Un film dallincedere classico quello che ha ricevuto il Leone
dOro alla Mostra del Cinema di Venezia 2003, Il ritorno di Andrey
Zvyagintsev, curiosamente premiato quarantanni dopo Linfanzia
di Ivan di Andrey Tarkovsky, che ottenne
anchesso lambito riconoscimento italiano e che sicuramente ha fatto scuola,
non solo per lomonimia con uno dei protagonisti, ma soprattutto per la maniera
poetica (meglio conosciuta col termine "elegia russa", il cui côté
intellettuale trova riscontro nelle opere di Aleksandr Sokurov) di sviluppare un racconto
per immagini con tempi analoghi di scorrimento e comune passione per lacqua e
lumidità, che ha sicuramente influenzato lesordiente regista di Novosibirsk,
classe 1964, residente a Mosca, laureato presso la Scuola Statale di Teatro, che vanta una
lunga carriera attoriale, oltre alla produzione di una serie televisiva, andata in onda
con il titolo di Black Room. Il ritorno è il suo primo lungometraggio
cinematografico e al contempo loccasione per riaffermare la vitalità del cinema
russo a livello internazionale, con la speranza di ottenere finalmente un sorriso anche da
parte di Putin.
Lambita statuetta in realtà è stata dedicata a Vladimir Garin, che nel film recita
la parte del fratello maggiore, Andrey (come il nome del regista e di Tarkovsky), che un
anno dopo le riprese è mancato a causa di un incidente in barca: la consapevolezza di
questa tragedia reale, al termine della proiezione, finisce con lammantare
lopera di unulteriore aura misterica, proseguendo idealmente lepilogo
per inseguire altre ricerche subacquee, affidate stavolta, non tanto agli eventi
rappresentati, bensì alle inferenze dello spettatore.
Se Andrey e Ivan sono da diverse generazioni i nomi più diffusi in Russia, non
altrettanto lo è la loro storia filmica, che assume la valenza di un romanzo di
formazione per la maniera letteraria, sbilanciata sul versante poetico in virtù della
bellezza aspra dei laghi e delle foreste del nord (paesaggi decisamente pittoreschi), di
trattare la crescita, il coraggio maschile e il conseguente affrancamento dalla figura
genitoriale paterna, consumata in maniera edipica, per rivendicare lingresso
nelletà adulta, attraverso un viaggio iniziatico.
Stavo mettendo in moto la consueta ricerca di simbolismi e metafore varie per corroborare
questa mia suggestione, quando sono incappata in alcune dichiarazioni del regista, che, se
da un lato possono aver frenato la mia voglia di documentare lassunto esposto,
dallaltro hanno finito per stuzzicarla ulteriormente, assecondando il gioco proposto
dal regista allo spettatore.
"Non parliamo di simboli, non sono un elemento utile per
il cinema. Il cinema è una materia da plasmare, è come laria. I simboli sono
qualcosa di estraneo al cinema, rompono quella materia, distruggono la poesia che è parte
del cinema. Tocca allo spettatore interpretare ciò che vede, non al regista. Lascio
ciascuno solo, libero di vedere quel che vuole. Non ci sono simboli, né metafore. Due
ragazzini vanno su unisola con il padre: non è una metafora, è una storia che
appartiene alla vita.
Con scenografo e costumista abbiamo faticato molto per fare in modo che neppure il
pubblico russo possa capire se siamo negli anni Trenta o Duemila. Qualcuno mi ha detto che
il padre potrebbe rappresentare la vecchia Russia e i due figli la Russia di oggi. Io dico
forse, è una lettura possibile.
Non vorrei proprio pensare al mio film in termini psicanalitici. Se ci sono, non mi
interessano. Mi sento più vicino alla dimensione religiosa delluomo. Nel senso che
sono più attento a quanto cè sopra la cintura delluomo, piuttosto che a
quello che sta sotto" (intervista a cura di Aldo
Lastella, La Repubblica, 3 settembre 2003).
E ancora: "Non si dovrebbe parlare in maniera forte e
chiara di significati importanti e sacri perché non appena cominciamo a blaterare, tutto
ciò che cè di magico e sacro svanisce immediatamente. Non bisognerebbe parlarne,
ma suggerire cosa è veramente importante. Questo è quello che ho cercato di fare nel mio
film.
