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Thor
Anno: 2011
Regista: Kenneth Branagh;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 09-05-2011


“Non intendo morire per sei crediti universitari.” Odino – dio della guerra – vive ad Asgard ed ha due figli: Thor e Loki. Asgard è un altro mondo fantastico al di là della nostra piccola terra. I mondi immaginari non sono mai dei paradisi: riflettono le durezze e le sofferenze della vita terrena. Asgard ha appena finito una violenta guerra e la pace si mantiene in un precario equilibrio. La paura è il sentimento più diffuso. Tratto dalla mitologia nordica e dal fumetto della Marvel, Thor studia per essere un eroe: ha bisogno di un erasmus all’estero. Thor è l’erede del regno. La figura del padre – coraggioso e abile - è incombente su di lui. Vuole essere degno e per questo non comprende i limiti del suo ruolo, ovvero è solo un adolescente con un classico rapporto generazionale conflittuale. Per poterlo eguagliare vola sopra le righe, rischiando lo scoppio una nuova guerra. Infantile, immaturo, rabbioso, orgoglioso, vanitoso, questo è Thor. Ha bisogno di un bagno di umiltà per riportarlo alla giusta dimensione, in modo di poter conoscere la modestia e i valori della comunità. Allora il padre Odino decide per una punizione unica, ed invece di gettarlo su Paperopoli o su Smallville, lo caccia nell’unico posto della galassia dove può imparare a vivere degnamente: la terra! E’ proprio in mezzo a questo nostro, umile e modesto, mondo privo di supereroi può apprendere l’arte dell’amore. Se vuole sopravvivere deve liberarsi dall’involucro da duro, non può contare dei superpoteri e del suo terribile martello, perché qui sono inutili. Dalla prima parte del film: epico, fantasmagorico, con città verticali, ricco di luci e folgore come dei quadri futuristi si passa alla seconda parte. Qui scoppia l’incontro fra due diversità, è la vittoria dell’ironia sulla potenza. “Oh no, questa e la terra, non è vero?” urla un disperato Thor appena comprende la punizione paterna. Un supereroe nel nostro mondo appare un diverso, un disadattato, un profugo sbarcato da un barcone. Nasce un sentimento di umanità e di carità, tutti si prodigano ad aiutarlo. “Comincio a fare il tifo per il ragazzo.” Come una terapia psicoanalitica alla fine del suo tirocinio terrestre, Thor riuscirà a comprendere i valori della vita: validi sia sulla terra sia su Asgard. Comprenderà l’amore del padre per lui e riuscirà a rispettarlo, caccerà la gelosia dal suo cuore, conoscerà il perdono e abbandonerà la vendetta. Il suo erasmus sulla terra è terminato: è cambiato, sa chiedere scusa e saprà comprendere e perdonare il fratello. Ma soprattutto per amore filiale rinuncerà al suo amore terreno. I due mondi si separano – momentaneamente – perché con il finale work in progress possiamo attendere fiduciosi un nuovo ricchissimo seguito. Thor è un film divertente. Veloce e classico, non esce mai da una struttura consolidata, sa convincere soprattutto nella fase terrestre, con un dio nordico bizzarro e commovente. Il regista Kenneth Branagh si avvale di una bella sceneggiatura, ricca di spunti ironici e la intreccia con sfavillanti combattimenti. Irride gli onnipotenti e pasticcioni servizi di sicurezza americani: “Mi dispiace ma noi siamo i buoni.” “Lo siamo anche noi.” I personaggi sono così costruiti su fondamenta di colori accesi e lampi fluorescenti. Si confrontano con la terribile ed acuminata arma della parola. Branagh non si spaventa neppure, quando si invischia nella tematica scienza e magia, tendendo un filo unico per il ponte di Einstein-Rosen ed il martello Mjöllnir: “Io provengo dal mondo dove sono la stessa cosa.” Sicuramente la stessa cosa sono i problemi, la guerra, la violenza, la gelosia, la vendetta ma fortunatamente anche l’amore, l’amicizia, la giustizia e il grande desiderio di vivere in pace. Chris Hemsworth è uno statuario ed imponente Thor, mentre Anthony Hopkins giganteggia nel suo Odino.