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Music Graffiti - That thing you do
Anno: 1996
Regista: Tom Hanks;
Autore Recensione: Luca Aimeri
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 05-11-1997


That Thing You Do (Music Graffiti), scritto e diretto da Tom Hanks. Con Tom Everett Scott, Liv Tyler, Tom Hanks, Jonathon Schaech, Steve Zahn, Ethan Embry, Chris Isaaks. Usa, 1996.

Tom Hanks passa dietro la macchina da scrivere, nelle vesti di sceneggiatore; passa dietro la macchina da presa, come regista; infine torna davanti all'obiettivo, interpretando il personaggio relativamente secondario che si è scritto. Sceneggiatore, regista ed interprete...: un film personale? Nella rosa dei produttori, spicca il nome di Jonathan Demme (che aveva diretto l'attore in "Philadelfia", nel ruolo che gli valse il primo Oscar)...: tira aria di professionalità. Ed infatti il risultato è un prodotto perfettamente confezionato: veloce, accattivante, colorato, semplice efficace leggero diretto mirato... per molti versi una piccola boccata d'ossigeno in una stagione piuttosto piatta. La trama è essenziale: 1964; in una cittadina statunitense quattro amici, quasi per caso, mettono su un gruppo; e quasi per caso finiscono nel giro giusto, nel business; nell'arco di una sola estate sfornano un paio di quarantacinque giri, scalano le classifiche, appaiono in tv, diventano fenomeno ed oggetto di culto, infine la parabola ascendente si interrompe in modo brusco... Sottotrama, rigorosamente rosa: la bella Liv Tyler, groupie della band, accompagna le giovani promesse nella tournée, ed il suo devoto amore per il cantante è la prima cosa a disintegrarsi nell'impatto con l'atmosfera dello show-business. E' tutto: e non ci si sente in colpa a raccontarlo; perché è tutto chiaro fin dai primi cinque minuti di proiezione. Ma non è una pecca tale scontatezza, anzi è la forza del film: formula collaudata (la palla di cannone: botto, ascesa, apice, caduta, botto; l'arte sta nel cadere in piedi), viene stringata ed asciugata sino ai tratti essenziali da Hanks, permettendo all'attore-regista di lavorare all'affresco d'epoca che evidentemente gli premeva... Attenzione maniacale ai dettagli sottolineata da un montaggio tra il clip ed il commercial d'epoca, fotografia velata di polvere che sottolinea i colori pastello e predilige le sgranature, forse qualche recupero d'archivio rimesso a nuovo; ricostruzioni di ambienti che ben presto si rivelano contenitori di atmosfera, american-dream-quiete-prima-della-tempesta che si muove tra canzonette twist-rock beatlesiane, appassionanti jam-session jazz, neon e lavatrici: sale d'incisione e club fumosi, vinile e bobine, way-farer neri e televisori general-electric ingombranti, conduttori folletti viscidi-alla-brillantina e produttori senza scrupoli, beach party movies e bagni di folla... Anni di passaggio, di transizione e mutazione, di fermento: la musica pop ed i giovani diventano un "affare", il jazz invecchia di colpo e viene rinchiuso in piccoli club-santuari/ospizi, la televisione diventa focolare, l'atomica aleggia sotto forma di incubo esorcizzato dal linguaggio ("atomico!"). Si respira aria elettrica, solo parzialmente nostalgica: Hanks riesce a comunicare l'entusiasmo stupito del sogno ad occhi aperti dei suoi protagonisti, la spensieratezza del tuffarsi in qualcosa di troppo grande, senza tralasciare, parallelamente sommessamente non-moralisticamente, sottili frecciate ad un sistema che, solo apparentemente naïve, ti sballotta (allora come oggi) tra stelle-e-stalle approfittando della buona fede e dell'ingenuità, penalizzando le velleità artistiche... Questo è show-business, cioè usa-e-getta: prendere o lasciare. Il consiglio di Hanks: prendi il meglio, butta il resto; intanto non dura, la felicità sta altrove. Come da copione. Percorso di formazione, musical, comedy e love-story shakerati senza intrugli di troppo: semplicemente. Hanks, può piacere o meno, è obiettivamente straordinario come attore: il suo Mr.White è la personificazione della mellifluità plastificata ed impassibile del manager rotto a tutto, che ha elevato l'esperienza a gelido distacco professionale solo apparentemente temperato da artati entusiasmi... Eppure è proprio attraverso i personaggi secondari, quali Mr. White/Hanks, che potrebbe trasparire un'ombra di nostalgia: il manager è in realtà una sorta di proto-manager che conserva tratti di umanità che si fanno evidenti nel pre-finale, nel quale dispensa al protagonista, tra le righe, i consigli per aprire gli occhi (finito il sogno, ora è il momento di trasformare la realtà in sogno). Hanks, tuttavia, intelligentemente, piega ogni apertura alla sottotrama amorosa, evitando di scadere nelle tristi rievocazioni di una golden-age perduta. Le love-stories appartengono ad ogni epoca: tutt'intorno è plastica, più o meno colorata.