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Brève Traversée
Anno: 2001
Regista: Cathrine Breillat;
Autore Recensione: clarissa
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 16-09-2001


Breve traversee

 

Nuovi territori- Venezia 58

Il solito film della Breillat, che se seguissi il critico del giornalino Daily Venezia, potrei riassumervi così, una trentenne con l’aria da psicolabile per portarsi a letto un sedicenne lo incanta con chiacchiere-sonnifero sulla cattiveria degli uomini. O se preferite, questa volta è un commento femminile e ammirato, un film davvero femminile e davvero di dialogo (come anche Agua e Sal).

Invece mi piace pensare che sia il solito film della Breillat per come lascia splendere anche l’orrore dell’incontro magico amoroso, il vuoto che vortica, il momento in cui si gettano le sicurezze e le ragioni e non restano che gli sguardi insostenibili, il momento in cui si passa da essere invisibili per altro a riempire tutto lo spazio visivo senza bisogno di passare anche al dicibile; il solito film che riesce a mostrare senza spiegare il rapporto tra corpo e parola, tra discorso e sesso; tra verità indicibile e menzogna che scopre; questo la Breillat teneva a dire dopo la visione del film. Anche lei lo vedeva per la prima volta, questo piccolo film commissionato da ARTE per la serie Masculin/Feminin, anche se nel caso della Breillat mi pare si sia sempre nella serie Feminin/Feminin.

La novità che entra nello spazio corpo mente della solita Breillat è il tempo amoroso, qui breve come la notte di traversata dalla Francia all’Inghilterra (la Breillat ha anche buttato lì che il film potrebbe essere un film sulla freddezza inglese e sul calore potente latino (SIC)), ma eternale come ogni attimo dell’amore e, per riprendere Nietzsche-Bressane-Zarathustra, eternale come il momento a cui dici si nella prospettiva dell’eterno ritorno, il momento che vivresti sempre e ancora.

Il sedicenne soprannominato che vorrebbe avere 18 anni seduce sedotto (chissà chi ha cominciato o chi crede di averlo fatto) una trentenne insoddisfatta da vita e uomini che tra alcool e discoteche racconta con aria sicura e annoiata da chi ha raggiunto dolorose certezze dal reale insoddisfacente (-io la mattina dormo fino a tardi, la vita è noiosa e interminabile-; -Gli uomini sono come questo illusionista che fa scomparire e trafigge la donna, annullano la donna-; Noi siamo troppo complicate E romantiche per l’uomo-; -le carezze fanno orrore alle donne-) la tristezza dell’amore di cui sono capaci gli uomini. Ma esagera e si scopre e si scoprirà ancora di poù quando si mostrerà timida e impacciata nel fare l’amore col piccolo.

Strani interventi dal pubblico che lamenta personaggi non ben tratteggiati, il giovane che all’inizio appare spavaldo e sicuro di sé finisce per sciogliersi in tenerezze disarmanti e sofferenze; ma l’orgoglio adolescente non porta con sé spavalderia e fragilità? Risponde scocciata la Breillat, che altrettanto stupita, quando la si accusa di aver inscenato un finale scontato, chiede se poi la vita non sia banale; la suspance è l’ultimo degli interessi della regista e lo schema invariante non toglie nulla alla speranza e magia dell’incontro e al crederci fino in fondo. Che poi la trentenne soffra o meno o se, al contrario, che il sedicenne sia un furbo manipolatore nessuno può dirlo ma da quando la verità conta di più della menzogna che appare?

I primi piani interminabili sono quasi insostenibili, fatti solo di sguardi al fuori campo che non sei tu,e tu soffri quasi di essere fuori dal dispositivo di seduzione anche se non riesci mai a impersonarti, e per questo la Breillat sembra così spietata e sicura di sé e delle sue idee. Il film inquadra gli sguardi dell’amore e le loro scansioni, distratti e vaganti poi centrati sull’oggetto del desiderio poi fusi e infine divergenti; era solo lo sguardo che interessava alla regista, i moti di avvicinamento e allontanamento, il vuoto di realtà correlato a due sguardi che si cercano, come se lo sguardo non mentisse mai o mentisse sempre, e per questo la parola non è poi così importante, non ci importa sapere se lei menta o meno.

