Fog. John
Carpenter. 1980. U.S.A.
Attori: Adrienne
Barbeau, Jamie Lee Curtis, Janet Leigh, Hal Holbrook, Tom Atkins, Nancy Loomis
Durata:
91’
Titolo originale: John
Carpenter's The fog
Antonio Bay. USA. 21 aprile 1977. A cent’anni dalla
nascita di questa cittadina, nel giorno del suo festeggiamento, un vascello
spagnolo compare sulla costa avvolto da una fitta nebbia. I primi ad
individuarlo sono tre pescatori imbracati sul loro peschereccio e che muoiono
dopo essere stati misteriosamente abbordati. La stessa notte padre Malone,
parroco della comunità, ritrova un diario scritto da suo nonno, anch’egli
prete, e che racconta di un tremendo episodio avvenuto cento anni prima. Una
nave di lebbrosi aveva chiesto aiuto alla nascente comunità di Antonio Bay per
raggiungere la riva e costituire un’altra comunità, ad un miglio di distanza
dalla loro, ma un gruppo scelto di uomini aveva deciso di rifiutare quell’aiuto
e dopo averli dirottati sugli scogli ed aver fatto affondare l’imbarcazione,
aveva anche sottratto l’oro che quella nave trasportava con se. Il vascello è
ricomparso per compiere vendetta, esattamente cento anni dopo. Sarà proprio
padre Malone, riconsegnando l’oro che era stato sottratto ai lebbrosi, ad
evitare che la violenza della nebbia possa uccidere tutta la comunità di
Antonio Bay. La sua redenzione sarà comunque inutile, anch’egli morirà come
previsto dalla leggenda.
Per valutare se questo è o meno un film di Carpenter non è
importante guardare i titoli di testa, dove il suo nome compare sin dal titolo
del film, ma basta scorgere la prima sequenza: carrello verso sinistra con un
orologio da taschino mantenuto sospeso dalla catenella, in primo piano sulla
destra dello schermo. Un anziano marinaio lo blocca di colpo e poi racconta “Sono
le undici e cinquantacinque, fra poco sarà mezzanotte…c’è ancora tempo per
un’altra storia”. Una breve carrellata sul mucchio di ragazzini e poi
ancora il primo piano del narratore, un leggero movimento della macchina da
presa che trasforma le parole del marinaio in panoramica della spiaggia, la
storia che incomincia. Il marinaio
(quale miglior personaggio per raccontare una storia? per dirla come Conrad
forse) è Carpenter che decide di favoleggiare attraverso la voce di chi ha
qualcosa da raccontare e che sa come farlo. Da subito quindi si comprende che
sarà un horror di parole, rimandi, simboli. Ancora una volta il regista
sceglie, infatti, di cancellare il volto dell’orrore così come aveva preferito
fare in Halloween: la notte delle streghe (1978), sostituendo la maschera
dell’assassino con una fitta nebbia, la mostruosità di un fatto: l’omicidio, il
rifiuto della diversità ed il furto di una comunità che segna così il proprio
destino. Il largo uso delle panoramiche punta a dare respiro ad un’immagine che
presto sarà soffocata dalla coltre. Antonio Bay, una cittadina che potrebbe non
esistere ma che invece è già dalle prime inquadrature simbolo di un paese più
grande: supermarket, telefoni pubblici, officine, elettrodomestici, sono
elementi che hanno un ruolo descrittivo importantissimo nella costruzione del sottinteso.
Contribuisce sotto questo profilo la scelta degli effetti sonori: il suono di
un’onda che si rifrange è quello delle aggressioni degli zombie, il volume
sostenuto del vento che spira sulla torre di radio KAB ha la stessa presenza
dei lebbrosi resuscitati dalla storia. La nebbia, l’elemento fantastico che
travolge ogni macchinosità della sceneggiatura, che nasconde le percepibili
mancanze nella definizione dei personaggi, è sostanza che rimane distante dall’autore:
la scelta di non entrarvi con la macchina da presa, di non fenderla ma di
lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale
o con intervento laterale) è forse l’unico, forse anche irrilevante,
difetto di posizione del regista. Horror comunque più che riuscito, proprio per
il suo carattere atipico e fortemente religioso. Per quanto riguarda la scelta
degli attori, il regista si è affidato ancora una volta alla giovane Jamie Lee
Curtis, dopo il buon esordio con Halloween, affiancata (mai nella stessa
inquadratura) dalla madre Janet Leigh (una storia di cinema più che il cinema
stesso). Molto bella la fotografia di Dean Cundey, raffinata nella composizione
e tetra e funzionale nella realizzazione (esaltati gli elementi oscuri affinché
la nebbia potesse mostrarsi facilmente illuminabile\luminosa).
Coerente con tutta la pellicola il linguaggio
cinematografico adottato per il finale, la maledizione che si compie e che
decapita la forza della redenzione: padre Malone è giustiziato ugualmente, ma
senza che nemmeno quest’ultima scena sia vista per quanto è nelle possibilità
dell’immagine, ma solo ipotizzata da uno spettatore coinvolto dai fatti.
Bucci Mario
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