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Bloodwork - Debito di sangue
Anno: 2002
Regista: Clint Eastwood;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 05-09-2002


Blood Work 1

Visto a Venezia 2002

Blood Work - Debito di sangue
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Brian Helgeland
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox
Interpreti: Clint Eastwood (Terry McCaleb), Jeff Daniels (Buddy Noone), Wanda De Jesus (Graciella Rivers), Anjelica Huston (dottoressa Bonnie Fox), Tina Lifford (Jaye Winston), Paul Rodriguez (detective Ronaldo Arrango)
Produzione: Malpaso
Origine: USA, 2002, 110 min., 35 mm
Sezione Fuori Concorso

Un caso di omicidio è risolvibile attraverso piccoli particolari. Dettagli sfuggenti che devono esser colti nello spazio del visibile. Ogni pezzo è un'immagine che si maschera, inganna attraverso un'apparenza comune. Blood Work è davvero una ricostruzione che passa attraverso il recupero di frammenti. Terry McCaleb non deve risolvere il rebus per avvicinarsi all'assassino, ma rivedere se stesso, tornare sul suo corpo e sulla sua possibilità di durare nel tempo. Potrebbe essere una sorta di immaginario sogno o incubo dello stesso Clint Eastwood. Sogno ed incubo impossibile o perlomeno improbabile come abbiamo già visto in Space Cowboys. Il ritorno all'attività, al prima, nonostante tutti i segni di corruzione del tempo. Blood Work segna una strana, ancora più ambigua forse, deriva del sogno di eternità. Se in Space Cowboys Eastwood era solo uno dei personaggi che avevano l'opportunità di ritornare, per un espediente stupido della sceneggiatura, qui una parte del caso, un pezzo vitale come il cuore è davvero la pompa sanguigna di tutta la storia. Come in un gorgo che trascina sempre verso il centro, così il racconto parte da quella cicatrice che custodisce il segreto delle vicende future. Terry McCaleb è anche il vecchio Callaghan (notare l'assonanza dei due nomi), che torna con la pistola in mano per sparare all'impazzata contro i criminali. Altra ossessione eastwoodiana: la percezione dell'assassino. Si trova sempre vicinissimo, nei paraggi del luogo del delitto ed è possibile scorgerlo se si aguzza la vista: una scarpa da tennis, o dei baffi e un cappello vistosi o delle maniere rudi. Non solo la vista, ma perfino il contatto diretto, che si concreta definitivamente nella seconda parte del film. La caccia all'omicida che uccide a sangue freddo le sue vittime è un rapporto egoistico, privilegiato. Tutta l'azione criminale è messa in scena solo per McCaleb, le azioni di questo criminale soprannominato codice Killer sono tutte per il suo cacciatore, le scritte per incitare l'investigazione. L'universo egocentrico di Eastwood insomma non smette di perpetuarsi, ma nel suo corpo c'è anche pornograficamente tutta la cedevolezza di un uomo anziano, il cui cuore è malato, le cui rughe aumentano sempre più, un vecchio che ostinatamente non rinuncia alla parte di protagonista dell'azione, attraverso il suo intervento d'esperienza nello spazio visibile, laddove supera i colleghi giovani nel riconoscere ogni minimo segno e trarre dalle immagini registrate dalle videocamere il segreto di ogni evento, anzi dello spazio tempo, visto che sarà proprio un'ambiguità del tempo a spingerlo verso la soluzione del caso.

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