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Un Amore
Anno: 1999
Regista: G.M.Tavarelli;
Autore Recensione: Alberto Corsani
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 24-10-1999


Un amore è un bel film perché, a differenza di molti film italiani,

Un amore è un bel film perché, a differenza di molti film italiani,

gode di una sceneggiatura che è forte, ma sta al proprio posto; una

sceneggiatura che non invade il campo delle altrui competenze. Invece

molto spesso troviamo sceneggiatori con troppo potere, che magari sono

anche bravi, ma che vincolano troppo il "filmage", che resta così

soffocato. Per di più molte volte in Italia ci si mettono gli attori

troppo celebrati. Ora invece Tavarelli costruisce un film

rischiosissimo, tutto incentrato, come è, sui due protagonisti. Ma

astutamente, in questo andare avanti e indietro nel tempo, fra incontri,

reincontri, innamoramenti e disamori, crisi isteriche e noia, non ha

l’ambizione (o la presunzione) di parlare di questi due giovani (giovani

all’inizio, chiariamo, anche se in Italia si è considerati tali fino a

50 anni: io poi ho gli stessi anni della protagonista, lui non so) come

di due "tipi" rappresentativi di un’intera generazione. No, questi due

sono questi due e basta.

Si amano e poi si detestano, si incontrano per caso e poi riscoprono che

non possono fare a meno uno dell’altro. Intanto, il panorama, appena

tratteggiato (anche qui, molto umile il regista nel non voler dipingere

a tutti i costi lo sfondo sociologico) di una Torino prima

universitaria, poi trafficona, bella soprattutto nelle malinconiche e

nebbiose notti (e infatti è proprio così) accompagna crisi e

controcrisi. C’è un aspetto, sugli altri, che mi pare degno di nota: le

crisi peggiori vengono dopo l’adolescenza, la maturità che dovrebbe

sopraggiungere a un certo punto rovina clamorosamente, e si squaglia

come neve al sole. Anzi, le bizze si fanno più frequenti, gli isterismi

pure. Salvo che un giorno, chissà, le carte si mischino ancora una

volta. Alea e paura delle "rotture" (non delle seccature, voglio dire,

ma delle separazioni, dei traumi): è una caratteristica, credo,

abbastanza ben individuata in questa nostra generazione, anche se, come

si diceva, sembra un’attribuzione dei soli protagonisti.