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El Bola
Anno: 2000
Regista: Achero Mañas;
Autore Recensione: paola t.
Provenienza: Spagna;
Data inserimento nel database: 25-08-2002


El Bola

EL BOLA

Regia di Achero Mañas

European Film Awards Premio Fassbinder Miglior Regista Emergente
4 Premi Goya

El Bola (Il Biglia), ovvero come trasformare una biglia in un tappo di bottiglia per liberare l'adolescenza da un inferno familiare ...
L'idea del film, riassunta in poche parole, trova la sua forza espressiva e metaforica proprio nella sequenza finale, dove "la biglia" di Pablo prende il suo posto lungo la traversina dei binari ferroviari, e, appiattendosi nell'urto contro le ruote motrici, dimostra che è possibile riscattarsi da una sorte avversa e ribellarsi contro la violenza dei padri, che si credono padroni della vita dei propri figli.


Si può seguire la trama del film di Mañas proprio accompagnando il percorso nomadico di questo cuscinetto a sfera: stretto in mano per poterlo accarezzare, finisce sempre per roteare nel palmo del suo proprietario ogni qualvolta l'esistenza si fa dura come nelle mani di Bogey-Queeg in The Caine Mutiny, quasi fosse capace di anticipare la furia aggressiva del padre, che invece mostra nei confronti della sfera d'acciaio un odio irragionevole; assume il valore di un portafortuna, a cui affidare la speranza di essere accettati per quello che si è, quando finalmente si riesce ad assaporare il gusto dell'adolescenza e a scoprire il significato autentico della solidarietà; diventa una nicchia, nella quale rifugiarsi nei momenti di solitudine, o un semplice passatempo, per seguire con sguardo ingenuo e incuriosito le peripezie del suo movimento regolare. La biglia rotola, ma non si rompe e non arresta la sua corsa verso l'ignoto: solo quando muterà la propria forma, smarrendo la natura sferica, finirà per perdere il valore d'uso, conservando però la valenza simbolica della trasformazione avvenuta; proprio come accade a Pablo, soprannominato "il biglia", il ragazzino madrileno che potrebbe essere uscito da una delle opere sull'infanzia di Truffaut, a cui la sorte assegna un'esistenza simile a quella del giovane del film L'argent de poche, con il quale condivide anche le cicatrici che nasconde sulla schiena, testimonianze visibili delle cinghiate ricevute all'interno delle pareti domestiche.
Questa biglia diventa allora la pars pro toto di quello che potrebbe essere il destino di Pablo: finire appiattito sotto un treno per sfidare in gioco i coetanei in una pericolosa gara di riflessi, che il gruppo giudica come una doverosa prova di coraggio da sostenere se si vuole dimostrare di non essere fifoni e vigliacchi, oppure finire appiattito sotto i calci, le percosse e i pugni di un padre incattivito, vittima anch'esso di una disgrazia subita, la morte del figlio maggiore in un incidente stradale, e proprio per questo reo e ancora più colpevole dei suoi gesti efferati.

Nel corso del film e prima del finale liberatorio, Pablo molla la biglia in un'unica occasione, quando le medicazioni prestate in ospedale alle percosse subite provocano nel corpo stremato un dolore indicibile: solo allora la sfera d'acciaio cade sul pavimento con un rumore sinistro, rotola, caracollandosi ai piedi del padre del suo amico Alfredo, un genitore alternativo, artefice di tatuaggi, che trasformano l'epidermide in moderne opere d'arte. Pablo non ha bisogno di ricorrere al tatuaggio, il suo fisico conserva le tracce tangibili dei segni lasciati dalla furia paterna, ma, quando decide di ribellarsi, allora impara a chiedere aiuto, rivolgendosi all'unico amico, la cui famiglia si rivela in grado di fronteggiare l'emergenza.

Il padre di Alfredo risulta spesso troppo perfetto nel suo ruolo di genitore comprensivo per risultare credibile in toto. Per fortuna anche il suo carisma vacilla nell'intuire i piccoli e i grandi drammi adolescenziali, quando viene messo alla prova in uno scontro con il figlio, a cui sa rispondere ricorrendo dapprima ad un ceffone, poi, pentitosene amaramente, si industria per ripristinare la complicità precedente, risolvendosi infine in un atto di protezione nei confronti del ragazzino malmenato. Non lo riconsegnerà, come promesso, al padre, perchè capisce che il benessere di un bambino è un bene prezioso da salvaguardare, anche a costo di assumersi responsabilità pesanti e sgradevoli. Durante tutta la durata della ricerca del "biglia", lungo i tragitti madrileni frequentati dai ragazzini della banda, il padre di Pablo, inquadrato mogio come un "cane bastonato", incapace di guardare negli occhi i salvatori del figlio (proprio lui che lo rimproverava, urlandogli "Guardami in faccia, quando mi parli soprattutto in mezzo alla gente!"), non sembra affatto aver perso la stoffa del tiranno: non implora scuse, non si redime, condannato in eterno al suo ruolo di castigatore di colpe inesistenti.

Il film mostra come l'amicizia tra due ragazzini possa diventare un antidoto efficace per aiutare il più debole della coppia a denunciare una condizione di vita familiare non accettabile, al limite della sopportazione fisica e morale: il sottile filo di solidarietà che si instaura tra i due giovani amici non viene svelato in maniera retorica, bensì recuperato attraverso timidi tentativi di mantenere in vita quel contatto prezioso, nonostante le difficoltà e gli ostacoli d'incontrarsi in maniera serena.
La sequenza al luna-park durante una fuga clandestina evidenzia la voglia naturale di divertirsi che provano i giovani: l'ebbrezza della giostra scioglie il riserbo di Pablo, che inizia a fidarsi dell'amico, al quale rivela la sua paura di finire sotterrato in un loculo come il fratello.

La vita del "biglia" non si appiattisce come la pallina d'acciaio che gli ha tenuto compagnia, perché nel finale trova il coraggio di denunciare il padre con lo sguardo dritto in macchina, determinato e senza incrinature, tracciandone un ritratto ignobile soltanto elencando, con estrema freddezza e disincanto, una serie di episodi subiti nel corso di quella breve esistenza in comune. Rinchiuso in un armadio, costretto a bere la propria urina, preso a cinghiate e a calci in tutto il corpo, segregato in casa, obbligato a lavorare come garzone in un negozio di ferramenta, etichettato con i nomignoli più squallidi e perversi, il ragazzino non tradisce la fiducia familiare, il senso di appartenenza alla famiglia, la genitorialità smarrita, ma, quando la biglia gli sfugge di mano e rotola secca per terra accanto al suo letto d'ospedale, finalmente apre gli occhi, si slega dal senso di colpa di essere sopravvissuto al posto del fratello sfortunato, impara a reagire e finalmente si ribella.
Di forte impatto emotivo per il pathos ricercato in alcune scene, come tutti i film che espongono minori alla violenza degli adulti, il pregio di quest'opera consiste nella sobrietà di una narrazione credibile e verosimile, non scevra di slittamenti nel banale, ma quotidiana, come la lezione che cerca di impartire ai giovani: "Non ammazzatevi prima del tempo, non ne vale la pena".