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She’s Funny That Way
Anno: 2014
Regista: Peter Bogdanovich;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 17-11-2014


“Anche i giudici hanno un cuore.” Sono arrivato un paio di giorni dopo l’inizio della mostra, ma la voce già circolava clandestinamente da almeno 24 ore. Con gli altri frequentatori, dopo lunghe disquisizioni sul cinema coreano o russo, arrivava sempre qualcuno, con atteggiamento circospetto, attento a non farsi sentire da nessuno, con cautela e a bassa voce, ci lanciava un messaggio criptico: quest’anno c’è un film che fa ridere. Abbandonava immediatamente questo terribile momento di debolezza e subito riprendeva possesso delle sue facoltà mentali. Per autopunizione, come un cilicio, elencava tutte le pellicole di Ejzenštejn seguendo rigorosamente l’alfabeto cirillico. Sono merce rara delle belle commedie allegre alla Mostra del cinema di Venezia. Quelle poche sono sempre da trattare con finta distrazione, perché non è visto di buon occhio negli ambienti tenebrosi intellettuali compiere il gesto di ridere. Fortuna che io sono un ignorante. Dopo lunghe indagini, mezze domande, accenni furtivi, ricevo un pizzino con il nome del film Il giorno dell’ennesima replica tutto il Palabiennale è esaurito, come raramente è successo quest’anno. La voce era circolata segretamente. La brillante commedia è She’s Funny That Way del maestro Peter Bogdanovich. Inizia con una seduta psicanalitica. Izzy è una bellissima e sexy ragazza, il suo sogno è fare l’attrice. Poiché non aveva un successo, per campare arrotondava come escort. Alla dottoressa racconta le disavventure per ottenere una parte in teatro. La sfortuna nasce prima. La notte precedente era stata chiamata dal regista il quale, per bontà, gli regalò molti soldi. Inizia il flash back della storia, nella quale entrano tanti bizzarri caratteri: il regista, la moglie, l’amico, il socio, il padre detective un po’ rimbambito, il vecchio giudice porco, un’altra psicanalista bislacca. Una commedia divertente, realizzata come la più classica delle commedie hollywoodiane. Un bel soggetto non particolarmente originale ma spassoso, una sceneggiatura ben scritta, dei dialoghi efficaci, una storia tutta basata sull’equivoco, sull’errore, sulla confusione, sulle coincidenze; dei personaggi, anche i minori, centranti. Molto è costruito sul palcoscenico del teatro, e la recitazione teatrale tende a coincidere con la realtà assurda del film. Ci sono scene esagerate, come il casuale incontro al ristorante italiano da Nick sulla quinta. Al suo interno quella sera succede di tutto, s’incontrano tutti e per la nostra gioia regna la confusione più totale. Peter Bogdanovich ci aggiunge molto tatto e una grande visione delle scene, come la sincronia fra i personaggi, o il paradossale color giallo sparato nell’hotel, o un montaggio vibrante e funzionale alla storia. “Credo nel lieto fine” dice Izzy, ed è anche l’ideale del regista. Il finale è altisonante e scoppiettante grazie al cameo istantaneo di un altro famoso regista americano. Si ride per tutto il tempo, il pubblico esce divertito e allegro: mi dovrei sentire in colpa per non aver assiepato la sala sull’ennesimo film sulle metastasi di un malato di cancro, ma non ci riesco, e quasi quasi lo vado a rivedere.