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COVER BOY
Anno: 2008
Regista: Carmine Amoroso;
Autore Recensione: Francesco Puma
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 13-05-2008


il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, il Novecento efferato ed insanguinato dalle tirannie e dai conflitti estremi, ci

COVER BOY – L’ULTIMA RIVOLUZIONE

Regia: Carmine Amoroso
1h e 41



Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, il Novecento efferato ed insanguinato dalle tirannie e dai conflitti estremi, ci ha dimostrato quanto profondo può essere il divario tra l'utopia ideologica e la sua concreta attuazione. Quando le aspirazioni legittime al benessere diffuso o all'egualitarismo rivoluzionario hanno individuato i propri statuti di potere, allora i sogni di libertà si sono infranti contro le barriere della Storia. In
Cover Boy, intenso e rigoroso capolavoro di cinema indipendente diretto da Carmine Amoroso, la storia delle oligarchie nella democrazia dell'America del capitalismo rampante, e quella nel comunismo reale dei tormentati e soggiogati paesi dell'Est ancora in attesa del crollo dei loro muri, è condensata in un’ouverture documentaria, spezzoni d'archivio lungo i titoli di testa: Kennedy e la sua Nuova Frontiera, la rivoluzione d'ottobre, i carri armati sovietici a Praga, la rivolta di Tienanmen e soprattutto il grottesco, tragico capitolo di Ceausescu, dittatore a cui fa esplicito riferimento il sottotitolo, L'ultima rivoluzione, di questo low budget girato in HDV, palese dimostrazione della straordinaria efficacia della tecnica digitale quando a governare la materia c'è chi conosce l'intensità del cinema sapendo come dispiegarla. Il richiamo alla fragorosa rivolta culminata in un sommario tirannicidio, nella Romania del 1989, si lega alla vicenda privata del protagonista Ioan (interpretato con puntuta intensità dall'esordiente Eduard Gabia, danzatore e coreografo di quel paese), ancora bambino in quella notte di fatali eventi resi ancora più strazianti, per lui, dalla morte del padre avvenuta quando questi aveva tentato di soccorrere un ferito per strada. La Bucarest liberata del dopo - rivolta sembra essere lo scenario ideale per un nuovo inizio. Ma le naturali aspirazioni di Ioan precipitano traumaticamente con le esigenze socio - economiche dell'immigrazione forzata ed invasiva in grado di produrre squilibri irreversibili in quel contesto già degradato: così l'apprendistato da adulto, il nostro è costretto a consumarlo da esule forzato, venendo a cercare lavoro a Roma. La stazione Termini, grembo privilegiato di tutti i clandestini all'incanto, diviene per lui il primo rifugio e, immediatamente, l'occasione per l'iniziatorio incontro con Michele (Luca Lionello qui in una bella prova di controllato virtuosismo attoriale), uomo delle pulizie che decide di ospitarlo chiedendo solo un piccolo contributo per l'affitto. Pur privo di documenti, Ioan riesce a farsi assumere come meccanico mentre a Michele capita di perdere il lavoro e di precipitare, conseguentemente, in una depressione letale. I due nuovi complici, però, mostrano una resistente tempra nell'aggrapparsi ai loro bisogni d'emancipazione: vorrebbero gestire insieme un ristorante sul Delta del Danubio, saldando un'amicizia che cova, inespressa, una tentazione omosessuale (così l'ospite sbircia l'aitante immigrato sotto la doccia). Ma ecco entrare in scena la fotografa Laura (Chiara Caselli, abituata fin dai tempi di Belli e dannati al ruolo di terza incomoda) che convince Ioan al guadagno sicuro, nella Milano capitale della moda, come modello. Soldi facili, vacuità profusa, cinismo incipiente: la dolorosa separazione da Michele conduce il cover boy dell'est ad un'avvilente perdizione mercificata. E' la consueta deriva del lusso da parvenu da via Montenapoleone, la polverizzazione "easy" dell'identità nell'iridescente flusso consumistico fino allo smarrimento del proprio centro, sfilata dopo sfilata: la passerella è individuata come segno di prostituzione coatta che richiama, in parallelo, quella di un amico di Ioan, rumeno trapiantato in Italia, costretto dagli eventi a fare il gigolo per uomini. Che l'ipocrisia sia generata dall'alienazione e dalla marginalità rabbiosa (alla quale sembrano destinati gli abitanti dell'attuale nostra società della vacua opulenza, retta dai feticci estetici di deboli valori forti) lo dimostrano personaggi come quello di Luciana (drammatico ruolo inedito per la pepata Littizzetto), attricetta fallita ed acidissima padrona di casa del povero Michele, buona a sfogare le proprie nevrosi dando addosso agli inquilini. E non è l'unico carattere emblematico, il suo, in questo bassorilievo sul contemporaneo sfascio che ha il pregio di svelare la sostanza tragica (e qualche volta grottesca) di scenari sociali più volte frequentati dal neo - neorealismo nostrano. Amoroso, già sceneggiatore di successo (per il monicelliano Parenti Serpenti) e debuttante regista (con il galeotto Come mi vuoi con Monica Bellucci e Vincent Cassel), mostra una particolarissima sensibilità autoriale nel disegnare i chiaroscurati contorni dei paesaggi metropolitani prima romani poi milanesi (la periferizzazione concentrata di Termini, stazione di scarti dell'umano in bilico, e poi i rutilanti set modaioli dell'ex città da bere), dopo l'iniziale squarcio rumeno restituito in presa diretta (con i rituali sottotitoli). E' un piccolo miracolo d’acutezza la fotografia di Paolo Ferrari che fa vibrare i volumi degli agglomerati urbani individuati come paesaggi dell'anima, mentre risulta toccante la partitura di Marco Falagiani, che lavora per contrappunti e sottili rifrazioni (fino al morbido e commovente finale che si lascia ricordare). Scritto dallo stesso regista in coppia con Filippo Ascione, Cover Boy esibisce la propria natura analitica però sciolta in una impalpabile tessitura drammaturgica capace di offrire rilievo di verità a personaggi, luoghi e situazioni (è facile accostarlo alla storia d'identità precarie che ha fatto di Come l’ombra un rilevante "giallo" sull'immigrazione firmato da Marina Spada). Con la sua descrizione di legami infranti e di falsi movimenti, Amoroso dà respiro alla propria vocazione di poeta della realtà, inquadrando con tagliente efficacia uno squarcio di socialità fatiscente dove si consumano i sogni dei nuovi proletari senza rivoluzione, persi lungo i rovinati marciapiedi della Storia.

Francesco Puma