Tra
passi nel delirio. Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini.
1967. ITALIA-FRANCIA.
Attori: Jane Fonda, Peter
Fonda, Serge Marquand, Alain Delon, Brigitte Bardot, Renzo Palmer, Terence
Stamp, Salvo Randone, Milena Vukotic, Polidor.
Durata: 121’
Tre passi, tre racconti, tre
diverse interpretazioni degli incubi deliranti di Edgar Alan Poe, cui è
dedicato tutto questo lavoro, compreso il fondo sul quale scorrono i titoli di
coda. Nel primo episodio, diretto da Roger Vadim e che prende il titolo Metzengerstein, la giovane e bionda
regnante Frederique, nel cui palazzo si consumano orge e violenze, soprusi e
cattiverie, s’innamora un giorno di suo cugino, Wilhelm, nemico storico della
sua famiglia. La donna, rifiutata da questo, ordina di far bruciare la stalla
dell’uomo con tutti i cavalli ancora dentro. Il cugino muore tra le fiamme e
solo un cavallo nero si salva dalla tragedia, rifugiandosi nel castello della cugina.
Frederique, vittima del rimorso ma soprattutto cosciente di aver perso per
sempre l’uomo dei suoi desideri, stringe un felice rapporto sentimentale con la
bestia, fino a che un giorno decide di morire anch’ella tra le fiamme. Nel secondo episodio, William
Wilson, diretto da Louis Malle, un ufficiale austriaco corre in chiesa,
mentre dal campanile cade il corpo di un altro ufficiale. L’uomo,
William Wilson, chiede al prete di ascoltare le sue confessioni. Sin da giovane,
infatti, William si era mostrato un cattivo e prepotente ragazzo ma da qualche
anno, ogni volta che era in procinto di compiere un’azione cattiva, gli si
parava davanti una figura che diceva di avere lo stesso nome, e che lo
ostacolava. Diventato adulto, la cosa aveva proseguito sino a che una sera,
barando al tavolo da gioco, William aveva offeso, umiliato e frustato una donna,
fino a che non era intervenuto ancora una volta il suo omonimo a smascherare il
suo gioco sporco. William, rincorso l’uomo in strada, lo aveva ucciso
pugnalandolo. Il prete al quale William confessa tutto, crede che in realtà
l’uomo sia ubriaco e gli consiglia di riposarsi. William decide allora di
salire sul campanile e di suicidarsi. Rinvenuto il
cadavere in strada, il prete scopre che ha un pugnale conficcato nello stomaco.
Nel terzo episodio infine, Toby Dammit
diretto da Federico Fellini, un attore alcolizzato e scorbutico sbarca all’aeroporto
di Roma per ricevere un premio di poco conto e con l’assicurazione da parte
della produzione di ricevere una Ferrari. L’uomo, oltre che dall’alcool, è
ossessionato anche da una figura diabolica che veste i panni di una fanciulla bionda che gioca con una palla. Dopo aver preso
una sbronza ed esser salito sul palco in piena crisi d’identità, Toby Dammit,
questo il nome dell’attore, ottiene finalmente la Ferrari e si mette alla
guida dell’auto, cercando di fuggire in tutte le maniere da Roma, finendo
davanti ad un ponte distrutto. Nel delirio assoluto, Toby decide di
attraversare il ponte con la sua nuova auto fiammante.
Tratto da I racconti straordinari, il lavoro di Roger Vadim non stupisce e non
coglie nel segno, mettendo in scena una storia dal sapore incompleto, che
sfiora solo il tema della passione anche dopo la morte (il rapporto con il
cavallo), e che si fa apprezzare solo per un paio d’inquadrature deformate da
un tiratissimo grandangolo, qualche sequenza davvero ben montata (ma basta la
prima scena del secondo episodio per far perdere anche questo pregio) e
soprattutto per il commento sonoro di Jean Padromides, appena musicale, intenso
e rumoroso, comunque molto narrativo e contestuale. Il secondo episodio, diretto da Louis Malle
ed interpretato da un bravo Alain Delon e da una sensuale ed enigmatica
Brigitte Bardot, inizia in maniera travolgente, con un montaggio esaltante (di
Franco Arcalli) e davvero alla pari dei racconti di Edgar
Alan Poe, ma si trascina verso una conclusione scontata (quindi dal punto di
vista narrativo piatta così come nella sua resa cinematografica) il cui colpo
di scena è ripescato non dalla scoperta che William ha un alter ego con il
quale combatte fino alla morte, ma nel pugnale conficcato nello stomaco, cioè
nella certezza confermata allo spettatore di non aver sbagliato strada e
supposizione. Malsano, bisogna ammetterlo, ma incompleto. Il terzo episodio
infine, tratto sempre da I racconti straordinari, ed in particolare
da Non scommetter la testa con il diavolo,
è forse il più riuscito dei tre, per la capacità del regista di ricostruire
situazioni assurde, grottesche e già di per sé rasenti il delirio, ma
soprattutto per la capacità mostrata di ambientare il racconto al presente, stravolgendo
quindi il contesto del racconto originale, e facendo calare una luce tetra e
angosciante su una città solare come invece Roma era spesso apparsa sul grande
schermo. Citazione (o forse più) quella della bambina bionda con la palla,
troppo simile a quella portata sullo schermo dal maestro Mario Bava con Operazione paura (1966). Questa
pellicola in particolare sembra una sorta d’allenamento stilistico nel quale si
possono ritrovare diverse tracce di altri lavori del
regista, da Roma (1972) indietro fino
a 8 e 1/2 (1963). Nel complesso, il
film è un crescendo (anche temporale), con altalenanti momenti di tensione
(davvero rari) e poche, vere, intuizioni da incubo. Impedibile però perché
mette insieme tre differenti registi, per un unico (ma non uniforme) sguardo
sulle tetre arie descritte da Poe.
Bucci Mario
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