NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Joy Ride - Radio Killer
Anno: 2001
Regista: John Dahl;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 19-06-2002


RADIO KILLER

Joy Ride - Radio Killer
Regia: John Dahl
Sceneggiatura: Clay Tarver, J. J. Abrams
Fotografia: Jeffrey Jur
Montaggio: Eric L. Beason, Scott Chestnut, Todd E. Miller, Glen Scantlebury
Musica: Marco Beltrami
Produzione: J. J. Abrams, Chris Moore - New Regency/Bad Robot/Liveplanet production
Interpreti: Steve Zahn (Fuller Thomas), Paul Walker (Lewis Thomas), Leelee Sobieski (Venna), Jessica Bowman (Charlotte), Stuart Stone (Danny)
Origine: Stati uniti, 96 min.

Per John Dahl l'immagine cinematografica è innanzitutto una questione di desiderio (o di pericolosa seduzione, come suggeriva l'indimenticabile L'ultima seduzione con Linda Fiorentino). Un desiderio prorompente, che va incontro alla sua stessa frustrazione, dalla quale poi derivano serie di deviazioni. Cosicché il racconto si snoda proprio attraverso imprevedibili cambiamenti di rotta. Un primo ribaltamento lo abbiamo subito - sebbene il titolo ci indichi chiaramente il sentimento prevalente del film e le sue tematiche - quando il protagonista Lewis parla a telefono con l'amica Venna, la quale si manifesta disponibile anche perché si è lasciata con il suo ragazzo. È chiaro che il viaggio verso la ragazza fa crescere questo desiderio e al contempo lo frustra, quando il percorso incomincia a manifestarsi inesorabilmente "deviato". Prima il fratello da raggiungere in carcere per ottenerne il rilascio su cauzione, poi il vero evento turbante del film: lo stillicidio dello psicodramma per mezzo di una voce metafisica che sembra il ritorno stesso del desiderio dei due giovani (con frasi molto interessanti tipo: "vogliono scopare e lo chiamano chattare"). Sono essi stessi ad eccitare l'"interruttore" psicologico della voglia sessuale, innescano un pericoloso meccanismo che, se bloccato, procede verso la deflagrazione attraverso quella scorreria di violenza che è il raptus stesso dell'istinto bestiale che deve essere soddisfatto. Una fantomatica "caramellina", bionda attira il pensiero concupiscente di un camionista "chiodo arrugginito" che materializza il pensiero in una specie di Christine macchina infernale, o meglio Tir infernale.
Dahl ottiene certamente il massimo da questo concreto fantasma già attivato da altri cineasti, lo Spielberg di Duel, ma anche Convoy di Peckinpah. Ma Dahl è anche capace di attivare l'immaginario del road movie, e nondimeno è vicinissimo ad Hitchcock e alle iconografie classiche dei motel. Lo spazio e i luoghi diventano così i veri agenti perturbanti del film. Un inglobante che funziona sempre contro ogni elemento inverosimile della storia. Eppure per Dahl la materia realmente viva del film rimane quella sessuale. Non a caso quando i ragazzi si trovano in un pub Venna è improvvisamente importunata dalle avances brutali di alcuni clienti come se gli impulsi sesuali fossero sempre in agguato e pronti ad esplodere. E lo stratagemma per tirarsi d'impaccio è forse non casualmente quello di fingere, Fuller tira fuori a forza Venna chiamandola puttana.
Uno dei procedimenti più interessanti del road movie è sicuramente quello di fuga spirituale dalla realtà, certo non basterebbero le innumerevoli citazioni ad altre opere più o meno recenti, non solo Qualcosa di travolgente di Demme, ma anche il Viaggio verso il sole di Cimino e naturalmente Thelma & Louise di Ridley Scott. La dimensione di deriva in questo caso è prevalente e sottolineata da Venna, la quale ad un certo punto, sdraiata comodamente nel letto di un motel afferma che se qualcuno in quel momento li volesse cercare certo non saprebbe dove trovarli. È come se lo spazio del territorio si amplificasse fino a determinare la dispersione dell'individuo. Lo spazio aperto si contrappone così al microcosmo dell'individuo. ma dall'altra parte suggestivamente è proprio in ogni punto di questo spazio, falsamente aperto all'infinito dunque, che può manifestarsi angosciosamente il medesimo fantasma di un killer. Forse uno psyco killer piuttosto che un radio killer, ma a ben pensarci, giacché di onde galleggianti nell'etere, invisibili, si tratta, e dal momento che l'assassino è praticamente invisibile, la dimensione solo psicologica è sicuramente la più attendibile. Così la storia è anche un evento di percezione, un sintonizzarsi vicinissimo ai propri desideri che si trasformano paurosamente in angosce profonde, oppure nella cautela, vale a dire, non sintonizzarsi in prossimità di questi sentimenti. Il finale, in maniera molto suggestiva ed ambigua, ci dice che non è possibile. Ché la dimensione psicologica forma lo spazio in cui si muovono i corpi, determinandone gli scontri o gli incontri in un tempo perpetuo.