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Niente da dichiarare - Rien à déclarer
Anno: 2010
Regista: Dany Boon;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 26-09-2011


“Il cielo, papà, è belga o francese?” In questo periodo di difficoltà economiche le riserve, i dubbi sulla funzionalità e l’utilità dell’Europa sono accresciute nel cuore di tutti. Dopo la nascita dell’euro abbiamo assistito alle spinte inflazionistiche, agli aumenti indiscriminati, alla perdita di valore dei risparmi; chi non ha, almeno per un momento, maledetto questa Europa? Ne avevamo bisogno? Prima dell’euro, il 1 gennaio 1993, i paesi dell’Europa avevano abbattuto tutte le frontiere; il libero passaggio di merci e di persone era realtà. In un mondo, pieno di barriere e di muri, era un sogno realizzato; ma chi, in quel momento, ha pensato hai tanti doganieri impegnati nelle varie frontiere che perdevano un lavoro? Nessuno, era un grattacapo loro. Dany Boon, il simpatico e creativo regista francese, ci riprova dopo il successo inaspettato di Giù al nord. Il consenso del film stava nella sua semplicità, nella sua spumeggiante storia, recitata con divertimento da un bel cast di attori. Giù al nord era una avventura ben scritta, basata sulla falsità dei luoghi comuni. Il nord della Francia era considerato un luogo impossibile da vivere, in confronto al sud solare. Niente da dichiarare segue lo stesso tenore di discussione, basandosi tutto sul confronto e sulla assurdità degli stereotipi e delle banalità fra francesi e belgi. Anche qui una storia genuina, facile ma ben scritta. Siamo alla vigilia della chiusura della frontiera fra Francia e Belgio. I doganieri stanno perdendo il lavoro, nonostante la iper-devozione con cui si erano dedicati. Lo sconforto è notevole. Perché in entrambe le fila c’è una bella dose di nazionalismo, di canzonante sfida, ricca di barzellette ed imitazioni buffe. Così deve essere, un po’ di campanilismo è sintomo di accettazione culturale. Ma il doganiere belga Ruben Vandevoorde esagera. Per lui i francesi sono solo dei mangialumache, e non devono sconfinare. I poveri malcapitati francesi sono costretti a rimpiangere il tentativo di attraversamento del confine. Il suo contraltare è il doganiere francese Mathias Ducatel, innamorato della sorella di Ruben, con la quale ha una storia segreta. Questa è la partenza. Contiene già tutti gli elementi tipici di un film ironico, pronto a scatenarsi. E così succederà. I due nemici saranno costretti a pattugliare insieme il confine mobile, e la loro convivenza forzata, in una vecchia Renault 4, infiammerà tutte le differenze e i clichè. Storia semplice, ma non banale. Riesce ad incarnare quella dose di antieuropeismo diffuso in tutti i paesi. L’Europa di popolare non ha nulla, La sua fondazione è partita dall’alto, più una necessità politica, favorevole alle potenti società economiche ma estranea ai sentimenti della gente. L’Europa attuale è una comunità aristocratica, quasi in mano ai dei nobili di altri tempi. Le difficoltà successive, e queste attuali, hanno accresciuto la sfiducia e diffidenza. Il film gioca su questo dubbio – molto popolare – e si diletta ha rappresentare le perplessità della gente. L’ironia dei personaggi, gli avvenimenti comici, le sfide, le dispute seguono una cadenza notevole. Non c’è volgarità, non c’è esagerazione, ma un livello ritmico e costante di battute ed una storia piena di doppi sensi. Nel finale ci si riappropria di una normale logicità. La malvoluta Europa forse è una bella necessità. Lo stare tutti insieme, liberi ma diversi, potrebbe rappresentare la soluzione migliore per tutti, come lo è per Ruben e Mathias. Tranquilli, un altro a cui manifestare il nazionalismo lo si trova sempre; magari in un cinese, perché se il cielo è di tutta l’umanità, il loro pezzo è dall’altra parte del mondo, come ci racconta Ruben. Linguaggio naturale, come la storia, divertente in tutti i personaggi, anche nei caratteri minori. Tutti recitano coralmente, ma i due eroi - Benoît Poelvoorde e Dany Boon – sono bravissimi a farsi da spalla vicendevolmente.