Ombre
rosse. John Ford. 1939. USA.
Attori: John
Wayne, Claire Trevor, Thomas Mitchell, George Bancroft, John Carradine, Andy
Devine, Donald Meek, Louise Platt, Tim Holt, Berton Churchill.
Durata: 97’ min.
Titolo
originale:
Stagecoach
America. 1880. Un telegramma
incompleto ed un capo indiano avvertono lo sceriffo di Tonto che Geronimo ha
sfondato la barriera della riserva ed ha dichiarato guerra all’uomo bianco. Una
diligenza che doveva partire da questo paese in direzioni di Lordsburg, verso
il New Mexico, improvvisamente si ritrova senza scorta, ma decide ugualmente di
affrontare il viaggio. Vi salgono, oltre il conducente e lo sceriffo, una
nobildonna in cinta, un giocatore di carte, un rappresentante d’alcolici, un
banchiere che sta fuggendo con i soldi della banca, un medico ubriacone ed una
prostituta, questi ultimi entrambi respinti dalla comunità di Tonto. Sulla
strada, la diligenza trova Ringo, un fuorilegge che ha perso il cavallo e che
vorrebbe raggiungere la stessa meta per consumare una vendetta. Lo sceriffo lo
prende in consegna con il resto dei passeggeri. Alla seconda stazione di
rifornimento, dopo due giorni di viaggio, la nobildonna partorisce mentre Ringo
chiede a Dallas, questo il nome della prostituta, di sposarlo una volta
arrivati a Lordsburg. Il viaggio però si complica quando, giunti dopo il fiume,
la diligenza è assaltata dagli indiani. L’arrivo della cavalleria riuscirà ad
evitare il preannunciato massacro. Una volta in città, il banchiere è arrestato
e lo sceriffo concede a Ringo di consumare la propria vendetta contro i
fratelli Plummer e di fuggire poi con Dallas.
Ispirato direttamente dal
racconto Stage to Lordsburg di Ernest Haycox (che a sua volta si ispirò
al racconto di Guy de Maupassant Palla di sego) Ombre rosse,
sceneggiato da Dudley Nichols, è il western per antonomasia. In un’America
ancora lontana dalla modernità, buoni e cattivi si scambiano i ruoli e la
figura dell’indiano, spesso necessaria a definire il western, diventa
addirittura secondaria (citati per tutto il film, compaiono solo nella
spettacolare sequenza dell’assalto). John Ford, infatti, non sembra interessato
tanto al conflitto tra le due etnie, quanto a quello sociale: tra pregiudizi
(l’allontanamento della prostituta e il disprezzo dei passeggeri nei confronti
del medico) e necessità (il parto della nobildonna e l’assalto alla diligenza),
racconta l’America attraverso il genere più in ascesa alla fine degli anni
quaranta, in corrispondenza del New Deal rooseveltiano. Dice, infatti, Dallas
allo sceriffo prima di partire “Mi fanno più paura certe facce che gli
indiani” riferendosi alle donne della Lega per la moralità. Tecnicamente,
il lavoro di Ford ha in sé tutti i meccanismi che segneranno per anni la
produzione di film western: il protagonista, Ringo\Wayne, che entra in scena
come personaggio negativo e ne esce come positivo, e che il regista introduce
con uno splendido zoom (a shot that made a star – Enrico Ghezzi su
Paura e desiderio); l’introduzione degli indiani, con un carrello laterale
verso sinistra; l’assalto alla diligenza, girato alla velocità di 60 km orari,
forse la sequenza più memorabile dell’intera pellicola, tra stunts che
compiono imprese irripetibili (il salto di Ringo dalla diligenza sui cavalli) e
macchine da presa che, posizionate in terra, si lasciano saltare da cavalli e
diligenza. Per la prima volta si girò una pellicola nella caratteristica
Monument Valley, perfetta per concentrare la storia sui personaggi della
diligenza (archetipi di un mondo che spesso sembra sconfinare il senso della
legge) e per rappresentare un on the road sui generis. Il senso dello
spazio e l’uso drammatico dei movimenti, costituiscono l’apice dell’intera
pellicola (gioco di sguardi tra Ringo e Dallas, alla nascita della bambina; la
tempesta di sabbia che coglie i viaggiatori; il pranzo del primo rifornimento;
il bar dei fratelli Plummer). Il film ottenne due Oscar: miglior attore non
protagonista per Thomas Mitchell, impagabile nella sua interpretazione del
medico ubriaco, e per la colonna sonora, composta da Richard Hageman che
riadattò oltre una dozzina di musiche popolari americane. Nel 1966, Gordon Douglas ne fece il remake
che in Italia circolò con il titolo di I nove di Dryfork City.
Bucci Mario
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