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Il boss
Anno: 1973
Regista: Fernando Di Leo;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 24-11-2004


La grande guerra

Il boss. Fernando di Leo. 1973. ITALIA.

Attori: Henry Silva, Richard Conte, Vittorio Caprioli, Gianni Garko, Pier Paolo Capponi, Atonia Santilli, Corrado Gaipa

Durata: 111’

 

 

Palermo. In un cinema dove si proietta un film porno, il sicario Nick Lanzetta, cresciuto dalla famiglia Daniello, a sua volta protetta dal boss Carrasco, uccide tutti i mafiosi presenti, appartenenti al clan calabrese dei Cocchi. Questi per ritorsione sequestrano la figlia di Daniello il quale convince Lanzetta a recuperarla ma in realtà è ucciso proprio dal sicario, ormai al soldo del boss Carrasco. Nick recupera ugualmente la ragazza e la nasconde a casa sua dove i due incominciano ad avere una relazione. L’avvocato Rizzo, portavoce dei poteri mafiosi a Roma, chiede a Carrasco di chiudere la guerra o eliminando interamente la famiglia dei calabresi Cocchi o firmando una pace ed accogliendoli nel suo clan. Carrasco chiede a Nick di eliminarli tutti ma poiché mancano proprio i vertici della famiglia Cocchi nel massacro al cantiere edile, l’ispettore Torri (colluso con la mafia palermitana) consiglia a Carrasco di consegnare Lanzetta ai Cocchi, scaricando su di lui tutte le colpe della guerra mafiosa. Nick però, grazie alla soffiata di un suo amico, attende il commissario in casa e dopo aver fatto arrivare anche i Cocchi uccide tutti. Rita Daniello purtroppo muore nello scontro a fuoco. Il compagno di Nick allora propone di uccidere anche il boss Carrasco e sostituirsi a lui nella gestione degli affari palermitani. È proprio il compagno ad uccidere il boss ed a presentarsi all’avvocato Rizzo come successore di Carrasco. L’avvocato però, per avere garanzie chiede che Lanzetta, nascosto in una casetta di legno in campagna, sia ucciso. L’amico fa saltare in aria la casetta ma Nick non è lì, e lo fredda pochi istanti dopo l’esplosione. Una telefonata annuncia all’avvocato Rizzo che c’è un nuovo boss a Palermo.

Dopo l’enorme successo dei precedenti gangster movie, Milano calibro 9 (1972) e La mala ordina (1972), il regista s’ispira questa volta ad un romanzo americano, Il mafioso di Peter McCurtin, per realizzare un’altra pellicola intrisa di violenza e feroce rappresentazione della realtà politica e sociale del meridione (tutte le affermazioni non arrivano oltre Roma). Descrivendo, infatti, una città immischiata sin dalle fondamenta nella malavita o nel male affare (il questore che fuma sigarette di contrabbando, l’ispettore che è colluso, gli uomini che dal Parlamento ordinano) egli ha realizzato quella che non a torto in quegli anni fu considerata come la risposta italiana al film Il padrino (1972) di Francis Ford Coppola, meno sontuosa sicuramente come pellicola, ma indubbiamente di grande effetto e molto simile alla realtà più di quanto poté apparire agli italiani la saga della famiglia di Corleone. Oltre al testo originale, il regista sembra essersi ispirato anche, almeno nella struttura portante della storia, al film Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone, per quella particolare propensione al tradimento, a passare da una parte all’altra, che caratterizzava il personaggio di Clint Eastwood. Ed è, infatti, da una famiglia all’altra, da un complotto all’altro che Henry Silva (Nick Lanzetta) si muove, respingendo tradimenti, donne e denaro in nome della pelle, ed infine del potere, mettendo in scena così un nuovo mafioso senza rispetto dell’onore e della fedeltà famigliare. Musicato da un maestro del genere, Luis Enriquez Bakalov, per questa pellicola in vena d’ispirazioni progressive misto funkeggianti, il film è presto diventato un cult, tanto da essere stato ripresentato recentemente alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione curata dal regista americano Quentin Tarantino e dedicata proprio ai film di serie B italiani che avevano ispirato gran parte della sua filmografia. L’allora ministro delle poste Giovanni Gioia, delle file democristiane, querelò senza successo il regista per aver alluso alla sua persona in alcuni dialoghi del film. Solitamente quando questo accade allora vuol dire che siamo in presenza di un film riuscito, non documentaristico, ma almeno vicino alla realtà descritta.    

 

 

Bucci Mario

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