Cosa cè nella scatola che rappresenta la meta del viaggio di padre e figlio? È un
segreto. Infatti non ha nessuna importanza. Contiene qualche mistero che svanisce insieme
al padre misterioso" (intervista a cura di Alerei
Karakhan, Kommersant).
Fingendo di aderire alle intenzioni dellautore, mi sono limitata, pugni in tasca, a
restar fedele alla sua idea filmica di realismo quotidiano tradotto in storia; al
contempo, nelle vesti di spettatrice di turno, in via del tutto emozionale e per vizio
cinefiliaco, mi sono concessa il lusso di inseguire la fitta ragnatela di rimandi e
citazioni, esplicite o semplicente evocate, che rimarcano la sua maniera di trattare le
immagini. Ad ogni buon conto non ho potuto infine schierarmi dalla sua parte, quando
rivendica la bellezza di immergersi, ciascuno perso nella propria visione, in questa
storia, che se non vuol essere metaforica o simbolica, né tantomeno alludere a facili
risvolti psicanalitici, è di certo narrazione filmica allo stato puro, grazie al ritmo
conferito al montaggio e in virtù della sapiente alternanza tra inquadrature strette in
primi piani, che nulla concedono al campo e al controcampo, perché ognuna di esse
racchiude al proprio interno le luci e le ombre che contraddistinguono i personaggi, di
volta in volta messi a fuoco e sfocati (Zvyagintsev è un mago nel diaframmare), per
svelarne, a seconda dei casi o delle esigenze diegetiche, gli aspetti limpidi e genuini,
oppure i lati oscuri e misteriosi.
Inizio con loccuparmi dei fatti.
Lintreccio adopera pochi personaggi, che finiscono per ridursi, dopo qualche
sequenza, a tre soltanto: un padre, che riappare in famiglia dopo dodici anni, di cui non
verrà mai svelato il nome, come daltronde quello della madre (Non sarà perché
sono stereotipi e summa di quello che era lautorità genitoriale russa? Ma il
regista scuote il capo in segno di diniego), e due figli, Ivan e Andrey, sui 12 e 14 anni.
Altra presenza forte che accompagnerà le loro azioni e ne seguirà il destino (filmico e
non solo) è data dallacqua, protagonista della prima inquadratura, ripresa
dallalto con colori cangianti dal blu intenso al nero, quasi ad anticipare il suo
ruolo di custode della segretezza ricercata nel corso del film; si lascia penetrare dalla
macchina da presa per mostrare unaltra faccia di sè, in bianco e nero per rimarcare
il trascorrere del tempo o lindeterminatezza epocale di quanto verrà narrato e che
riposa già nel suo ventre, il cui fondale mostra unimbarcazione simile ad un
relitto incrostato (sembra di muoversi in una scena tratta dallo Stalker di
Tarkovsky, ma il riferimento alle carcasse è di certo casuale!); si concede infine una
lunga soggettiva per mostrare dal basso verso lalto unerta scala a pioli di un
trampolino, dove alcuni ragazzini gareggiano per tuffarsi e dare così una prova del
proprio coraggio.
È domenica (annuncia una didascalia).
Loro non sono "caproni e cacasotto", ma degni compagni di gioco dei
ragazzini che si sfidano nelle corse su per la collina in mezzo al grano di Acque Traverse
del film Io non ho paura di Gabriele
Salvatores. Laggiù è vietato fermarsi e chi arriva ultimo paga penitenza, quassù si
deve essere capaci di lanciarsi nel vuoto e di planare in acqua senza battere le ascelle.
Ivan, il piccoletto, non ce la fa. Soffre di vertigini, il suo spaesamento costringe
persino la macchina da presa a spostare il suo punto di vista, dalla superficie
dellacqua risale lungo limpalcatura fino a schiacciare limpossibilità
del suo tuffo in una ripresa dallalto verso il basso, che lo mostra ancor più
piccolo e al contempo evidenzia la distanza da colmare, rendendo rischiosa limpresa.
Ivan non batte le ascelle, bensì i denti per il freddo: umiliato dalla sua stessa paura,
prova vergogna e preferisce non scendere dal trampolino; gli amici e il fratello
labbandonano nella sua precaria "conigliera", mentre loscurità
ingigantisce ancor più la vastità del lago che lo circonda. Per fortuna ecco giungere la
madre, salvifica (... la Grande Madre Russa, beatificata in tutta la storia della
letteratura e del cinema sovietico, ma non scomodiamo i manuali e lasciamo Maxim Gorkij e
Vsevolod I. Pudovkin riposare in pace!): sale la scala a pioli, aiuta il figlio a
rivestirsi, lo rassicura, giurando che manterrà il segreto di essere lunica a
sapere che non si è tuffato, in realtà sarà pronta a tradirlo, perché gli amici e il
fratello, il giorno dopo, lo prenderanno in giro, considerandolo un fifone.
