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Fog - John Carpenter's The fog
Anno: 1980
Regista: John Carpenter;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-12-2003


La grande guerra

Fog.  John Carpenter. 1980. U.S.A.

Attori: Adrienne Barbeau, Jamie Lee Curtis, Janet Leigh, Hal Holbrook, Tom Atkins, Nancy Loomis

Durata: 91’

Titolo originale: John Carpenter's The fog

 

 

Antonio Bay. USA. 21 aprile 1977. A cent’anni dalla nascita di questa cittadina, nel giorno del suo festeggiamento, un vascello spagnolo compare sulla costa avvolto da una fitta nebbia. I primi ad individuarlo sono tre pescatori imbracati sul loro peschereccio e che muoiono dopo essere stati misteriosamente abbordati. La stessa notte padre Malone, parroco della comunità, ritrova un diario scritto da suo nonno, anch’egli prete, e che racconta di un tremendo episodio avvenuto cento anni prima. Una nave di lebbrosi aveva chiesto aiuto alla nascente comunità di Antonio Bay per raggiungere la riva e costituire un’altra comunità, ad un miglio di distanza dalla loro, ma un gruppo scelto di uomini aveva deciso di rifiutare quell’aiuto e dopo averli dirottati sugli scogli ed aver fatto affondare l’imbarcazione, aveva anche sottratto l’oro che quella nave trasportava con se. Il vascello è ricomparso per compiere vendetta, esattamente cento anni dopo. Sarà proprio padre Malone, riconsegnando l’oro che era stato sottratto ai lebbrosi, ad evitare che la violenza della nebbia possa uccidere tutta la comunità di Antonio Bay. La sua redenzione sarà comunque inutile, anch’egli morirà come previsto dalla leggenda.

Per valutare se questo è o meno un film di Carpenter non è importante guardare i titoli di testa, dove il suo nome compare sin dal titolo del film, ma basta scorgere la prima sequenza: carrello verso sinistra con un orologio da taschino mantenuto sospeso dalla catenella, in primo piano sulla destra dello schermo. Un anziano marinaio lo blocca di colpo e poi racconta “Sono le undici e cinquantacinque, fra poco sarà mezzanotte…c’è ancora tempo per un’altra storia”. Una breve carrellata sul mucchio di ragazzini e poi ancora il primo piano del narratore, un leggero movimento della macchina da presa che trasforma le parole del marinaio in panoramica della spiaggia, la storia che incomincia.  Il marinaio (quale miglior personaggio per raccontare una storia? per dirla come Conrad forse) è Carpenter che decide di favoleggiare attraverso la voce di chi ha qualcosa da raccontare e che sa come farlo. Da subito quindi si comprende che sarà un horror di parole, rimandi, simboli. Ancora una volta il regista sceglie, infatti, di cancellare il volto dell’orrore così come aveva preferito fare in Halloween: la notte delle streghe (1978), sostituendo la maschera dell’assassino con una fitta nebbia, la mostruosità di un fatto: l’omicidio, il rifiuto della diversità ed il furto di una comunità che segna così il proprio destino. Il largo uso delle panoramiche punta a dare respiro ad un’immagine che presto sarà soffocata dalla coltre. Antonio Bay, una cittadina che potrebbe non esistere ma che invece è già dalle prime inquadrature simbolo di un paese più grande: supermarket, telefoni pubblici, officine, elettrodomestici, sono elementi che hanno un ruolo descrittivo importantissimo nella costruzione del sottinteso. Contribuisce sotto questo profilo la scelta degli effetti sonori: il suono di un’onda che si rifrange è quello delle aggressioni degli zombie, il volume sostenuto del vento che spira sulla torre di radio KAB ha la stessa presenza dei lebbrosi resuscitati dalla storia. La nebbia, l’elemento fantastico che travolge ogni macchinosità della sceneggiatura, che nasconde le percepibili mancanze nella definizione dei personaggi, è sostanza che rimane distante dall’autore: la scelta di non entrarvi con la macchina da presa, di non fenderla ma di lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale o con intervento laterale) è forse l’unico, forse anche irrilevante, difetto di posizione del regista. Horror comunque più che riuscito, proprio per il suo carattere atipico e fortemente religioso. Per quanto riguarda la scelta degli attori, il regista si è affidato ancora una volta alla giovane Jamie Lee Curtis, dopo il buon esordio con Halloween, affiancata (mai nella stessa inquadratura) dalla madre Janet Leigh (una storia di cinema più che il cinema stesso). Molto bella la fotografia di Dean Cundey, raffinata nella composizione e tetra e funzionale nella realizzazione (esaltati gli elementi oscuri affinché la nebbia potesse mostrarsi facilmente illuminabile\luminosa).

Coerente con tutta la pellicola il linguaggio cinematografico adottato per il finale, la maledizione che si compie e che decapita la forza della redenzione: padre Malone è giustiziato ugualmente, ma senza che nemmeno quest’ultima scena sia vista per quanto è nelle possibilità dell’immagine, ma solo ipotizzata da uno spettatore coinvolto dai fatti.

                                                                                                                     

Bucci Mario

            [email protected]