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Schultze gets the blues
Anno: 2003
Regista: Michael Schorr;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Germania;
Data inserimento nel database: 05-09-2003


Schultze gets the blues
Visto a Venezia 2003
Visto a Venezia 2003

Schultze gets the blues
Regia: Michael Schorr
Sceneggiatura: Michael Schorr
Fotografia: Axel Schneppat
Scenografia: Natascha E. Tagwerk
Montaggio: Tina Hillman
Suono: Dirk Niemeir, Christian Lerch
Musica: Thomas Wittenbecher
Costumi: Constanze Hagedorn
Interpreti: Horst Krause, Harald Warmbrunn, Karl-Fred Müller, Ursula Schucht, Hannelore Schubert
Produttori: Jens Körner, Thomas Riedel, Oliver Niemeier
Produzione: Filmkombinat GmbH & Co. KG
Coproduzione: ZDF-Das Kleine Fernsehspeil
Anno di produzione: 2003
Durata: 109’
Formato: 35 mm (1:1,85), colore
Controcorrente

Schultze gets the blues è il sogno che cresce di fronte alla staticità del corpo, immobilizzato dalla vita che è stata. Lo slancio verso il futuro appare defionitivamente frustrato dall'età anziana, dalle porte che si chiudono, dal prepensionamento coatto. Il film si apre sull'angosciante percezione di una fine, l'allontanamento "per sempre" dal lavoro in miniera. I tre amici, intorno ad un tavolo, sono tranquilli di fronte alla novità. Accettano anche il regalo di liquidazione dell'azienda: una roccia lume che forse illuminerà poco o niente le loro vite future, e che si può anche leccare per il sapore salato del minerale giallognolo. La vita dei pensionati così inizia con i suoi tempi infiniti, con le imbecilli speranze di un ritorno (alla gioventù). E l'unica drammatica necessità di investire il tempo diventa solo passatempo inutile senza un autentico sentimento di benessere e felicità.
Ma il caso offre a Schultze la possibilità di seguire un impulso nuovissimo. Essere fulminato dalla musica blues delle origini, quella del delta dell'immenso Mississippi, avverso la musica tradizionale tedesca o alla Polka. L'attrazione è irresistibile. Schultze è ossessionato dalla melodia ascoltata alla radio, con la sua fisarmonica ripete all'infinito il motivetto in ogni occasione e sogna di andare in America. L'occasione di una partecipazione ad una festa musicale lo spinge verso un viaggio remoto in Louisiana. Percorso finalmente aperto allo slancio vitale, alle novità continue, alle difficoltà estreme del nuovo paesaggio. Qui vediamo lo scontro inevitabile tra umanità e sopravvivenza alle intemperie della natura. Le differenze di lingua, il cibo le imbarcazioni sul fiume, creano interminabili complicazioni che Schultze affronta sempre con disarmante impassibilità. Ma è la timidezza estrema di una bellezza dell'anima, di una semplicità e genuinità disarmante di fronte alle bruttezze costanti della vita. La giovane donna nera che gestisce un ristorante galleggiante gli apre le porte con garbo e dolcezza comprendendo da subito la particolarità di quest'uomo, un anziano gigante, che si lascia pure trascinare in un ballo con una sconosciuta che poi abbandona sul posto per incomprensione tra lingue. Lo sguardo di Michael Schorr ha una lucidità esaltante, che consiste nell'amplificazione estrema del significato "denso" di ogni scena e di una singola inquadratura. Un cinema che si lascia respirare con calma, si lascia vedere fino in fondo, fa a meno soprattutto di parole (è quasi un film muto), per far parlare solo i corpi, le facce, i paesaggi.