Mi annoto la battuta che il figlio rivolge alla genitrice: "Se non arrivavi, sarei
morto...", solo più avanti mi renderò conto della sua importanza se messa a
confronto con quella riferita al padre: "Se mi mette le mani addosso, lo ammazzo",
ma non perdiamoci in psicologismi daccatto.
Veniamo al dunque: è lunedì. I ragazzi giocano a pallone in una struttura edilizia
fatiscente, come daltra parte il resto delle abitazioni che si vedranno nel film
(tranne rare eccezioni di cui avrò modo di parlare): uno scheletro di casa che possiede
le colonne portanti, ma non i muri perimetrali, il pavimento è umido e colmo di
pozzanghere, intanto i titoli di testa finiscono di scorrere, accompagnando la lunga
rincorsa dei due fratelli, che cercano di raggiungersi per fare a botte.
Arrivano sul portico della propria
abitazione, dove la madre li sta aspettando, consumando lattesa insieme allo svanire
del fumo di una sigaretta: "Vostro padre è tornato". La carica
letteraria insita in questa battuta ben restituisce la cifra stilistica del film e al
contempo la colonna visiva trova modo di coniugarsi con quella verbale: il poema prende
forma, anche se inizia a mostrare i suoi lati drammatici. Prima non cera quel
genitore, dora in avanti niente sarà più come prima!
Da questo momento in poi le domande dei ragazzini e di conseguenza dello spettatore
diventeranno sempre più frequenti: "Se lo sconosciuto è davvero papà, dove è
stato in tutti questi anni? Perché si fa accompagnare da noi in questa lunga e
conflittuale trasferta in macchina col pretesto di portarci a pesca? A chi telefona nelle
soste del lungo viaggio? Cosa cè nella cassetta che scava di nascosto
allinterno di una baracca in questisola disabitata?". Il regista ha
avvertito che non darà risposte, perché ognuno dovrà imparare a trovarsi le proprie o
perlomeno a divertirsi nel far nascere innumerevoli interrogativi, proprio alla stregua di
un romanzo di formazione, che molto racconta, ma in realtà cela i significati reconditi,
lasciando proliferare il libero gioco delle interpretazioni. Da questa scena in poi si
innesca il medesimo meccanismo.
I ragazzi entrano in casa, dove ad attenderli cè un focolare che arde in versione
moderna (anche se la brace si comporta sempre alla vecchia maniera) e una donna anziana
(forse una nonna, ma non verrà svelato ruolo e nome, per restare fedele al copione che
prevede lanonimato per le figure adulte), intenta a giocherellare con le dita lungo
un tavolo curiosamente sgombro di oggetti: sta ascoltando una musica sinfonica proveniente
da chissà quale apparecchiatura, collocata in un imprecisato spazio sonoro. Il padre sta
riposando e i ragazzi si precipitano a varcare la soglia della sua stanza, per
sorprenderlo disteso e dormiente in una posa degna del Cristo morto ritratto da
Mantegna. Immediatamente scatta nei figli il desiderio di verificarne lautenticità,
per cercare una verosimiglianza che solo una prova fotografica ha il diritto di
restituire. Possiedono ununica fotografia di quel padre, scattata circa dodici anni
prima, che lo immortala felice insieme a loro, bambini. La scovano in soffitta, in mezzo
alla polvere e al tubare dei colombi: si è conservata integra tra le pagine di un vecchio
libro illustrato con stampe ancora più antiche. Sarà proprio lui? Potrebbe esserlo o
almeno così sembra tacitare lintima intesa che si crea tra i fratelli. Facciamo
finta lo sia o potrebbe esserlo, altrimenti il film subirebbe uno stallo narrativo,
deleterio o spaesante rispetto al prosieguo della storia. Di certo è un individuo in
carne e ossa e dalla psicologia alquanto complessa: non unicona astratta, seppur
dipinta frontalmente e con unilluminazione adatta ad un dipinto rinascimentale.
