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Parla con lei - Tredici variazioni sul tema
Anno: 2001
Regista: Pedro Almodovar; Jill Sprecher;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Spagna; Usa;
Data inserimento nel database: 12-04-2002


Hable con ella - 13 Conversations about one Thing
Hable con ella 13 conversations about one thing
Narrazione atemporale

Hable con ella

regia.......................... Pedro Almodóvar

fotografia................... Javier Aguirresarobe

montaggio.................. José Salcedo,
cast ............................ Javier Cámara, Dar’o Grandinetti,
Rosario Flores, Leonor Watling, Geraldine Chaplin
distribuzione............... Warner
Spagna, 2002.

13 Conversations about one Thing

regia.......................... Jill Sprecher

sceneggiatura............. Jill Sprecher,
Karen Sprecher
fotografia................... Dick Pope

montaggio.................. Stephen Mirrione,
musica........................ Alberto Iglesias
cast ................... Matthew McConaughey,
John Turturro, Alan Arkin, Clea DuVall, Amy Irving

distribuzione............ Mikado
Usa, 2001.



















Nel film americano sono esposte tutte le chiavi nel primo dialogo affidato a Turturro, che contiene i cartelli a tutto schermo ai quali si affida il compito di scardinare ulteriormente il flusso narrativo, fingendo al contrario di renderlo più intelliggibile e cadenzano la rêverie del film, ma sono anche i presupposti che condizionano il processo almodovariano di concrezione del racconto. L'elemento che balza subito all'occhio è l'irreversibilità: l'angoscia proveniente dal fatto che non si può più recuperare lo stato precedente, quel momento che gli autori dei due film sembrano voler rincorrere a ritroso, scombinando i razionali piani temporali, facendoli sconfinare nella stanza appartata dell'onirismo cinefilo (in entrambi i sogni gli elementi surrealisti con le implicazioni psicanalitico-sessuali hanno il sopravvento: il serpente nel primo caso, l'esplicito ingresso nella vagina enorme nell'altro), oppure intrecciando i personaggi fino a creare una sorta di anello di moebius infinito.
Quello stesso loop che sembra attanagliare le menti in coma del film spagnolo - ma è in quello americano che si dice, citando Milton: «La mente è una stanza appartata»; ed è sempre nelle 13 conversazioni che (un po' fumosamente) si pontifica sul secondo principio della termodinamica con lo scopo di evidenziare il processo entropico del flusso narrativo di entrambi i film che non a caso vanno ad agire sul tempo, più che sullo spazio, poiché è nel trascorrere del tempo che si disperde l'energia, irrecuperabile e che cambia di stato... non solo i gas.
Infatti tutti i personaggi in entrambi i film interagiscono a coppie, partendo da una condizione che si trova ribaltata ad ogni fine di sequenza. Quando il racconto incrocia un altro protagonista, aggrovigliando sempre più i legami tra tutti e facendo combinare i tasselli, sembra quasi di sentire scattare il meccanismo, un "tlack" mentale che sancisce il nuovo temporaneo stato di quiete nel flusso entropico di un'affabulazione a vocazione uniformemente accelerata perché la coesione di tutte queste storie ad ogni intreccio prende a vorticare; da un lato rapita dal balletto cieco di Pina Bausch, giocando costantemente il raddoppio della scena con la duplicazione della situazione; dall'altro gravitando attorno alla grande domanda relativa alla giustizia degli eventi palesemente fatali, tranne quei passaggi obbligati che svolgono un ruolo catalizzante, investiti di valenze soprannaturali, che Almodovar traduce in sogni premonitori, se non addirittura istigatori al vivificante gesto brutale ellittico nel film, sostituito dall'ingresso «per sempre» nel corpo dell'amata. Se da un lato la scommessa all'interno del sistema chiuso che rovescia da un tran tran soffocante a un altro equivalente delle tredici conversazioni di Turturro si semplifica nella domanda almodovariana: «Vediamo se superi tutti i tuoi ostacoli e ti metti a ballare», frase iniziale sulla foto di Pina Bausch, sull'altro piatto della bilancia la sfida per il quadro aziendale coinvolge la sua umanità e l'arcano che si nasconde dietro al sottoposto sorridente è un'esperienza rara che solo in finale di film riesce a stemperare il cartello che campeggia a tutto schermo "Mi sembri serio". Due facce di una stessa medaglia: chiedersi se si è felici e come sonnambuli che sbattono contro il muro senza poterlo evitare - un gradino più su del determinismo senza libero arbitrio - e perseguire la felicità al di là della morte, all'interno del buco nero del coma.
