NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Hijos - Figli
Anno: 2001
Regista: Marco Bechis;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 04-02-2002


Figli,

Hijos - Figli

CAST TECNICO ARTISTICO:

Regia: Marco Bechis
Sceneggiatura: Marco Bechis, Lara Fredmer
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Jacopo Quadri
Musica: Jacques Lederlin, Daniel Buira
Prodotto da: Vittorio Cecchi Gori, Amedeo Pagani
Distribuzione: Medusa
Durata: 100'

PERSONAGGI ED INTERPRETI:
Javier: Carlos Echevarria
Rosa: Julia Sarano
Victoria: Stefania Sandrelli
Raul: Enrique Pineyro

Figli è la generazione successiva, che segue, il testimone è dato, fin dalla breve sequenza iniziale che ci riporta al 1977 e poi, subito dopo, ai nostri giorni; è la generazione che non sa, perché soprattutto non può sapere e questo non conoscere non dipende da sé, ma dal mondo che è stato costruito da chi ha vissuto quegli eventi, come se ciascuna parte, desaparecidos e vittime da una parte e criminali ed assassini dall'altra fossero ancora custodi di una visione del mondo e quindi anche i tutori delle immagini particolari. Alla generazione di Xavier tocca il percorso osceno, osceno nel senso etimologico: ob sceno, vale a dire fuori la scena (consapevole di quella scena), eppure in modo inquietante anche dentro: a contatto con una delle macchine del terrore, l'umanità spregevole, incantatamente spregevole, laddove si paventa sempre la sua concreta, inquietante presenza dietro ogni superficie, dietro ogni facciata visibile. Lo statuto borghese delle immagini certamente è esemplare come dimensione abietta della coscienza.
Proviamo allora a leggere questo orrore lasciandolo scorrere sulla superficie (delle immagini) Come sembra aver intuito felicemente Bechis.
Il film è insomma soltanto un gioco di percezione. Un gioco sadico nei confronti dello spettatore che deve subirle, immedesimandosi nel punto di vista del protagonista.
In una falsa soggettiva mirabilmente simbolica, che si prolunga verso il ciglio di una banchina sul mare, Bechis mostra lo scacco definitivo di un punto di vista, che si rivela proprio alla fine, lì sul ciglio della banchina, prima - e ancora - del vuoto (altro precipizio, baratro sempre possibile)
Falsa soggettiva, ovvero erronea sensazione del mondo che ci circonda. E per il protagonista significa abbandonare il mondo fallace in cui è cresciuto, risvegliarsi altrove, vedere per la prima volta in profondità quelle stesse superfici (già orrore, ma un orrore forse troppo sottile, quasi invisibile per Xavier).
La tesi di Bechis è chiarissima.
Non c'è orrore che possa esser celato, non c'è orrore che non si riveli attraverso la più esigua apparenza superficiale. Questione di occhi allora, di sensibilità, banalmente di segnali Che non potevano sfuggirci, che sono stati visti e adesso si sommano forse per un effetto deflagrante.
Superficie del padre Raul che "gioca" col cane
Superficie del padre Raul che rimprovera il figlio segregandolo nel bagno
Superficie del lancio dall'aereo (la più angosciante e terribile: come può Raul lasciar fare al figlio, gettarsi da diecimila metri, quello che faceva con le migliaia di vittime?)
Superficie dello scontro semicivile tra Raul e Rosa (in particolare Raul pronuncia delle minacce)
Infine, la superficie del discorso di Raul che si giustifica con Xavier per "quello che hanno fatto". Non è curioso che la scena si svolga su una barca adagiata sulla superficie di un lago?
Già su queste quattro "superfici" si può ampiamente discutere.
Sono immagini-luoghi mentali, immagini di retoriche, se vogliamo anche molto banali nella loro immediatezza, che è confermata da dialoghi eloquenti. Ma allo stesso tempo proprio perché sono l'asse principale del film, intendo la sua risorsa espressiva, ne consegue un effetto di focalizzazione sorprendente.
Una nausea nei confronti dell'immagine superficie mi sembra il miglior risultato del film.
La stessa nausea di Xavier di fronte alla casa dei "genitori". Luoghi estranei, improvvisamente, luoghi contenitori di un senso che fa rabbrividire. Luoghi in cui il vuoto - l'assenza di affetto, era già un elemento molto evidente - è tangibile. È un vuoto perpetuo e spaventoso, uno spazio che separa continuamente tutto e tutti: vediamo a questo proprosito il modo in cui Bechis filma i due genitori, ansiosi per il "figlio". Separati dentro la stanza d'albergo, quasi in split screen. Lei visibilmente agitata e nervosa, lui che mantiene freddamente la calma, come se fosse abituato a tutto o già si aspettasse una reazione del "figlio" che è pronto ad affrontare "a suo modo". Nausea a bordo dell'aereo, Xavier non riesce a lanciarsi. 
Se poi consideriamo che la storia dei protagonisti vive dentro questo insopportabile inganno, dentro la trappola, senza sapere di esserlo. Eppure Bechis lancia qualche segnale opposto, sul quale l'interpretazione cadrebbe in imbarazzo. Cosa significa, ad esempio, l'ostinazione di Xavier ad aprire il paracadute sempre più in basso? È un segnale automatico al padre, che rimane col cuore di ghiaccio*, ed è un segno automatico di consapevolezza inconscia di Xavier.
Torniamo ancora alla percezione, alla sensazione nel senso estetico. Si conosce attraverso un pathos Che a poco a poco diventa logos, vale a dire discorso, l'impressione diventa segnale riconoscibile, e poi traccia, che equivale a indizio e avvicinamento, alla prospettiva di una tesi che pareva fantastica ed irreale. E tragicamente si mostra semplicemente come dato di fatto. L'esame clinico che poteva essere un dato di fatto, un dato incontrovertibile. Forse qui Bechis non intende ricamare intrecci per una storia che davvero non ci può essere come intreccio. Perché già lo snodo narrativo è superfluo, è invadente, non ci serve davvero per capire tutto quello che c'è da capire.
Qualche critica ottusa ha cercato il dramma dentro la vicenda particolare di Xavier e di Rosa, in un film esuberante di gesti. Figli è anche un film di attori. Lo dimostra il fatto che l'interiorità, che qualcuno ha trovato inespressa, non c'entra niente col film. Almeno a livello di materia filmica, essendo un gioco tutto di superfici. Su queste ultime Bechis ha mosso lo sguardo e costruito anche quella falsa soggettiva (che ci avvertiva dell'erroneità di uno sguardo tradizionale sul mondo mediato da un movimento della mdp).