Il padre si alza e raggiunge la sala da
pranzo per officiare una cena rituale dai risvolti eucaristici (forse per proseguire
idealmente il parallelismo al riferimento pittorico appena citato), che esibisce la
sacralità dellevento grazie alla posizione assunta dalla macchina da presa:
dapprima inquadra il padre intento a riempire i bicchieri di vino, poi trascorre a
comprendere il gioco di sguardi che si concedono, a turno, gli altri commensali, per
offrire un punto di vista esterno, quasi straniato, nel momento del congedo: un occhio
esterno li testimonia compresenti in quel set fittizio attraverso la creazione di una sola
inquadratura che ha il pregio di accomunarli nel medesimo teatrino. Lo spettatore intuisce
che si sta trattando di unultima cena: le carte del gioco attoriale sono unite in un
solo mazzo tenuto in mano dal padre, a cui viene proprio affidato il compito di separarlo
per dare il via alla partita. Tocca a lui... perché è finalmente rientrato in famiglia,
perché è il maschio adulto di casa, perché ha i muscoli ("Forse è un pilota in
vacanza", osano sognare i figli), perchè è il padre reale, immaginario o
soltanto "prodigo".
Nel frattempo il giorno trascorre per
lasciar spazio ad un martedì dedicato alla gita automobilistica fino al lago, in cui
poter pescare o affondare le proprie velleità di potenza: quelle del genitore che fa
irruzione nella vita ormai adolescente dei propri figli, sconvolgendola alla stregua di un
pericoloso e inaspettato mulinello dacqua, quelle dei ragazzi che hanno bisogno del
passaggio e della perdita "reale e fisica" del padre (corpo che si inabissa sul
fondale lacustre e al contempo materia simbolica con la quale operare le proprie
operazioni di lutto: ma non fatelo sapere al regista), per crescere e imparare a farcela
da soli. La ricerca di una nuova identità da parte dei figli spaccia indubbiamente
unindividualità forte, ma per fortuna giunge finalmente a sancire il venir meno del
culto della personalità, rompendo un costume assai diffuso allinterno della
società russa.
Il piccoletto Ivan non mangia la foglia,
diventa guardingo e sospettoso, sfoderando una teoria di sguardi imbronciati e di
atteggiamenti ribelli, che crescono con il progressivo intrufolarsi del genitore nella sua
vita, mentre il fratello maggiore, Andrey, si trasforma vieppiù in cucciolo obbediente e
fedele; intanto una pioggia fastidiosa si abbatte sui gitanti e li accompagna, a mo
di viatico, lungo il tragitto verso unisola misteriosa. I due diversi atteggiamenti
dei fratelli sono sottolineati anche dallutilizzo di due differenti strumenti di
osservazione e documentazione della realtà esterna: il maggiore adopera una macchina
fotografica per trattenere alcuni istant-movie di quel viaggio iniziatico, che verranno
riproposti nel finale sotto forma di diapositive in bianco e nero (istantanee che
rievocano la gita vissuta senza dedicare nemmeno una posa al padre: non essendoci
stavolta - testimonianze fotografiche della sua presenza, potrebbe non esistere affatto o
esser stato deliberatamente tenuto "fuori quadro" per occultarne la fine
allesterno e quindi anche a noi; anche se lultima fotografia, custodita
nellabitacolo dellautomobile, riferita al passato, indica chiaramente la
rassomiglianza con lindividuo del presente); il minore preferisce guardare il mondo
con il binocolo, per vedere da vicino e, così facendo, esplorare anche gli interstizi
infinitesimali o le pieghe nascoste di ciò che lo circonda. Non gli basta infatti
congelare dettagli del vissuto, vuole entrarci dentro con spirito degno di un entomologo;
a lui interessa procurarsi delle prove, anziché fornirle ad altri da sè, che potrebbero
gettare luci nuove sul futuro: una ricerca indiziaria individualistica, che include la
complicità dello spettatore, che, nel frattempo raccoglie le stesse informazioni visive e
le utilizza per guardare, a sua volta con sospetto, ladulto impegnato in strane
manfrine, che lo spingono a inseguire una pista avventurosa riferita a un passato
sconosciuto, estraneo allattuale genitorialità, e al contempo lo inducono a voler
essere, agli occhi di chi lo scruta, semplicemente un padre burbero, autorevole,
desideroso di esser rispettato dai figli e riconosciuto come tale, a tratti persino