Polemiche nella discussione quando la Breillat ha affermato come terminologicamente la verginità sia una perdita per la donna e un guadagno e un nuovo status per l’uomo (pare che anche gli attori fossero poi in realtà lei imbarazzata e lui sicuro e spavaldo nel girare la scena di sesso), la domanda sottolineava infatti come la perdita della verginità in A ma soeur, la perdita di una donna fosse tutt’altro rispetto a questa piacevole attraversata maschile del guadagno della mascolinità; lo so che è facile accusare la Breillat di vetero o neo femminismo di dogmaticità e sicurezze aggressive, di pedagogicità e riproduzione dello stereotipo maschiofalloprepotente e donnavuotodariempire, ma non credo che i suoi atteggiamenti siano irriflessi o dogmaticamente chiusi e lineari, non crede neanche lei che gli uomini siano dei bruti animaleschi e le donne delle intellettuali sensibili che però alla fin fine vogliono solo l’uomo duro, come continua a ripetere la nostra trentenne della traversata. Anche se non sono sicura che il cinema della Breillat non sia fatto proprio per esorcizzare la sua dipendenza idealizzata dagli uomini e dall’immagine angelicata che la donna è stata costretta ad avere di sé per secoli.. Il suo essere sgradevole ed eccessiva si lega alla rottura che sente di dover forzare, e viste le reazioni che suscita forse è ancora un po’ così.

Che la Breillat poi non sappia presentare l’adolescenza mi pare l’accusa più infondata del festival, se si ricorda la giovane annoiatissima già prima dell’amore degli uomini e altrettanto alla ricerca di iniziazione, del suo primo film scritto a 17 anni e fatto passare come film porno, Une Vraie Jeune Fille, non si può non ammettere che magari ci mostra qualcosa che non vorremmo vedere o qualcuno in cui non vogliamo riconoscerci ma l’opacità e la sporchezza dei personaggi della Breillat ci accompagnano sempre e neanche troppo nascosti nell’inconscio.

Ci sono stati altri viaggio di iniziazione e rappresentazioni della noia insopportabile, anche fisicamente, per i protagonisti come nel bianco e nero crudele e lancinante di Le Soufle, dove in effetti l’iniziazione maschile non si sogna nemmeno di passare per il sesso ma per una sbronza di gruppo e la violenza. Forse è vero che i film della Breillat sono solo delle donne.

E forse è vero che le donne sono complesse, menzognere e inafferrabili se la Breillat dopo aver freddato critici e detrattori con sicumera e sguardo di ghiaccio, dopo aver riso di cuore all’accusa di aver inscenato un finale crudele(lei allo sbarco abbandona il compagno di traversata per unirsi alla sua famiglia e non lo degna neppure di uno sguardo(siamo sicuri sia così crudele?)) dicendo che è uno dei finali più teneri che abbia mai fatto, niente sadomasochismo a meno che l’amore non sia in sé sadomasochistico (uno su tutti il finale di Parfait Amour! in cui il giovane motociclista bruto, provocato dall’amante matura e intellettuale la uccide sodomizzandola con uan spranga, che potrebbe poi essere la fine che farebbe la protagonista di Brève traversée se resta con il piccolo; o anche, Une Vraie Jeune Fille, con l’uccisione del fidanzato della protagonista che cercava nottetempo di intrufolarsi nella camera di lei e quell’ultimo annoiatissimo sguardo vuoto della vergine alla finestra), si è scusata per non poter rimanere, doveva rientrare a Parigi per accompagnare a scuola la figlioletta.