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Little Odessa
Anno: 1994
Regista: James Gray;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 07-05-1998


Untitled

LITTLE ODESSA, di James Gray, con Tim Roth, Vanessa Redgrave; Usa, 1994.

Premiato al Festival di Venezia 1994 con il Leone d'argento e la Coppa Volpi a Vanessa Redgrave come Migliore Attrice Non Protagonista, LITTLE ODESSA è un noir anomalo ed affascinante. Inverno. Joshua, killer professionista, deve ritornare nel quartiere dove è cresciuto e da cui è fuggito, Little Odessa - Brooklyn, N.Y., per eliminare un personaggio scomodo. Il lavoro da svolgere è relativamente semplice, ma ritornare a Little Odessa significa affrontare il passato. Ed un killer non può permettersi un Passato. Ritornando a Brooklyn si ritrova immerso in sentimenti e situazioni che aveva abbandonato, fuggendo di casa: il padre violento e fedifrago, la madre malata di un tumore al cervello, il fratello che nutre per egli un affetto ed un'ammirazione malriposti, la mafia russa che lo vuole morto, l'ex-fidanzata che lo ama ancora... Un killer deve arrivare sul luogo, eliminare il soggetto in questione, scomparire. Joshua arriva, uccide, e tarda a scomparire: troppi sono i problemi lasciati in sospeso prima di abbandonare la famiglia, troppi i problemi che sono sopraggiunti durante la sua lontananza, troppe le responsabilità di cui si sente investito - prima fra tutte, quelle nei confronti del fratello, vittima a sua volta di un padre il cui metodo educativo è basato sull'utilizzo della cinghia; poi, quelle legate alla situazione disperata della madre; in terzo luogo, l'amore che lo lega alla propria ex-ragazza. L'omicidio che Joshua deve compiere passa in secondo piano, di fronte a una tale e complessa mole di ricordi che si fanno presente. Iniziato come un noir, freddo e crudo, Little Odessa prende una piega intimista, scandagliando con stile essenziale e distaccato la personalità nascosta, profonda e sfuggente, del personaggio principale, articolandone il ritratto e l'analisi nelle tipologie di rapporto che instaura con i vari 'fantasmi' del passato: insensibile di fronte alle vittime, paterno e protettivo col fratello, rancoroso col padre, affettuoso e sensibile con la madre, spietato con gli avversari, apparentemente distaccato con la fidanzata, autoritario e rigido con gli ex-compagni di gang... Ambientato in una Brooklyn inquietante, sporca di neve e sangue, fotografata in toni gelidi e nitidi, minimali, quasi documentaristici (contraltare al calore e all'incertezza degli interni), Little Odessa muove dal conflitto interiore del personaggio principale, per poi aprirsi a ventaglio, impercettibilmente, sulle sfaccettature dei personaggi solo apparentemente secondari, con tratti sicuri, un andamento lento ma inarrestabile, mai noioso, ed un cupo senso di ineluttabilità degli eventi proprio del genere. Contribuiscono a creare un'atmosfera di disagio (e presagio), oltre a comunicare una sensazione di distacco dalla materia narrata, i dialoghi in russo spesso non tradotti - come se qualcosa sfuggisse con il significato di quelle parole incomprensibili, come se qualcosa non fosse detto, come se di qualcosa non dovesse essere messo a parte lo spettatore, come se lo spettatore (come Joshua) dovesse restare costretto fuori (respinto) dallo spazio dei personaggi e dallo loro realtà disperata. Vero e proprio angelo della morte, Joshua trascina con sè, nella tragedia, le figure vicine: rimarrà solo, ad attendere la fine violenta che il padre, ancora una volta, crederà essere la soluzione migliore.