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Tra passi nel delirio
Anno: 1967
Regista: Roger Vadim; Louis Malle; Federico Fellini;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia; Francia;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


Tre passi

Tra passi nel delirio. Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini. 1967. ITALIA-FRANCIA.

Attori: Jane Fonda, Peter Fonda, Serge Marquand, Alain Delon, Brigitte Bardot, Renzo Palmer, Terence Stamp, Salvo Randone, Milena Vukotic, Polidor.

Durata: 121’

 

 

Tre passi, tre racconti, tre diverse interpretazioni degli incubi deliranti di Edgar Alan Poe, cui è dedicato tutto questo lavoro, compreso il fondo sul quale scorrono i titoli di coda. Nel primo episodio, diretto da Roger Vadim e che prende il titolo Metzengerstein, la giovane e bionda regnante Frederique, nel cui palazzo si consumano orge e violenze, soprusi e cattiverie, s’innamora un giorno di suo cugino, Wilhelm, nemico storico della sua famiglia. La donna, rifiutata da questo, ordina di far bruciare la stalla dell’uomo con tutti i cavalli ancora dentro. Il cugino muore tra le fiamme e solo un cavallo nero si salva dalla tragedia, rifugiandosi nel castello della cugina. Frederique, vittima del rimorso ma soprattutto cosciente di aver perso per sempre l’uomo dei suoi desideri, stringe un felice rapporto sentimentale con la bestia, fino a che un giorno decide di morire anch’ella tra le fiamme. Nel secondo episodio, William Wilson, diretto da Louis Malle, un ufficiale austriaco corre in chiesa, mentre dal campanile cade il corpo di un altro ufficiale. L’uomo, William Wilson, chiede al prete di ascoltare le sue confessioni. Sin da giovane, infatti, William si era mostrato un cattivo e prepotente ragazzo ma da qualche anno, ogni volta che era in procinto di compiere un’azione cattiva, gli si parava davanti una figura che diceva di avere lo stesso nome, e che lo ostacolava. Diventato adulto, la cosa aveva proseguito sino a che una sera, barando al tavolo da gioco, William aveva offeso, umiliato e frustato una donna, fino a che non era intervenuto ancora una volta il suo omonimo a smascherare il suo gioco sporco. William, rincorso l’uomo in strada, lo aveva ucciso pugnalandolo. Il prete al quale William confessa tutto, crede che in realtà l’uomo sia ubriaco e gli consiglia di riposarsi. William decide allora di salire sul campanile e di suicidarsi. Rinvenuto il cadavere in strada, il prete scopre che ha un pugnale conficcato nello stomaco. Nel terzo episodio infine, Toby Dammit diretto da Federico Fellini, un attore alcolizzato e scorbutico sbarca all’aeroporto di Roma per ricevere un premio di poco conto e con l’assicurazione da parte della produzione di ricevere una Ferrari. L’uomo, oltre che dall’alcool, è ossessionato anche da una figura diabolica che veste i panni di una fanciulla bionda che gioca con una palla. Dopo aver preso una sbronza ed esser salito sul palco in piena crisi d’identità, Toby Dammit, questo il nome dell’attore, ottiene finalmente la Ferrari e si mette alla guida dell’auto, cercando di fuggire in tutte le maniere da Roma, finendo davanti ad un ponte distrutto. Nel delirio assoluto, Toby decide di attraversare il ponte con la sua nuova auto fiammante.

Tratto da I racconti straordinari, il lavoro di Roger Vadim non stupisce e non coglie nel segno, mettendo in scena una storia dal sapore incompleto, che sfiora solo il tema della passione anche dopo la morte (il rapporto con il cavallo), e che si fa apprezzare solo per un paio d’inquadrature deformate da un tiratissimo grandangolo, qualche sequenza davvero ben montata (ma basta la prima scena del secondo episodio per far perdere anche questo pregio) e soprattutto per il commento sonoro di Jean Padromides, appena musicale, intenso e rumoroso, comunque molto narrativo e contestuale.  Il secondo episodio, diretto da Louis Malle ed interpretato da un bravo Alain Delon e da una sensuale ed enigmatica Brigitte Bardot, inizia in maniera travolgente, con un montaggio esaltante (di Franco Arcalli) e davvero alla pari dei racconti di Edgar Alan Poe, ma si trascina verso una conclusione scontata (quindi dal punto di vista narrativo piatta così come nella sua resa cinematografica) il cui colpo di scena è ripescato non dalla scoperta che William ha un alter ego con il quale combatte fino alla morte, ma nel pugnale conficcato nello stomaco, cioè nella certezza confermata allo spettatore di non aver sbagliato strada e supposizione. Malsano, bisogna ammetterlo, ma incompleto. Il terzo episodio infine, tratto sempre da I racconti straordinari, ed in particolare da Non scommetter la testa con il diavolo, è forse il più riuscito dei tre, per la capacità del regista di ricostruire situazioni assurde, grottesche e già di per sé rasenti il delirio, ma soprattutto per la capacità mostrata di ambientare il racconto al presente, stravolgendo quindi il contesto del racconto originale, e facendo calare una luce tetra e angosciante su una città solare come invece Roma era spesso apparsa sul grande schermo. Citazione (o forse più) quella della bambina bionda con la palla, troppo simile a quella portata sullo schermo dal maestro Mario Bava con Operazione paura (1966). Questa pellicola in particolare sembra una sorta d’allenamento stilistico nel quale si possono ritrovare diverse tracce di altri lavori del regista, da Roma (1972) indietro fino a 8 e 1/2 (1963). Nel complesso, il film è un crescendo (anche temporale), con altalenanti momenti di tensione (davvero rari) e poche, vere, intuizioni da incubo. Impedibile però perché mette insieme tre differenti registi, per un unico (ma non uniforme) sguardo sulle tetre arie descritte da Poe.

          

 

Bucci Mario

        [email protected]