazione solipsista con sfocature da teleobiettivo che isolano il singolo personaggio. A Vila viene astutamente demandato il compito di decidere dell'ultimo suo saggio dal moribondo professore, umiliato e picchiato come avviene agli intellettuali gay (Pasolini in tralice), ma apprezzato per le sue lezioni sulla malizia nella letteratura, e lui opta per la distruzione; salvo poi ritrovarsi unico depositario dell'eredità del malato, poiché lo ha letto, incatenato alla memoria del saggio (che non sarebbe piaciuto al docente, dimostratosi inaffidabile), che non potrà lasciarlo e condizionerà le sue produzioni. Ovviamente il giovane nel momento stesso in cui distrugge l'ultima copia del saggio capisce la responsabilità di cui è investito e farà da esecutore testamentario del professore (la letteratura aveva insinuato il germe della malizia in modo molto più approfondito di quanto pensasse), decidendo di occuparsi del nascituro, mentre Morena è probabilmente cresciuta, cominciando a far sua l'eredità di Alba, la quale prende la decisione di emanciparsi, forse in seguito alla rievocazione della sua gioventù di militante izquierdista o più probabilmente perché si è resa conto di non poter vivere tramite altri, al contrario di Jaume, che ormai può solo più farlo per delega. L'unico impantanato nel suo tronfio mondo intollerante e indisponibile rimane il padre di Morena, abbandonato da tutti.

 

La comicità di certi dialoghi femminili rendono Bias un Almodovar catalano, che ama la sua città ("Barcelona" dice la madre incantata sul terrazzo a pochi metri dalle guglie della Sagrada Familia, dopo che un primo scambio di conoscenze tra madre e figlia avviene al Parco Güell) e rende credibili i suoi attori proprio inserendoli in un contesto corale. Stucchevole il decorativo anello da icona gay virata in rosso in cui è compreso il film: all'inizio si vedono i dettagli di un corpo maschile che si prepara agli incontri mercenari, è quello di Vila, ma la identica sequenza del finale assume un valore diverso, caricata dalla accettazione di essere strumento di salvezza dei frammenti di Jaume.