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Après mai
Anno: 2012
Regista: Olivier Assayas;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 25-09-2012


“Ho paura che sfugga la mia giovinezza.” Uno dei film di Venezia più interessanti è stato Après mai del regista francese Olivier Assayas. La pellicola è un racconto nostalgico e di formazione, sullo sfondo storico di una contestazione giovanile fra le più cariche di tensione. Sono tempi di aspro confronto, con conseguenze sanguinose. Gruppi di giovani falsi idealisti si allontanarono da quelle associazioni per entrare in clandestinità e compiere la loro personale rivoluzione con gesti terroristi o azioni drammatiche. Siamo a Parigi nel 1971: i ragazzi sono i figli del sessantotto, ma nello stesso tempo rappresentano una generazione successiva,quando i frutti dei cambiamenti sono vissuti in tutta la loro incompletezza. I protagonisti della storia sono degli adolescenti ormonali, figli di genitori borghesi e arrivisti. Le famiglie sono quasi assenti, la loro importanza è minima, i ragazzi crescono da soli. I genitori si sono arresi, hanno abdicato al loro dovere educativo; sono favorevoli alla rivoluzione, purchénon intacchi i loro interessi. Gilles è un ragazzo vivace e intelligente. Insieme a un gruppo di studenti agita la sua scuola, con volantini, dibattiti e soprattutto con infantili raid notturni per scrivere slogan sulle mura. Poiché durante un’incursione è stato colpito un guardiano, i ragazzi decidono di lasciare momentaneamente la Francia. Iniziano un viaggio in Italia, conoscendo persone da tutto il mondo. La conclusione sarà diversa. C’è chi si unirà ai gruppi armati terroristici, chi abbandona tutte le mire rivoluzionarie per andare a studiare alla Juilliard School, chi ingenuamente continuerà a militare come professionista nella politica. Gilles accetta di occuparsi nel cinema, lavorando a Londra in una produzione un po’ confusa, dove nazisti e dinosauri sono uniti nelle stesse scene. Pure Gilles ha modificato la sua vita, certe tensioni politiche ed emotive sono scomparse, ma ancora non intende accettare passivamente un compromesso come quello del cinema impossibile. Il finale del film è tutto per lui.Lo osserviamo lasciare la produzione e incamminarsiverso l’uscita. Vediamo solo l’ombra attraversare il fondale. L’opera di Olivier Assayas è intensa esentimentale. Si parte alla grande. L’inizio è tutta velocità, scandita al ritmo delle sirene della polizia. Gli studenti tentano una manifestazione ma i celerinirispondono con cariche ripetute. Abbiamo già la forte tensione del film euna definizione dei caratteri. Il regista non fa sconti, ma neppure vittimismo. Ci saranno altre sequenze dirapida azione, ma poi la storia prende il tono e li linguaggio della malinconica nostalgia di qualsiasi adolescente. Soprattutto prevalgono gli stimoli sessuali. I ragazzi hanno scoperto la vita erotica; la ricerca carnale corre intensa, senza dimensione intimistica. L’esempio è la relazione di Gilles con Laure. La ragazza è una figlia viziata di una ricca famiglia. Il vuoto lasciato dai genitori è evidente. È svampita, debole, senza valori e senza possibilità di miglioramento. Il sesso è per lei solo altra confusione, un passatempo come quello della droga. I rapporti gli sono indifferenti, perché lei non è in grado di cogliere nessun valore. Gilles s’innamora perché sente il calore del suo corpo, perché soddisfa il sogno di qualsiasi adolescente, ma è scaricato senza nessuna delicatezza. Questo è la vita sessuale dei giovani. Un vuoto. Eppure i ragazzi hanno bisogno di romanticismo, di solidità di relazioni. Ma il loro dovere sociale e politico recita il contrario. La rivoluzione applica slogan terribili,cui tutti si sentono il vincolo di aderire senza nessun contradditorio. Nessuno ha l’educazione o la forza per ricacciare indietro i falsi ideali, solo Gilles ci riesce. Bellissima è la sequenza in cui un gruppo di maoisti scopre che sta leggendo il libro “Gli abiti nuovi di Mao”, un testo molto critico sulla Cina comunista. La loro reazione è quella del complottismo: il libro è stato scritto dalla CIA. Gilles per nulla spaventato gli zittisce con cognizione di causa. Il libro è stato scritto da Simon Leys uno pseudonimo del famoso e colto sinologo