violento nella sua incapacità di comunicare la volontà educativa, a cui fa riferimento
la sua virilità silenziosa e inadeguata ai tempi moderni. La sua testardaggine però è
pari a quella di Ivan: entrambi si sfidano in prove continue e snervanti, di carattere
verbale, oppure affidate ad azioni di forza. Avrà il sopravvento il ragazzino: si rifiuta
di chiamarlo padre, pur assoggettandosi controvoglia, rinuncia al cibo, se gli viene
fornito quando non lo desidera, non ha problemi a chiamare con il loro nome le defezioni
subite durante linfanzia, si ritrae quando ladulto lo chiama in causa per
dimostrare che deve aver fegato. Ivan ha infatti intuito che lui e il fratello non devono
fare la medesima fine dei due pesci messi sotto celophan, ormai privi di vita, destinati a
non essere consumati da nessuno (il padre asserisce di averne mangiati troppi in
unaltra vita), eppure non si ritrae, nella giornata di mercoledì, a prestarsi a
unennesima prova di forza: intenzionato a rimanere nei pressi di un bacino
dacqua ricco di pesci, non gradisce essere costretto a lasciare il suo passatempo
(non si sa per andare dove), e si mette a fare i capricci. Il padre blocca
lautomobile e lo costringe a scendere: "Resta a pescare, visto che ci tieni
tanto!". Il ragazzino rimane per diverse ore su un ponte, sorvegliato solo dalla
sua preziosa canna da pesca, a fissare la strada percorsa da Tir che sfrecciano (è quasi
tentato di fermarne uno per chiedere un passaggio e fuggire così da quel microcosmo
imprigionante), al contempo la sua indomita fierezza lo costringe a restare immobile,
anche sotto gli scrosci dacqua del solito temporale ineludibile. Il genitore torna a
riprenderlo e ne segue un bettibecco interessante: "Sei tornato per fare che? Noi
stavamo bene con la mamma e la nonna. Cosa vuoi? Perché? Per trattarci in questo modo?".
Il padre non riesce a difendersi, al punto che non trova niente da replicare, tranne il
fatto di mettere in mezzo la moglie: "La mamma mi ha chiesto di starvi vicino e di
fare questo viaggio con voi". Una scusa molto debole, che anticipa la labilità
della sua presenza, dischiudendo la possibilità di essere messo ai margini, eliminato di
fatto o solo metaforicamente.
Il viaggio in barca verso unisola
misteriosa, lo riporta, nella giornata di giovedì, a riprendere il comando e a ricorrere
a metodi degni di un negriero: sgrida i figli e li minaccia, costringendoli a remare,
quando il motorino della barca si arresta. Il suo sguardo duro si alterna a quello
smarrito dei ragazzini, reso ancor più liquido dalla pioggia battente.
Finalmente si approda al lido desiderato, la spiaggia dellisola deserta, collocata
in mezzo ad un lago immenso e spopolato. La giornata si snoda come dovesse rispettare un
copione controfirmato da un gruppo di boy-scout, camping compreso, con il rito della tenda
da fissare per benino, per evitare che caschi giù al primo alito di brezza. Un gabbiano
morto, trovato casualmente durante la prima perlustrazione interna dellisolotto,
sembra svolgere una funzione prolettica, mentre la torre a pioli, sovrastata da un faro
che permette a Andrey e al padre di ammirare il panorama circostante, sembra gemella di
quel trampolino visto allinizio. Dunque anche dal punto di vista strutturale e
linguistico siamo di fronte alla sequenza centrale che fa da snodo tra quanto è stato
preparato finora e il momento catartico successivo.
I due giovani si limitano a scambiarsi
timide considerazioni nel privato della tenda, rischiarato dalla fievole luce di una
torcia: registreranno a turno su un diario la cronaca di quella trasferta enigmatica,
senza censurare il desiderio di liberarsi di quel padre ingombrante e manesco: "Se
ti tocca unaltra volta, lammazzo. Se mi tocca, lammazzo",
ovvero se eserciterà ancora la propria caparbia autorevolezza nei loro confronti non
esiteranno a ucciderlo, realmente e metaforicamente. Questo proposito spinge Ivan a
rubare il coltello del padre, mentre questultimo, alla ricerca di una misteriosa
cassetta, appare impegnato a scavare di nascosto una buca profonda nellunica baracca
esistente sullisola: la costruzione, in questo caso, ormai senza tetto e con un
pavimento fatiscente, conserva solo i muri esterni, a differenza di quella frequentata dai
ragazzi per giocare a pallone.
