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A la recherche du mari de ma femme
Anno: 1993
Regista: Mohamed Abderrahmane Tazi;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Marocco;
Data inserimento nel database: 10-09-1999


Limbo




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À LA RECHERCHE DU MARI DE MA FEMME


Regia: Mohamed Abderrahmane Tazi
Provenienza: Marocco
Anno: 1993
Durata: 100'

La sociologa marocchina Fatima Mernissi nel romanzo tradotto da Giunti nel 1996 La Terrazza Proibita racconta del permanere della separazione tradizionale dei sessi in ambito familiare anche dopo che la poligamia, a cominciare dal dopoguerra, veniva superata soprattutto a causa della notevole spesa che impone. Anche nel titolo il film riproduce questo stato di cose: gettando un affascinante sguardo sull'intrico di costruzioni, l'inizio offre proprio dall'alto della terrazza l'unica inquadratura sull'esterno della casa, a parte il grottesco finale con la barca varata nel viaggio alla ricerca del titolo: quella porzione di casa è per tradizione ricettacolo di sogni per le giovani mantenute, che malsopportano l'autoritarismo e le fisime di un uomo spesso molto più vecchio: la terrazza è il luogo privilegiato di osservazione sul mondo, precluso dal potere maschile. Ma la caratteristica principale della pellicola è la commedia e quindi sottolinea le complicità e le differenze dovute all'età tra le tre mogli, preparando l'assurdità della situazione dell'epilogo attraverso la patetica figura del vecchio, in particolare nella scena madre del ripudio, che esalta le caratteristiche architettoniche della casa, contenente in sé le divisioni, le barriere invisibili e le simbologie delle dislocazioni degli alloggiamenti, la balconata da cui piomba lo sguardo comune del gineceo convergente sulla gradevole agorà, quasi uno spazio comune per mondi diversi, un'area di libero incontro generazionale, come una qualunque comunità. In pratica più si sale ai piani superiori della casa e più risulta incisivo il ruolo delle donne, le occupazioni si fanno meno grevi e si fa sempre più lieve l'atmosfera fino a sfociare nel sogno romantico ambientato nella brezza notturna della terrazza.

Meglio che nel polpettone di Ozpetek si coglie il tacito contratto sottoscritto nell'harem attorno al concetto di proibito: il mondo al di là del portone galleggia tra ciò che è permesso e quello che non lo è, confini mentali ai quali corrispondono confini spaziali, che delimitano attività e appartenenze. Il sistema apparentemente armonico sotto i nostri occhi si trasforma in repressiva norma morale, che si ritorce contro il maschio sciovinista, grazie a incredibili interpretazioni coraniche, che introducono ai gustosi siparietti nel suk, con il concorrente orefice che si gode le vicissitudini di un uomo anacronistico anche per la società marocchina ("Ho bisogno di una donna con gli occhi chiusi" "Ora nascono già con gli occhi aperti"). E pure l'istituzione della scuola coranica trova uno spazio nella sceneggiatura per venire criticata, bonariamente per quanto può essere consentito in un paese islamico. Alla fine nel grottesco mare naufragano tutti i pregiudizi e le obsolescenze del sistema medievale garbatamente smontato senza offrire agli integralismi alcun appiglio per censurare e perseguire un testo, che rimane per lungo tempo sul registro comico, grazie soprattutto alla maschera del gioielliere marito e all'insieme di situazioni buffe legate a inconvenienti quotidiani che accentuano la sensazione di normalità animata dal parterre di caratteristi di cui è costellato il film: dall'armadio che travolge la prima moglie all'inizio all'antenna orientabile in collaborazione sulle indicazioni mimate dal padre di Houda, immobilizzato da una paresi che gli inibisce anche l'espressione verbale, per arrivare attraverso una pletora di macchiette esilaranti alla festa di matrimonio pagata dall'incauto "marito". In tutto questo chi risulta essere messo alla berlina è il sistema di valori che ha nell'harem il suo centro.

All'interno del nuovo interesse del cinema per quella caratteristica forma di convivenza questo film è quello meno esotico, perché interessato a far intravedere l'evoluzione presso le giovani generazioni: infatti la famiglia allargata è composita al punto che la figlia della moglie più vecchia è già medico e madre, mentre la moglie giovane stigmatizza l'assurdità di procreare: "Un figlio con un vecchio resta presto orfano", proferendo questa verità in mezzo ai ragazzini della moglie di mezzo, quella più cauta, perché in una condizione di maggiore debolezza rispetto alle altre, mentre la rassegnata anziana è comprensiva: "Il mondo è cambiato", ovvia frase inevitabile in questa situazione che però nella sua bocca assume un valore particolare, contemporaneamente di rimpianto per tradizioni svanite (e per la giovinezza perduta) e di sollievo. Tenerezza materna lega i coniugi più anziani, ma una naturale solidarietà e assenza di gelosie traspare incredibilmente, forse proprio per la conformazione della casa che agevola l'intimità e consente la vita comunitaria, cadenzando regole e ore, canti e feste, privilegiando l'aspetto protettivo ed esaltando le possibilità di spiare il mondo esterno tra i caratteristici anfratti; la casa non è mai soffocante, lo diventa con il pregiudizio del marito padrone.