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Machete
Anno: 2010
Regista: Robert Rodriguez; Ethan Maniquis;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 12-08-2011


“Non siamo non che abbiamo violato il confine, è il confine che ha violato a noi.” Danny Trejo ha un fisico degno di un ex galeotto di San Quintino, come lui è stato. Fisicità perfetta senza bisogno di nessun movimento, volto inespressivo e distaccato dal resto dell’ambientazione. Aggiungiamoci abbondanti tatuaggi e cicatrici ed abbiamo l’ineguagliabile Machete: un bambolone brutto, malfatto e violento ma con l’animo del bambino mai cresciuto. Ovviamente le donne sono pazze di lui, si gettano nelle sue possenti bracci desiderose di protezione. Machete Cortez è stato un agente federale, caduto in una trappola è cacciato dalla polizia, sarà costretto a vivere alla giornata con lavori infimi. A causa della sua faccia da ebete sarà vittima di un altro tentativo di sfruttamento a fini politici. La sua difesa personale e la sua rabbia saranno impietosi. Robert Rodriguez ha già diretto Sin City tratto dal fumetto di Frank Miller. Con Machete si ripete, perché il film è un fumettone, splatter, esagerato, dipinto con colori rosso sangue e calda luce texana. E’ talmente esasperato da renderlo comico; i dialoghi sono sballati obbligandoci a ridere, anche se, nello stesso momento, il sangue del taglio di una testa sembra arrivarci addosso. Intenzionalmente si cerca una locuzione seria e profonda con immagini fuorvianti e recitazione indifferente: l’effetto è un volutamente ridicolo. Il fumetto continua negli arredamenti, nelle scenografie azzardate: i video di controllo della chiesa a forma di croce, la piazza messicana con un murales colorato anch’esso a simile ad una croce, omaggio al pittore messicano Diego Rivera, non a caso lo stesso cognome di Jessica Alba nel film. L’elasticità dei cartoons consente di ottenere movimenti e posizioni irreali, così Rodriguez si diverte con gesti impossibili: un intestino utilizzato come liana, un proiettile conficcato nella testa che blocca un altro proiettile, non ci sono limiti. Il regista si pone in anticipo alle scene seguenti, coinvolgendo lo spettatore. Prima indugia con la camera su particolari taglienti e affilati, obbligandoci a immaginare il futuro uso sadico. Le battaglie avvengono con oggetti acuminati, si parte dal machete e si finisce ad usare cavatappi, termometri da cucina, tacchi a spillo, bisturi, tagliaerba fino spropositate spade e immancabile due katane, omaggio ai manga. Il fumetto di Rodriguez può finire solo in un’orgia di brutalità con una battaglia finale epica e sopravalutata. Sarà anche una ingordigia di abbigliamenti, costumi, rendendo fantasmagorico e scoppiettante un finale catartico. In un tripudio di crudeltà, sangue, mutilazioni, recisioni, morti nessuno sembra soffrire, tutti vivono come su un disegno o su un murales. La dualità dei mestieri prende sopravvento: il prete registra le confessioni ma aiuta i poveri, il senatore caccia gli emigranti ma difende gli americani. “Dio ha pietà, io no” urla il fratello prete di Machete, consentendoci di delineare il credo del film. Abbandoniamo a Dio i discorsi seri, la sensatezza politica, il politicamente corretto, ma nel film scarichiamoci addosso violenza, ferocia, brutalità e cattiveria senza pietà. Importante è riuscirci con allegria e divertimento. L’autoironia della pellicola è la sua caratteristica principale, nessuno è reale ma tutti sono sovrabbondanti.