La
dolce vita. Federico
Fellini. 1960.
ITALIA-FRANCIA.
Attori: Marcello Mastroianni,
Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux, Alain Cuny, Annibale Ninchi, Enzo
Cerusico, Valeria Ciangottini, Lex Barker, Jacques Sernas, Nadia Gray, Polidor,
Laura Betti, Adriano Celentano, Gianfranco Mingozzi
Durata: 173’
Roma. Una statua di Gesù sorvola
la città, trasportata da un elicottero. All’uscita da un club indiano, Marcello
Rubini, giornalista che scrive su riviste scandalistiche, accompagna la ricca
Maddalena a fare un giro con la macchina. Annoiata della sua vita di donna
famosa, la donna chiede a Marcello di avere un rapporto in casa di una
prostituta che hanno incontrato in strada ed accompagnato a casa. Al mattino,
di ritorno a casa, Marcello trova la sua convivente Emma che ha tentato il
suicidio ma, portandola in tempo in ospedale evita la sua morte. La relazione
dei due è spesso interrotta da scenate di gelosia di Emma, come quando ad una
conferenza stampa di Sylvia, una grossa diva americana, Marcello è costretto a
stare al telefono. La sera, in un locale dove tutti gli attori alzano il
gomito, la star americana è offesa da Robin, un suo collega, compagno e
connazionale, e decide di allontanarsi dal locale. Marcello si offre di
accompagnarla e si ritrova all’alba nella fontana di Trevi con lei. Al ritorno
in albergo Robin è lì ad aspettarli e prima schiaffeggia Sylvia e poi
aggredisce lo stesso Marcello, il tutto sotto i flash dei paparazzi. Una sera
Marcello si lascia accompagnare da Emma per fare un servizio su un luogo dove
due bambini hanno visto l’apparizione della Madonna ma quando incomincia a
diluviare tutti i presenti si danno alla fuga non senza aver distrutto un
alberello credendolo sacro. La stessa Emma partecipa al suggestivo scempio,
innamorata di Marcello, domandando alla Madonna di avere in miracolo l’amore
corrisposto di quello. Ad un party a casa dell’amico Steiner, frequentata da
artisti delle diverse discipline, Marcello confessa la sua indecisione tra la
via del giornalismo e quella letteratura, dove egli non è ancora riuscito a
sfondare. L’amico si offre di trovargli la strada ma Marcello rifiuta. Una sera
giunge a Roma per impegni il padre di Marcello il quale gli domanda di poter
visitare il locale Cha Cha Cha dove si può ammirare il cabaret. Qui
incontrano la ballerina francese Fanny, amica di Marcello, e dopo aver
consumato diversi alcolici decidono di fare una spaghettata a casa della donna.
L’anziano padre avverte un malessere ma decide ugualmente di partire all’alba
per fare ritorno a casa, a Cesena. Alcune sere più tardi, durante il solito
passeggio fra i locali mondani, Marcello riesce ad intrufolarsi in un gruppo
che lo porta ad una festa di ricconi annoiati e monarchici alcolizzati. Qui
incontra di nuovo Maddalena la quale gli confessa che vorrebbe essere spostata
da lui ma a fine serata, Marcello si ritrova a dare la caccia ai fantasmi in
una villa del ‘500 ed infine ad avere un rapporto con una contessa. Emma
intanto, continua a rinfacciargli che lui non l’ama come vorrebbe e Marcello,
che non vuole corrispondere in egual misura, l’abbandona sul ciglio della
strada. All’alba la passa a riprendere lì dove l’aveva lasciata e tornano a
casa insieme. Al mattino è svegliato da una telefonata che gli annuncia il
suicidio dell’amico Steiner, che ha anche ucciso i suoi due figli. Marcello si
offre, quella mattina stessa, di andare incontro alla moglie, ancora ignara di
tutto. Trascorre del tempo, Marcello ha interrotto la sua relazione con Emma ed
è diventato un agente pubblicitario che scrive buone recensioni sugli attori in
base a quanto questi sono disposti a pagare. Ad una festa, per noia, una
ragazza inscena uno spogliarello ma visto che la situazione non si scalda,
tocca a Marcello proporre una serie di accoppiamenti per ravvivare la serata.
All’alba, sulla spiaggia, tutti gli ospiti assistono alla pesca di una grossa
manta rimasta impigliata nelle reti. Marcello, assordato dalle onde, non
recepisce il richiamo di una giovane ragazza dalla quale è rimasto colpito un
giorno, una cameriera di una trattoria sul mare.
Autentico capolavoro del maestro.
