NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Crude
Anno: 2003
Regista: Paxton Winters;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Turchia; Usa;
Data inserimento nel database: 21-11-2003


Crude - Paxton Winters - Recensione - NearDark - Critica e recensioni

Joao Cesar Monteiro

Crude

Winters azzarda involontariamente una spiegazione del travaglio in cui si trova in questo momento la Turchia, inscenando una dimostrazione di come, da qualunque punto di vista si pongano, gli staunitensi non sono in grado di darsi una spiegazione dell'esistenza di culture diverse da McDonald






 



 -

 


Proponiamo con una certa sollecitudine una recensione di un film passato nella rassegna torinese perché ci sembra significativo alla luce degli attentati di ieri a Istanbul, che assimilano negli obiettivi la Turchia occidentalizzata e i britannici - da sempre assalitori e imperialisti nell'immaginario del mondo - restituendo proprio il dualismo rappresentato nel film, che mostra - ribaltato - esattamente quel passaggio in corso da una cultura autonoma a una subordinata e la sua percezione da parte di occhi occidentali, "indottrinati" con metodi diversi da quelli khmer (ma con gli stessi risultati), ma con la stessa ottusità, che permette di recepire il mondo solo sforzandosi di sottrarre il condizionamento subito e quindi impedisce, anche se convinti della operazione mistificatrice dei media, di risultare convincenti nella descrizione del processo di trasformazione di una società conosciuta bene senza essersi liberati degli stereotipi da cui è ammantata a causa della sufficienza adottata dallo sguardo occidentale.

Crude è un film con tutti i presuposti per essere apprezzato: una coppia di amici sedicenti filmaker, in realtà bassa manovalanza della produzione cinematografica, scorrazzano per la Turchia alla ricerca di leader islamici da intervistare; meglio se terroristi. Lo scopo è profondamente inserito nel sistema occidentale, diventare famosi.
L'impostazione è tale che risulta subito evidente l'intento - meritevole - di stigmatizzare i falsi pregiudizi, i preconcetti, le credenze insuffalte dai media; si evidenzia, anche troppo smaccatamente, la predisposizione occidentale a costruire mondi esotici che non corrispondono (o non corrispondono più) alla realtà, fatti di stereotipi facilmente etichettabili dal potere per riuscire a perpetuarsi.
Dunque l'intento appare molto encomiabile: un passo avanti rispetto ai loro connazionali che si esprimono con la barbarie di Guantanamo (o, come la madre del protagonista, alter ego del regista evidentemente, aborrono addirittura viaggi in luoghi "rischiosi", che tali non erano prima che l'esercito americano infiammasse il Medio Oriente). Insomma dimostrano quanto sia vero che non tutti gli americani sono allineati con il Pentagono e George W(ar) Bush; non tutti gli americani hanno voluto dichiarare guerra a un'altra cultura per poi piangere sui resti delle ovvie conseguenze delle reazioni degli aggrediti. Anzi, i due ragazzi si avvalgono di un coetaneo autoctono che parla benissimo la lingua, consente l'invenzione di gag, grazie alla sua provenienza anatolica e ai retaggi familiari, che getterebbero una luce più composita sulla vicenda, se non finissero con l'essere raccontati in modo alineato con i pregiudizi occidentali. Il giovane turco è disincantato e ricopre il ruolo di guida, assecondando il bisogno di liberarsi del bagaglio di suggestioni di cui i due americani sentono il bisogno di liberarsi, perché si accorgono che il mondo sotto i loro occhi non corrisponde a quello proiettato dalla loro mentalità: dunque si accennano battute al vetriolo con bersaglio l'ignoranza dei due ragazzi ("un paese musulmano, laico non integralista islamico", "cercate qui terroristi da intervistare, perché in America rifiutano le interviste?"), metafora di quella in generale occidentale sul paese ponte con l'Oriente. Li porta in zone bellissime, popolate da ragazze splendide dotate di cellulare e che sanno perfettamente la lingua inglese; hanno molti contatti con autoctoni - e con il loro cibo. Purtroppo, e non solo per loro, ma anche per gli effetti scontati che questo produce sui loro organismi e quindi sulle scatologiche soluzioni di sceneggiatura - ma nessuna relazione con... terroristi.

Allora decidono di avvalersi dei parenti del loro amico, improbabili banditi. Decisi allo scoop mettono in scena un rapimento di loro stessi in qualità di americani "in zona di guerra", adeguandosi ai canoni sussunti in patria, secondo i quali non possono avvenire eventi diversi.
Vero è che si fanno latori di un modo di registrare la realtà - che poi è quello che consente a W(ar) Bush di prenotarsi nella storia un posto tra i più sanguinari assassini di tutti i tempi - che vogliono esporre al pubblico ludibrio, è vero che infilano di seguito smaccatamente e con intenzione encomiabile tutti gli stereotipi più superficiali... però poi stanno fermi lì, alla superficie e dopo aver scardinato il sistema di rappresentazione di regime, non lo sostituiscono con la descrizione semiseria dell'esistente. Questo fa sì che il lavoro appaia preparato a tavolino, anche se il regista si dice affascinato, ammaliato da quella cultura che ha frequentato negli ultimi anni, eppure rimane l'impresione che, anche dall'altra parte rispetto a quella ottusa e guerrafondaia, gli americani siano affetti dalla sindrome di spiegare il mondo al resto del mondo secondo parametri sempre ugualie inadatti all'applicazione.
E così diventa pedante e scontato, qualche volta ripetitivo e poco divertente, nonostante la verve comica e il registro scanzonato scelto, perché si intravede sempre l'occidentale che vuole portare la sua "democratica" visione della cultura altrui, sì impegnandosi a spezzare la propria suppponenza, segliendo il modo e la situazione, in fondo prendendo consapevolmente in giro se stessi, non rinunciando però a illustrare gli altri secondo la propria visione e ponendo comunque sempre se stessi al centro, addirittura i propri modi di leggere gli altri, finendo poi per schernirli involontariamente (e quel che è peggio senza rendersene conto) proprio nel momento in cui finalmente si nega legittimazione al pregiudizio e non gli sostituisce nulla.