Dopo aver realizzato tanti documentari che affondano le radici nel sociale, denunciando realtà difficili, aspre problematiche, Alina Marazzi dimentica il mondo che la circonda e ritorna al passato, facendo il film della sua vita, o meglio il film della vita di sua madre, Liseli. Una decisione coraggiosa, matura, che sembra indicarci un faticoso percorso individuale di accettazione e al tempo stesso di riscatto.
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Liseli si è tolta la vita nel 1972 quando Alina aveva 7 anni, ma molte immagini di lei sono fissate per sempre nei film di famiglia girati dal nonno, Ulrico Hoepli, in bianco e nero e a colori. Alina li ritrova, riporta tutto alla luce, li monta con abilità e con passione, presta alla madre la "sua" voce , la fa rivivere, e consegna con grande amore e audacia la sua vicenda umana agli spettatori.
Prima al Festival di Locarno poi al Torino Film Festival, dove il suo lavoro è accolto con molto calore e ottiene il premio per il miglior documentario, e infine al festival dei Popoli di Firenze, dove ottiene una menzione speciale (il premio è andato a Guido Chiesa). E Alina spera che il suo, come altri documentari, possano andare nelle sale e trovare altri spettatori. Ancora il desiderio di una condivisione ampia delle sue vicende personali, dei suoi ricordi, risolti, sublimati in una creazione artistica
Ci troviamo fin dalle prime sequenze all'interno di una famiglia dell'alta borghesia lombarda con origini in un paese della Svizzera. Matrimoni eleganti , feste, viaggi straordinari, vacanze allegre al mare e in montagna, prati, giochi di bimbi. E nel raccontare le vicende private di questa famiglia lo schermo si riempie di bellezza. Soprattutto Liseli è molto bella, quando è ancora ragazza, quando si fidanza e quando si sposa con Antonio; quando diventa mamma di Martino e di Alina e quando coi bimbi piccoli va a vivere negli Stati Uniti, si intuisce per seguire il marito nel suo lavoro. Tutta questa parte del film è "anche" ricca documentazione antropologica di un ambiente sociale, attraverso quei riti famigliari solitamente segnati dalla felicità.
Poi qualcosa, che già era preannunciato dalla voce narrante Liseli/Alina si rompe, e la malattia ha il sopravvento. Ora Liseli è ricoverata in cliniche per malattie nervose, i referti parlano di sindrome depressiva, non vediamo più il suo bel viso, ma ascoltiamo le parole intense e strazianti che scrive ai figli, i suoi diari. E poi con lievità, senza retorica, Alina ci conduce alla fine della storia, al mistero della morte.
Ma come sappiamo Alina con questo film compie il miracolo e dà una nuova vita a Liseli, che le sarà di nuovo accanto. Madre e figlia ormai si confondono, nello stesso atto creativo che le lega.
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