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A HOUSE BUILT ON WATER
Anno: 2002
Regista: Bahman Farmanara;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Iran;
Data inserimento nel database: 17-07-2002


A HOUSE BUILT ON WATER

A house built on water
Regia: Bahman Farmanara
Soggetto e Sceneggiatura: Bahman Farmanara
Fotografia: Mahmoud Kalari
Montaggio: Abbas Ganjavi
Musiche: Ahmad Pezhman
Interpreti: Reza Kianian, Hedyeh Tehrani, Ezzatollah Entezami, Jamshid Mashayekhi, Bita Farrahi, Behnaz Jafari, Maryam Bubani, Ali Bokayian, Shabnan Toluie, Hossein Kasbian, Vali Shirandami
Produzione: Bahman Farmanara
Origine: Iran, 2002, 107’, v.o. farsi, 35 mm
visto al Taormina FilmFest 2002

È il film che più ci ha impressionato per la sua ricerca spirituale, legata alla apparizione sistematica di simboli, ma anche per il suo radicale pessimismo nei confronti della vita terrena tanto fragile quanto una casa costruita sull'acqua come suggerisce il titolo. Le immagini di trascendenza rivelano il desiderio di vedere oltre la triste contingenza delle vicende quotidiane. In effetti il film descrive proprio lo sviluppo dolente di tali sentimenti di angoscia del protagonista. Un dottore ginecologo, che vaga da una parte all'altra, ma come se già sapesse di esser sottoposto ad una via crucis incessante. Ogni momento si traduce in fitta al cuore, di fronte ad una paziente dalle precarie condizioni di salute (le manca il calcio) di nuovo in cinta, s'indigna furiosamente anche con il marito e rifiuta fermamente di dare assistenza. Con il padre "rinchiuso" in un ospizio il dialogo sembra solo un recriminare sul passato della famiglia: le amanti che hanno pregiudicato i matrimoni, i fratelli tutti all'estero ed anche il figlio che vive in America, che si appresta a tornare, quasi per infierire, con i suoi problemi di droga, sulle condizioni psicologiche del dottore. La borghesia che ha tutto, i soldi per non vedere mai la miseria, ma senza alcun punto di riferimento, come se la vita fosse comunque una dolorosa tortura, una grottesca umiliazione dell'essere umano, ricco o povero che sia. I segni che compaiono in questo percorso, dopo l'angelo investito con l'auto, che nella nebbia fitta non può che avanzare a tentoni, irresponsabilmente, perché il principio della responsabilità appare legato ad un gesto minimo, inavvertibile (il dottore è anche responsabile dell'aborto dell'amante, la sua segretaria, che le ha causato l'infertilità). Irresponsabile o forse scarsamente responsabile, perché non si può sempre valutare ogni gesto come causa di tutti gli effetti possibili, come il gesto di indignazione per la nuova gravidanza che causerà la morte della paziente a cui aveva rifiutato assistenza, lasciandoci l’ultima dolorosa immagine della donna che si allontana dal suo studio con lo sguardo intenso e cupo di chi aveva perso ogni speranza di fronte all'espressione di negazione. Alcuni colorati gomitoli di lana appaiono improvvisamente in ogni luogo ed una ignota vecchietta lavora a maglia con decine di gomitoli, probabilmente intreccia i fili di tutti i destini. L'epilogo è davvero fulminante: la stasi tormentosa del racconto sembra pervenire all'ultimo evento apoteosi del Nulla. La rete di ragno che cattura l'uomo e lo finisce, dentro la sua casa, con pugnalate che provengono da ogni direzione e il sangue che scorre a fiotti, ed infine il Paradiso con l'angelo bambino (il bambino che sa il Corano a memoria), entrambi sono stesi su un tappeto in un giardino fiorito Solo un'immagine brevissima di serenità, che proviene tuttavia da un altro mondo.



Conferenza stampa con il regista Bahman Farmanara e gli attori Reza Kianian e Hedyeh Tehrani

Ci ha colpito la fantasia ma anche ci ha sorpreso il finale del film, sull'angelo, una sequenza difficile...
Bahman Farmanara: Credo che la fine del film che per pura coincidenza è uscito dal periodo di censura si riferisca a persone che credono e cercano di convincere gli altri di esserlo, io ero musulmano trent'otto anni prima della rivoluzione; i versi si riferiscono alla finzione di credere e di far credere e tutto questo a causa del supporto della religione, anche gli atti deplorevoli sono sostenuti dalla religione. Quando era ragazzino e andavo alle lezioni del Corano stavo male, il bambino è lo stesso angelo della fine del film e l'innocenza che è nel credo religioso.

Martin Scorsese ritiene che il cinema iraniano sia il più vitale al mondo, l i ritiene che la capacità dei cineasti iraniani dipenda dalle condizioni sociali politiche e quindi nel parlare non direttamente ma attraverso la poesia e la metafora?
Bahman Farmanara: Sì, ho sempre citato una frase di Borges: “la censura è la madre di tutte le metafore”. Quando è necessario farsi strada di fronte a tante regole bisogna inventare artifizi per esprimere noi stessi. I nostri film non sono spettacolari, non ci preoccupiamo del botteghino, le metafore sono comprese benissimo dagli iraniani.