Cinico, spregiudicato, tagliente, grottesco, comico, irriverente, La dolce
vita è un successo mondiale per semplicità, estetica e coraggio, ma
soprattutto per l’assoluta profondità che con una leggerezza surreale Fellini
riesce a raggiungere. Il soggetto, ancora una volta, è dello stesso regista,
fortemente personale nel suo sguardo disincantato sul processo di mondanità che
stava investendo la capitale laziale negli anni cha cavalcano il boom, e
sul quale intervengono come al solito le brillanti collaborazioni, come nella
sceneggiatura, di Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Intelligente, la costruzione
si basa su diversi piani, tra immagini che appaiono reali, altre che sono
effetto di una montatura giornalistica e che si trasformano in cinegiornali,
contaminando la pellicola di tracce di falsità (la doppia uscita della diva
dall’aereo; i paparazzi che costruiscono lo scandalo; il cinegiornale che
racconta la vita attraverso il commento dell’immagine). Quella che Fellini
racconta è l’altra immagine del cinema, del benessere, il lato mediocre di una
vita che si adagia sugli allori aristocratici e borghesi, sempre immeritevoli
secondo il maestro, è che costringono l’uomo alla noia, alla costruzione delle
notizie e degli eventi tramite l’immagine di un giornalismo falso, fatto di
parassitivismo e accomodanza, di nevrosi e gioie momentanee, di infelici sogni
irrealizzabili e mancanze. Non mancano invece, in questa triste commedia,
gli spunti della vis comica del regista, sottili come la posizione dei dettagli
(il medico che si allaccia la scarpa sul lavandino è in secondo piano), sempre
pertinenti. Il personaggio di Marcello è quello di un uomo che ha accettato,
malinconicamente, questa strada, forse convinto che sia l’unica, ma consapevole
del fatto che non è quella giusta. Il suo sforzo per un cambiamento sia
personale che collettivo è minimo (quando decide di impegnarsi nella scrittura
si lascia distrarre dalla giovane cameriere bionda) e dopo la morte dell’amico
Steiner, si fa ancora più cinico, irreparabile (non riesce più a sentire il
richiamo della cameriera). In confronto a quello che non sembra essere un
lavoro, il reporter scandalistico, tutto il resto appare comunque un’illusione,
tanto che tra monarchici ed attori, come dice il terzogenito del casato
presentandolo alla nonna che finge di dormire per non parlare con gli ospiti,
Marcello appare come l’unico che lavora seriamente. Oltre i personaggi, Roma,
una capitale che per un attimo, nelle panoramiche dall’alto delle sequenze
iniziali, si mostra come un immenso cantiere, e che man mano si chiude in
strade svuotate dai suoi abitanti, in lussuose ville per ricchi alcolizzati, in
locali notturni, in lunghe rincorse di paparazzi. È la Roma dei castelli
privati, del clubs alla moda, e per pochi istanti anche quella dei romani e
delle loro illusioni (la scena dell’apparizione della Madonna smorza ogni
illusione con la morte di un anziano portato lì per ricevere il miracolo). Solo
l’attento sguardo provinciale e modesto del maestro riminense poteva descrivere
una capitale in questi termini, raccontando ogni suo luogo attraverso lunghe
partecipazioni dei personaggi alla scena, senza sovrapporre situazioni in un
montaggio frenetico di avvenimenti ed eventi, in modo che ogni scena è
soprattutto una pausa che affonda nell’immagine corale che pian paino si tesse.
Assolutamente divino il suo passaggio nella storia del cinema, La dolce vita
diventa subito una pietra miliare della settima arte; si parlò di affresco,
allora, e come tale fu accolto in tutto il mondo (Di Giammatteo – Dizionario
del cinema italiano). Non mancano i riferimenti al circo, grande passione
di Fellini (musiche ed attori del cabaret vestiti da leoni o da tristi
pagliacci). Musiche di Nino Rota, consolidano una collaborazione iniziata già
nel 1952 con Lo sceicco bianco. Osteggiato dalla Chiesa (Gesù
trasportato da un elicottero; la scena dell’apparizione rappresentata come una
grande buffonata mediatica e che si conclude con lo zio delle bambine che
durante il temporale porta a casa i fanciulli gridando “Ha detto la Madonna
che se qui ci non costruite una chiesa non smetterà di piovere!” mentre
tutti si lanciano a distruggere l’ultimo alberello presente sul terreno) la
pellicola raggiunse comunque i più alti riconoscimenti di pubblico e critica
mondiale, nonostante i fischi alla prima milanese e gli articoli di Oscar
Luigi Scalfaro su L’osservatore romano, i cui titoli furono “Basta!” e “Sconcia
vita” (il Mereghetti – Dizionario dei film 2000). Palma d'oro a Cannes e
Oscar ai costumi di Piero Ghepardi, e che hanno fatto scuola in tutto il mondo
del made in italy durante quegli anni. Tre Nastri d'argento nel 1961 al
soggetto originale, a Marcello Mastroianni e Piero Gherardi per la scenografia.
Adriano Celentano interpreta se stesso, è il cantante di rock n’ roll. Il film lanciò,
anche a livello internazionale, il termine “paparazzo” (Morandini 2003 –
Dizionario dei film).
Bucci Mario
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