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A Civil Action
Anno: 1998
Regista: Steven Zaillian;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 10-04-1999


A civil Action

A Civil Action
Di Steven Zaillian
Con John Travolta, Robert Duvall, Kathleen Quinlan

Si può perdere una causa civile se si ha ragione? Si perde soprattutto se si ha ragione. Si perde se l'avvocato si appassiona troppo alla causa, ci crede, si emoziona per il cliente (come un buon medico non può e non deve farsi impressionare dalla vista del sangue). E si perde quando la vita in causa ha valore minimo, quasi vicino allo zero, come è la vita di un bambino.
Queste poche, semplici regole, così vicine al cinismo da far impallidire, ce le snocciola Jan Schlichtmann (John Travolta), avvocato specializzato in quelle cause civili dove sono coinvolti i parenti di vittime morte per incidenti di vario tipo, come può essere un pullman che sbanda sul ghiaccio uccidendo decine di bambini (e il parallelo con "Il dolce domani" di Atom Egoyan tornerà, fortissimo, per tutto il film), o una fabbrica che rovesciando veleni nell'acqua di un paese ha causato la morte per malattia di altre decine di bambini. Ma Jan Schlichtmann commette proprio l'errore di lasciarsi coinvolgere: e trascina con sé colleghi, famiglia, si indebita pur di portare avanti una causa che perderà pur avendo ragione.

Una storia tristemente vera, raccontata in modo magistrale. Funziona tutto, in questo film: la sceneggiatura, perfetta. Gli attori, straordinari. E la regia, indimenticabile, vive di frammenti, di scene da antologia, dove il montaggio incrociato ci disvela particolari e ci fa entrare nel vivo della storia (John Travolta che racconta ai colleghi del suo incontro con il Presidente di una delle fabbriche incriminate, e noi vediamo la scena e contemporaneamente vediamo Travolta che parla coi colleghi, Robert Duvall che si confronta con Travolta in aula e tiene una lezione ai suoi studenti), dove il singolo gesto di un attore ripreso in primissimo piano (Robert Duvall che afferra una penna, John Travolta che scrive su un post-it, Robert Duvall che legge un indirizzo su una busta, John Travolta che guarda da un ponte e capisce, e gli sguardi, quegli occhi che parlano, soprattutto nell'ultima inquadratura, che chiude su un Travolta muto) conta più di mille parole (eppure è anche un film molto parlato questo), dove gli indizi vengono incastonati tra una scena e l'altra quasi per caso (un bicchiere che si rovescia, che bagna il pavimento, e un lago che prende fuoco...). E il tirbunale, l'aula, si vedono assai poco: del resto, anche lì Jan Schlichtmann ci aveva avvertito: quasi nessuna causa civile arriva davvero in aula, è il lavoro dietro le quinte, quello che conta davvero... la giuria, chiosa Duvall, non sceglie se dare o meno ragione all'imputato. Decide quale avvocato è stato migliore, quale avvocato lo ha convinto di più in aula.
Tra parentesi, anche la causa di Ian Holm era persa in partenza: e non è un caso che, neanche lì, in tribunale non ci si arriverà mai.