belga Pierre Ryckmans. Possono rispondere solo con il silenzio, la superficialità è immensa, ma qualcuno riesce a contrastarla. Si continua a parlare di politica, sventolando bandiere ora sbiadite, e quasi patetiche se non addirittura ridicole. Un gruppo di ragazzi rivoluzionari francesi presenta a un gruppo di ragazzi italiani un documentario sulla rivoluzione comunista in Laos. Si esaltala volontà del popolo laotiano a camminare fiero dietro una bandiera rossa con falce e martello. Questa è gente da cui prendere l’esempio. All’epoca tutti ci credevano. Ora invece sappiamo che nel 1991 il simbolo del Laos – stelle, falce e martello è stato sostituito con ilPha That Luang, lo splendido stupa di Vientiene. Documentaristico è anche lospassoso dibattito fra i cineasti e i ragazzi, i cui discorsi sono altisonanti all’epoca mainutile ora: “Oggi è importante la lotta, no lo stile.” Altro argomento topico è il concetto dell’arte. “L’arte è una solitudine” ma Gilles vorrebbe che fosse un linguaggio, un modo di comunicazione con gli altri. I suoi disegni sono belli, moderni, ma lui studia, accetta il grand tour dell’Italia allo scopo di conoscere l’arte italiana, per poter vivere un confronto culturale. A differenza degli altri, lui è contrario al concetto di arte come partecipazione politica attiva. L’arte è politica, ma non inteso in senso di attivismo. Perciò accetterà di collaborare alla lavorazione dell’assurda pellicola. Gilles è Olivier Assayas. È la sua malinconia di un tempo passato. Il ricordo è l’altro filo conduttore del film. Ricordo o nostalgia? Probabilmente entrambi, attorcigliandosi intorno alla vita matura di un bravo regista. Perché la sua memoria è immensa,infatti, abbiamo una ricchezza di particolari minuziosi con una colonna sonoracolma di citazioni musicali a partire da Frank Zappa. Il ricordo continua con la citazione di attori come Jean Richard, famoso interprete delcommissario Maigret. A proposito di Maigret, Gilles compie uno degli atti più rivoluzionari per un francese: criticare lo scrittore Simenon. Ma tutto il film è un’attenta ricostruzione dell’epoca, nulla è lasciato al caso. I ragazzi sono perfetti, ma soprattutto i dialoghi servono a riportarci indietro. Le frasi fatte, gli slogan ideologici, le conversazioni sono didascaliche ma ottime a ripristinare l’atmosfera pesante. Era l’epoca quando ogni critica o ogni forma di opposizione era assolutamente e inevitabilmente fascista. Da anni non sentivo più parlare di maoismo, trotskismo, controcultura, ma anche rivedere quelle siringhe iniettare l’eroina è stato un ricadere indietro nel tempo. MaAprès Mai cita un altroaffermato andazzo del tempo: i viaggi in oriente. Qualche anno prima, nel 1968, i Beatles visitarono l’India per assistere a delle meditazioni di un maestro. Questo evento aprì una moda, durata per anni. Un amico di Gilles si è costruito un induismo fai da te, frutto delle confusioni antropologiche apprese durante un suo pellegrinaggio in India. Lo vediamo leggere le linee degli I Ching come se fossero i tarocchi. Ma il tono del film è struggente, il regista non cerca o diffonde colpe o accuse. Nonostante molte idee, per cui hanno combattuto, sono state disintegrate sotto i colpi della loro inesistenza politica e culturale, i ragazzi non sono colpevoli o sconfitti. Erano solo dei giovani: hanno sognato, hanno lottato, hanno sperato, erano in buona fede e ingenui. Forse i veri colpevoli sono gli assenti genitori, i quali appaiono solo di sfuggita troppo impegnati nel compiere affari o a piangersi addosso. I ragazzi cresceranno soli, la loro formazione politica, umana, sessuale sarà edificata a poco a poco. Anche perché sono una piccola parte, la maggioranza dei giovani non compare in quest’affresco cinematografico. L’autore non nasconde il tono ricco borghese, del quale è un membro effettivo. Il padre è Jacques Rémy, affermato autore di cinema, comprese numerose puntate di quel Commissario Maigret, interpretato da quelJean Richard deriso da Gilles. Nella storia sono tutti soci onorari della borghesia, nemmeno tanto illuminista. Sono tutti ricchi comunisti, ma attenzione non è un ossimoro, ma come diceva il castigatore anticonformista degli inquadrati uomini perbene Beppe Fenoglio: “Non sono comunista, non posso permettermelo.”