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Les convoyeurs attendent Anno: 1999 Regista: Benoit Mariage; Autore Recensione: Andrea Lojoli Provenienza: Belgio; Francia; Svizzera; Data inserimento nel database: 07-06-1999
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Les convoyeurs attendent
di Benoit Mariage
Il titolo del film potrebbe sviare da quella che è in effetti la trama,
perché si riferisce ai piccioni viaggiatori e in particolare a Napoleon,
il campione delle gare che comprendono questa categoria, allenato da Felix,
un ragazzo che porta sulle spalle i segni di un infanzia mal vissuta, che lo
hanno reso molto timido e chiuso in se stesso, vicino di casa della famiglia
Closset residenti in un area industriale del Belgio.
Ma Felix è solo un anello di questo film che racconta un anno della famiglia
Closset all'alba del terzo millennio, visto attraverso gli occhi della più
piccina della famiglia, Louise di 8 anni. Dal suo punto di vista ogni giorno
della sua famiglia sembra assolutamente assurdo. Suo padre (Roger) è
un cronista di provincia, ossessionato dallo "scoop", è sintonizzato
sempre sulla banda della polizia. Chi ne subisce di più le conseguenze,
di questa avidità di notizie da cronaca nera, è sua moglie, tristemente
rassegnata a dover ascoltare. Nel frattempo, Roger sta allenando suo figlio
Michel di 15 anni, per entrare nel guinness dei primati, stabilendo un nuovo
record di apertura e chiusura di porta di 40.000 volte in 24 ore, per vincere
così l'autovettura messa in palio dall'Associazione dei commercianti.
Addirittura gli mette a disposizione un allenatore! Quest'ultima grande ossessione,
del record da battere, per avere la vettura e esaudire un desiderio, mai soddisfatto
con il proprio stipendio, sfocerà in tragedia per il piccolo Michel.
A questo punto anche un "anello" potrebbe assumere un importanza vitale.
Benoit Mariage proviene da una lunga esperienza di documentari e reportage
su eventi sociali e politici. Questo suo passato da reporter influisce molto,
su questo suo primo lungometraggio. E' giusto che sia così. Le esperienze
passate, reali, vissute fino in fondo sono la base, su cui si può costruire
un film che abbia dei colori un po' surreali, come questo da lui firmato. Anche
l'uso del bianco e nero, sullo stile dei film di Truffaut è voluto per
sottolineare ancora di più il grigiore della periferia industriale, dove
è ambientata la storia dei Closset; un bellissimo esempio è una
scena che parte dalla salita di una collina piena di luce da parte di Roger
in corsa per riprendere la piccola Louise. Una volta che la bambina ha riabbracciato
il papà sulla cima della collina, la macchina da presa allarga il nostro
punto di vista sul panorama industriale sottostante grigio-nero e pieno di fumo.
Il film sale fino a toccare il culmine con il dramma di Michel, trasportato
dall'ossessione di Roger (e dall'ottima interpretazione di quest'ultimo). La
svolta successiva al dramma è una rapida soluzione finale (un po' troppo)
che tralascia alcune cose (forse voluta?) ma mantiene comunque il ritmo, fino
in fondo.
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