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La stanza di Cloe - The quiet room Anno: 1996 Regista: Rolf de Heer; Autore Recensione: l.a. Provenienza: Australia; Data inserimento nel database: 18-03-1998
La stanza di Cloe (The Quiet Room), scritto e diretto da Rolf de Heer. Con Chloe Ferguson,
Phoebe Ferguson, Celine O'Leary, Raul Blackwell. Australia, 1996.
Dur.: 90'.
LA STANZA DELLE PAROLE NON
DETTE
Cloe è una bambina di sette anni che si chiude nel mutismo
in seguito al deterioramento del rapporto tra i due genitori. Non si
isola dal mondo esterno - al di fuori dell'ambiente domestico parla -
ma nega la parola ai genitori. La sua scelta ostinata non è un
ricatto per ottenere maggiore affetto ed attenzioni (che non gli
vengono negati in nessun modo), ma una sorta di punizione che
infligge ai genitori perchè incapaci di conservare
l'equilibrio e la serenità, e soprattutto un tentativo di
ricongiungerli ponendoli di fronte ad un problema. Cloe comunica con
il disegno: incapace di esprimere a parole il proprio stato d'animo
derivante dalla crisi, la bambina lo trasforma in immagini
così chiare e forti nei contenuti da restare inintelleggibili
agli occhi degli adulti che non vogliono vedere ciò che
è la conseguenza più drammatica della situazione da
essi creata. Il regista permette allo spettatore di ascoltare le
parole-pensiero della bambina: la voce interiore di Cloe dialoga con
la realtà che la circonda, con i genitori stessi, risponde,
commenta, si interroga, pone domande, trova risposte, trae
conclusioni. I dialoghi ed i monologhi che il regista ha scritto con
l'aiuto della figlia di otto anni sono straordinari sia nel
tratteggiare il mondo interiore di paure, sogni, fantasmi, speranze,
desideri della bambina (ed attraverso un uso attento dei tempi dei
verbi, nel comunicare lo spaesamento di Cloe intrappolata nel
passato), sia nel riprodurre la semplice lucidità tutta
infantile nel commentare ed interpretare l'universo degli adulti. Un
film-scommessa affidato all'interpretazione della giovanissima
attrice Chloe Ferguson, incredibilmente brava nel difficile compito
di comunicare con lo sguardo - nell'utilizzare lo sguardo per
rafforzare le parole che non le escono dalla bocca ma che la
ossessionano imprigionate nella mente. La vicenda si svolge quasi
totalmente in interni, nella coloratissima stanza di Cloe - "la
stanza tranquilla" del titolo originale: il luogo dei ricordi
dell'ormai svanito equilibrio del passato, lo spazio dei giochi con
cui la bambina riproduce la realtà cercando di penetrarne le
regole incomprensibili, un rifugio attraverso le cui pareti filtrano
le schegge violente dei litigi, le urla... ma anche la soglia tra la
realtà e la finzione immaginativa. Da questa stanza Cloe fugge
solo di notte, quando le "pantere nere" dei suoi incubi si
risvegliano e vengono a visitarla. L'azione classicamente intesa
è ridotta al minimo: il film vive esclusivamente di una azione
emozionale - che unisce Cloe allo spettatore, e non lascia respiro
neppure nelle parentesi umoristiche che il pensiero della bambina
riesce a creare costituendo delle falle di ossigeno intelligenti nel
muro che la ostacola. Non è assolutamente un film noioso,
meglio chiarirlo senza mezzi termini; ed è un film geniale,
anomalo, ancora più riuscito dell'opera precedente del
regista, "Bad Boy Bubby", che affrontava temi analoghi ma capovolti e
con tutt'altro approccio. Una curiosità: co-produttore, a
fianco dello stesso De Heer, è l'italiano Domenico Procacci,
il figlio di Bud Spencer. Il finale non è happy in tutto e per
tutto, ma apre uno spiraglio per quanto riguarda un possibile
ricongiungimento dei genitori, ed è sicuramente positivo per
quanto riguarda la protagonista. Non è consolatorio, purtroppo
è tragicamente realistico.
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