«La mia casa è Hogwards» dice Harry Potter al momento di lasciare le angoscianti villette tutte uguali dove vivono, in tinelli grigi e senza magia, quegli ottusi e perbenisti babbani dei suoi zii: Hogwards, incantato castello-scuola da fiaba gotica, dove piccoli maghi crescono combattendo l'incarnazione del Male a colpi di intelligenti intuizioni e incantesimi; rifugio rassicurante nella complessità della vita di oggi, dove, semplificando la lotta tra il Bene e il Male, i cattivi sono davvero e solo cattivi, mentre i buoni sono buoni, risolvono i problemi e vincono.
Harry e i suoi amici sono cresciuti e affrontano i problemi legati alla difficile età della adolescenza (amori, tradimenti, ingiustizie), rito di ingresso alle regole della vita adulta.
Pur con l'ironia della figura del nuovo fatuo, vanitoso, impenitente seduttore Gilderoy Allock, alias Kenneth Branagh, docente di difesa contro la arti oscure, il clima è più cupo, dark che nell'episodio precedente: il Male, rinchiuso nella Camera dei segreti, funebre sito marmoreo, si diffonde per le aule e attenta alla vita degli studenti, pietrificando gatte e bambine.
Molte le new entry: oltre a Kenneth Branagh, Shirley Henderson, alias Madama Chips, Sally Mortemor, alias Madama Pince, ma soprattutto Jason Isaacs, alias Lucius Malfoy, il più bravo, lunghi capelli platino, gelido teorico della razza pura dei maghi non contaminati da sangue babbano.
Questo secondo episodio, l'ultimo diretto da Chris Columbus, specializzato in bambini che perdono gli aerei e che cede il testimone ad Alfonso Cuaròn, è addobbato di eccezionali effetti speciali, come ci si aspetta da un film americano, ma stupisce con un'anima europea: Merlino, la Fenice, il basilisco, echi celtici, citazioni da Hitchcock (Harry, come Cary Grant sul monte Rushmore in North by Northwest, si arrampica su un monte di facce scolpite) e un finale spadaccino che sembra richiamare la Bella addormentata nel bosco.
Cristina Gerbidillo
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