*Il cuore di ghiaccio (brano da James Hillman "Il codice dell'anima", Adelphi editore) "Verso la fine, nell'ultimo discorso ai suoi Gauleiter, Hitler disse: "Qualunque cosa succederà, il mio cuore rimarrà di ghiaccio". [...] Il tratto psicologico che si accompagna al cuore di ghiaccio è la rigidità, l'incapacità di cedere, di fluire, di abbandonare la presa. Waite riporta testimonianze riguardanti quattro diversi periodi della vita di Hitler, che concordano tutte nel dire che "c'era nella sua natura un che di fermo, di inflessibile, irremovibile, ostinatamente rigido... Adolf non poteva assolutamente cambiare idea né tantomeno cambiare la propria natura". Poco prima della morte a Berlino nel 1945 "quando un ufficiale provò a osservare che forse in certi casi si sarebbe dovuto agire diversamente, Adolf Hitler esclamò in tono esasperato: "Ma non capisce che non posso cambiare!". Tutte le sue abitudini (i vestiti che indossava finché cadevano a pezzi, la ritualità nel lavarsi i denti, la musica e i film che sceglieva, gli orari) erano ripetitive. Quando portava fuori il cane, come faceva tutti i giorni alla stessa ora, gli tirava sempre lo stesso legno esattamente dal medesimo punto e nella medesima direzione."