Il
boss. Fernando di Leo. 1973. ITALIA.
Attori: Henry Silva, Richard
Conte, Vittorio Caprioli, Gianni Garko, Pier Paolo Capponi, Atonia Santilli,
Corrado Gaipa
Durata: 111’
Palermo. In un cinema dove si
proietta un film porno, il sicario Nick Lanzetta, cresciuto dalla famiglia
Daniello, a sua volta protetta dal boss Carrasco, uccide tutti i mafiosi
presenti, appartenenti al clan calabrese dei Cocchi. Questi per ritorsione
sequestrano la figlia di Daniello il quale convince Lanzetta a recuperarla ma
in realtà è ucciso proprio dal sicario, ormai al soldo del boss Carrasco. Nick
recupera ugualmente la ragazza e la nasconde a casa sua dove i due incominciano
ad avere una relazione. L’avvocato Rizzo, portavoce dei poteri mafiosi a Roma,
chiede a Carrasco di chiudere la guerra o eliminando interamente la famiglia
dei calabresi Cocchi o firmando una pace ed accogliendoli nel suo clan.
Carrasco chiede a Nick di eliminarli tutti ma poiché mancano proprio i vertici
della famiglia Cocchi nel massacro al cantiere edile, l’ispettore Torri
(colluso con la mafia palermitana) consiglia a Carrasco di consegnare Lanzetta
ai Cocchi, scaricando su di lui tutte le colpe della guerra mafiosa. Nick però,
grazie alla soffiata di un suo amico, attende il commissario in casa e dopo aver
fatto arrivare anche i Cocchi uccide tutti. Rita Daniello purtroppo muore nello
scontro a fuoco. Il compagno di Nick allora propone di uccidere anche il boss
Carrasco e sostituirsi a lui nella gestione degli affari palermitani. È proprio
il compagno ad uccidere il boss ed a presentarsi all’avvocato Rizzo come
successore di Carrasco. L’avvocato però, per avere garanzie chiede che
Lanzetta, nascosto in una casetta di legno in campagna, sia ucciso. L’amico fa
saltare in aria la casetta ma Nick non è lì, e lo fredda pochi istanti dopo
l’esplosione. Una telefonata annuncia all’avvocato Rizzo che c’è un nuovo boss
a Palermo.
Dopo l’enorme successo dei
precedenti gangster movie, Milano calibro 9 (1972) e La mala ordina
(1972), il regista s’ispira questa volta ad un romanzo americano, Il mafioso
di Peter McCurtin, per realizzare un’altra pellicola intrisa di violenza e
feroce rappresentazione della realtà politica e sociale del meridione (tutte le
affermazioni non arrivano oltre Roma). Descrivendo, infatti, una città
immischiata sin dalle fondamenta nella malavita o nel male affare (il questore
che fuma sigarette di contrabbando, l’ispettore che è colluso, gli uomini che
dal Parlamento ordinano) egli ha realizzato quella che non a torto in quegli
anni fu considerata come la risposta italiana al film Il padrino (1972)
di Francis Ford Coppola, meno sontuosa sicuramente come pellicola, ma
indubbiamente di grande effetto e molto simile alla realtà più di quanto poté
apparire agli italiani la saga della famiglia di Corleone. Oltre al testo
originale, il regista sembra essersi ispirato anche, almeno nella struttura
portante della storia, al film Per un pugno di dollari (1964) di Sergio
Leone, per quella particolare propensione al tradimento, a passare da una parte
all’altra, che caratterizzava il personaggio di Clint Eastwood. Ed è, infatti,
da una famiglia all’altra, da un complotto all’altro che Henry Silva (Nick
Lanzetta) si muove, respingendo tradimenti, donne e denaro in nome della pelle,
ed infine del potere, mettendo in scena così un nuovo mafioso senza rispetto
dell’onore e della fedeltà famigliare. Musicato da un maestro del
genere, Luis Enriquez Bakalov, per questa pellicola in vena d’ispirazioni
progressive misto funkeggianti, il film è presto diventato un cult, tanto da
essere stato ripresentato recentemente alla Mostra del cinema di Venezia nella
sezione curata dal regista americano Quentin Tarantino e dedicata proprio ai
film di serie B italiani che avevano ispirato gran parte della sua
filmografia. L’allora ministro delle poste Giovanni Gioia, delle file
democristiane, querelò senza successo il regista per aver alluso alla sua
persona in alcuni dialoghi del film. Solitamente quando questo accade allora
vuol dire che siamo in presenza di un film riuscito, non documentaristico, ma
almeno vicino alla realtà descritta.
Bucci Mario
[email protected]