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La frode - Arbitrage
Anno: 2012
Regista: Nicholas Jarecki;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 26-03-2013


“Vuoi essere il più ricco del cimitero?” L’avarizia è uno dei sette peccati capitali, la sua metamorfosi cinematografica ha una dimensione fisica intensa, la quale diventa iperbolica con l’attuale crisi economica. È facile attribuire tutto all’avarizia di pochi, contro la bontà di molti. Se così fosse l’inferno sarebbe un monolocale in cui brucerebbe qualche avaro beccaccione, mentre tutta la popolazione mondiale gioirebbe sulle nuvole del paradiso. Ho tanti dubbi, come ho delle perplessità sulla filosofia conformista del film di Nicholas Jarecki, La frode (titolo originario The arbitrage). Richard Gere è Robert Miller, un uomo potente; guida e controlla una finanziaria capace di produrre utili sovrabbondanti. Non è un industriale, non gestisce un’impresa manifatturiera che produce beni come automobili frigoriferi caramelle. Robert Miller gestisce del denaro, tanti tanti soldi, i quali si muovono velocemente in operazioni con leva finanziaria elevata. Grazie alla sua abilità, Miller ha acquisito una dimensione di potere elevato. Non è solo una fabbrica di denaro, è anche un uomo di famiglia. È un marito con due figli. Entrambi lavorano nell’azienda paterna; mentre il figlio è incapace, la figlia è esperta e intelligente. Questa dimensione familiare è parallela all’attività finanziaria. L’inizio rappresenta l’intelaiatura su cui leggere il film. S’inquadra un aereo privato, accentuando il particolare del motore. In cielo, il rumore assordante raccontano la presenza di una persona molto importante: Miller. Cambio di scena, sempre egli sta entrando in casa. Fuori campo si sentono delle voci di bambini. Siamo passati dal prestigio economico al caldo tepore familiare. Quando è in sala, i nipotini lo accolgono con gioia, tutta la stanza è scura, solo una luce di candele lo rischiara. Abbiamo rappresentato un protagonista nella sua dimensione parallela: lavoro e famiglia. Ma le scene sono forzate, accentuate per la troppa affettazione sia nei toni, sia nelle inquadrature. Qualcosa non va. La conferma c’è, quando Miller, nonostante sia notte, dice alla moglie che deve uscire per finire di lavorare. La bugia è lampante, egli se ne va, la porta si chiude, la moglie di spalle di fronte è ferma e la fissa. Essa conosce tutto. L’avidità distrugge perfino la famiglia. Il benessere crea finzione, non solidità di sentimenti. Il film deve trovare un tono economico, e ancora sommersi dalla crisi è facile trovare uno spunto: “Quando si scontrano con la realtà le bolle scoppiano.” La bolla - lo strumento finanziario - è la vendita di un’impresa sull’orlo del fallimento a una banca d’affari. La trattativa procede con lentezza, perché un avvenimento sconvolgerà Miller, costringendolo a lavorare su due fronti: quello economico e quello familiare. Il mondo finanziario è separato, lontana dalla gente definita ‘’normale’’. La camera sale, parte dal primo piano di un grattacielo, fino ad arrivare alla punta. Indica distanza, diffidenza e, poiché certi meccanismi sono da società massonica, al suo interno ogni decisione appare come un complotto contro il mondo. L’opposto accade verso la fine, quando la figlia scopre il disastro. Allora il regista scrive una ripresa al contrario: dall'alto del grattacielo la camera scivola sulla strada. Ad accentuare il tono dell’equazione ricchezza uguale cattiveria, il soggetto ha una trovata istintiva, ma poco originale. Chi accorre a salvare il cattivo ricco bianco traditore ingrato Miller? Ovviamente è un giovane nero, leale, sincero, fidato, indifferente ai soldi, figlio dell’autista del cattivo ricco bianco traditore ingrato Miller: “lui non è come noi”. I film sull’economia non sono facili. C’è Wall Street, ma la pellicola di Oliver Stone ha una filosofia, consegnandoci un’interpretazione dell’Arte della guerra di Sun Tzu. Di recente c’è stato il tecnico Margin Call. In La frode la parte tecnica scivola nell’indifferenza, gli sceneggiatori non riescono a penetrare la storia. Il fallimento deriva dalla vendita allo scoperto di rame, la società non possiede il minerale, ma vende la sua probabilità di averlo. Un cambiamento del prezzo e l’impossibilità di consegnarlo gettano in bancarotta Miller. C’è l’intervento di un usuraio disposto a coprire il buco, e antitetico c’è la figlia buona capace di scoprire la frode. “Tutto quello che faccio è per la famiglia” è la dichiarazione finale di Miller. Ma il problema è che tutti teniamo famiglia.