Per vincere la sfida legata alla ricostruzione di questi mondi schiantati dalla tristezza, i registi si affidano agli interni: da sempre Almodovar è attentissimo a combinare gli ambienti con i caratteri descritti e lo scorcio (sempre lo stesso della casa di Benigno contiene il suo destino e la sua vocazione voyeuristica: macchina desiderante alla finestra sulla scuola di danza); i siparietti classici del suo cinema in cui lascia interagire tre o più donne in questo caso rappresentano la tipica conversazione tra colleghe, che fa il paio con la ricostruzione delle dinamiche aziendali di un ufficio presente nel film americano, con l'attenzione ai conciliaboli ristretti e i momenti collettivi - o addirittura conviviali della pausa - equivalenti alla precisione con cui si descrive la freddezza della vita congelata di Amy Irving, alla quale è stata espiantata la vita stessa e tutto attorno a lei si desensibilizza la percezione del mondo: dapprima la casa si svuota nel trasloco forzato dall'abbandono senza motivo del marito, incapace di creare un'alternativa - pur immaginanado di viverla - e poi l'immobile atmosfera della stanza ripresa in un totale insostenibile per glacialità incombe chiudendo ogni possibile comunicazione. Il coma "vigile".
Il ruolo di Marco, il giornalista di Hable con ella, incapace di parlare alla donna amata - impossibilitato persino a toccarla - è quello di puro testimone (non parla con lei, non indovina nemmeno cosa gli avrebbe rivelato in quel viaggio ripetuto nella memoria più volte come se fosse il momento clou che non siè mai esplicitato, no almeno in questa dimesione narrativa: per questo se ne tantano molte su uno stesso tempo), tramite tra i personaggi e nel finale persino mezzo per rendere possibile un amour fou, che probabilmente vivrà lui per delega nel dolciastro finale melò. È ilruolo dello spettatore, che finisce con l'assumere in un altro tempo e un altro spazio il punto di vista della giovane domestica, che oscilla tra ottimismo e sconforto, intrepretando i segni degli eventi in modo che l'evoluzione del dolore consenta almeno una possibilità di riscatto, o di crescita. Uno scampo al grigiore. La prassi dei cartelli in Almodovar deve ingenerare maggiore confusione temporale, con il risultato di sospendere il tempo in un unico lungo minuto in cui si racchiude il film vissuto come in uno stato comatoso, nel caso di Sprecher adottare frasi già pronunciate ha lo stesso ruolo di legame con una sequenza collocata nel passato diegetico e ripescata in una situazione che si connota come nuova, senza esserlo.
Le maschere (al di là della voce "squarciafiga" di Roberto Pedicini nel doppiaggio italiano di Jack Folla, che raddopia ancora di più gli infiniti rimandi e le inevitabili simmetricità del testo, finendo col citare per forza la trasmissione) si equivalgono: il pianto silenzioso di Marco coincide perfettamente con il sorriso contagioso, ma altrettanto ritroso di mr. Sorriso, che subisce l'ira del tristanzuolo capo, reso acido dalle dinamiche liberiste di cui è trasmissione e ingranaggio stritolato. E nella commistione cha andiamo creando tra i due testi, inventando nuove intersecazioni che vanno a creare infiniti possibili rimandi, alla sua figura triste e interlocutoria nel tentativo di comprendere fa riscontro quella dell'insegnante di ballo Geraldine Chaplin, che assiste a come «dalla morte emerge la vita».
Ma è la cornice che viene a contare più del resto del film: l'anello concluso nel bar racchiude tutte le tredici conversazioni nell'arco del disco del juke box, ma ci consente di capire ogni allusione del dialogo, racchiude e contiene davvero la Narrazione, in maiuscolo; e quella cornice trova l'esplicitazione in una delle ultime battute: «La vita ha un senso solo guardando al passato, ma siamo costretti a guardare al futuro». Allo stesso modo ha un'importanza fondamentale la cornice del film spagnolo: il teatro, quello stesso che dava la chiave per entrare nell'intreccio di La ley del deseo, di cui è parente stretto: per passione soffocata e altarini su cui vengono issati gli amanti, come in ogni lavoro almodovariano. S'inizia con la piéce di Pina Bausch e il cartello annuncia la storia di "Lydia y Marco", ma quella al punto in cui entriamo nella vicenda s'è già conclusa e si consuma in platea tra le lacrime di Marco, notate dal sensibile Benigno; si conclude con "Marco y Alicia", a teatro, spettatori nuovamente, ma con uno stato d'animo diverso, sollevato e disteso dopo la tempesta come il sorriso, un po' amaro, in metropolitana tra Alan Arkin e Amy Irving.