"Avrei potuto amarti, se solo fossi stato diverso, ma ti odio", perciò
quando il padre arriva a mettere le mani addosso a quel figlio scontroso, lincidente
sperato si verifica, proprio nel momento in cui Ivan supera la sua paura
dellaltezza: trafelato, dopo una lunga corsa per sfuggire al padre che lo sta
inseguendo, il piccoletto non ha altra via di scampo, che quella di imparare a salire la
scala a pioli della precaria torretta di legno. Ce la fa, pur restando abbarbicato al
faro, aderendo corpo a corpo a quella struttura. La stessa fortuna non ha il padre, che,
in un disperato tentativo di raggiungerlo, si aggrappa maldestramente a una trave,
incapace di reggerne il peso. Il corpo vola giù, ma stavolta a riceverlo, non saranno
ancora le acque del lago.
La disgrazia viene fatalmente a coincidere con il desiderio coltivato dai figli, far
sparire quel padre dal loro orizzonte, anche se sognare un evento non significa passare
necessariamente alle vie di fatto. Pur traumatizzati dal ferale epilogo, i due ragazzini
sembrano mettere in pratica quel poco che il padre ha insegnato loro, proprio quando hanno
bisogno di trasportarne il pesante cadavere fino allimbarcazione, ancorata sulla
piaggia. Predispongono unimprovvisata barella con rami e foglie da situare sotto il
suo corpo, per farlo scivolare meglio lungo il percorso, come aveva fatto ladulto
per liberare una ruota dellauto impantanata nel fango; imparano ad azionare il
motorino della motobarca che si arresta di colpo, quasi al termine del viaggio di ritorno
(intanto la didascalia scopre che è iniziato il sabato), facendo sobbalzare il cadavere e
anche lo spettatore, sorpreso da questimprovviso scrollone visivo e sonoro.
Sfiniti arrivano sulla terraferma, scaricano i bagagli e si avviano verso
lautomobile (abbiamo già avuto modo di scoprire che il ragazzo più grande sa stare
al volante, nonostante la sua giovane età), mentre la barca, arenata malamente, se ne va
al largo con il suo carico umano, per inabissarsi allimprovviso e così
congiungersi, circolarmente, alla scena sottomarina vista allinizio.
Andrey e Ivan si accorgono di quella deriva, corrono verso la riva per contemplare il
veloce annegarsi del genitore, insieme ai segreti custoditi nella cassetta da lui trovata
e poi nascosta nella barca... Ununica parola, urlata in quel silenzio, non per
obbedire alle richieste di qualcuno, esce allunisono e spontaneamente dalle loro
bocche: "Papà ... papà... papà...".
Esce di scena il padre reale, entra nella testa dello spettatore quello immaginario,
fittizio, letterario e cinematografico. Ma questa è unaltra storia, che non
interessa far sapere al regista.
Una giovane lettrice, Simona da Benevento, mi ha fatto pervenire osservazioni interessanti rispetto alle fotografie utilizzate nel film: "Mi permetto di farle un piccolo appunto, che sicuramente non è più di una distrazione... la foto del padre che vediamo alla fine (dopo una sequenza di una bellezza commovente) non è la stessa che i ragazzi avevano trovato in macchina. Nella foto dell'auto infatti, ancora una volta, il padre non compare, il che se ci pensa, fa riflettere ancora una volta sulla sua assenza, ma soprattutto sul fatto che il padre ha conservato, delle due (anzi delle tre) quella dove lui non c'era, per portare durante tutti quegli anni con sé il ricordo di un mondo altro, dove lui non è presente, ma che comunque esiste e forse aspetta qualcosa da lui, o lui stesso, o forse al quale lui vuole dare qualcosa, pur non riuscendoci, come si è visto...l'ultima foto, invece, è una terza, ultima della serie, nella quale compare solo Ivan, il più piccolo, e non è un caso, poiché é stato lui il vero antagonista della figura paterna nel film, il vero annullatore di quella presenza, colui che per essere riscattato, per crescere, causa, indirettamente, la morte del padre... Quella foto finale rende, secondo me, il rapporto ancora più tragico, non trova?
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