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Tornando a casa
Anno: 2001
Regista: Vincenzo Marra;
Autore Recensione: Luca Gennari
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 27-10-2001


TORNANDO A CASA

TORNANDO A CASA

Vincenzo Marra

 

"Nella mescolanza di vero e di falso, il vero fa risaltare il falso, il falso impedisce di credere al vero. Un attore che simuli la paura del naufragio, sul ponte di una vera nave colpita da una vera tempesta: non crediamo né all´attore, né alla nave, né alla tempesta" (Robert Bresson, Note sul cinematografo).

Ci sono formule che sembrano avere il potere di provocare una sorta di riflesso condizionato nei critici italiani, facendoli salivare come cani pavloviani: una di queste è con ogni probabilità ´attori presi dalla strada´. Espressione ambigua, foriera di equivoci che nascono da un malinteso di fondo sulla recitazione cinematografica, e che si definisce per contrasto con una concezione del mestiere dell´attore di chiara derivazione teatrale. L´attore al cinema, per farla semplice, altro non è che la materia su cui lavora il regista: tale materia può essere grezza o lavoratissima e può essere utilizzata per esprimere (l´attore di teatro, che interpreta un ruolo) o per nascondere (il modello, l´automa di cui parla Bresson). Veri pescatori non recitano la parte di pescatori, ma sono e i loro volti diventano paesaggi da esplorare con primi piani che cercano di esprimere ciò che in loro sta impresso e inesprimibile.

Gli attori presi dalla strada evocano immediatamente e automaticamente il furore neorealista con cui si abbandonavano i teatri e si scendeva per le strade, girando tra la gente vera e raccontando la realtà del momento. Ma questo appartiene ormai al folclore del neorealismo, a quei codici esteriori che più fortuna hanno avuto nella pubblicistica. La storia del film, che segna l´esordio del giovane Vincenzo Marra, fa il resto: è la storia di quattro pescatori napoletani che si avventurano nelle acque africane, più pescose ma in cui si rischia di essere colpiti dalle pallottole, e che quando tornano a Napoli sono costretti a fare i conti con la camorra; tenteranno di nuovo l´avventura nel Mediterraneo per poter sopravvivere.

Aleggia pesante lo spettro, evocato da tutti, di La terra trema, il ´manifesto´ neorealista girato da Visconti ad Aci Trezza, con veri pescatori siciliani che parlano il dialetto siciliano, ispirandosi al capolavoro verista di Giovanni Verga, I Malavoglia. Ma le affinità sono più esteriori che sostanziali. Del resto era lo stesso film di Visconti a denunciare alcune ambiguità della nozione medesima di neorealismo: l´impatto con la realtà di Aci Trezza passava attraverso la mediazione dell´elegantissima messa in scena del regista e dell´estatica contemplazione dei primi piani dei pescatori. Il neorealismo non ha fissato leggi né tantomeno regole stilistiche, non ha dato luogo ad un´estetica codificata ma ha impartito una fondamentale lezione di etica dell´estetica. Marra è neorealista quando aderisce con forza e passione alla realtà dei suoi personaggi e degli ambienti in cui si muovono, puntando la macchina da presa contro realtà che tendono ad essere ignorate, e soprattutto cercando di conoscere il reale attraverso l´uomo, secondo la lezione più preziosa di Rossellini. Ben presto egli colloca al centro della storia la parabola esistenziale del pescatore più giovane, Franco, che dopo la morte della ragazza che lo aspettava a casa, decide di tagliare tutti i legami col passato liberandosi della propria identità e salpando verso l´ignoto. Una storia che ora guarda non più a Verga e a ´Ntoni, ma al Mattia Pascal di Pirandello.

Il film è tutto centrato sul contrasto tra terra e mare. Il mare, nerissimo, è inizialmente il luogo del pericolo, un luogo in cui si rischia la vita; ma si rivela subito in tutta la sua ambivalenza: è il mare che dà da mangiare e la barca è al contempo "casa e galera" per gente che il mare "ce l´ha nel sangue". Se per tutta la prima parte del film tornare a casa significa tornare a Napoli, sulla terraferma, dai propri cari e dalle proprie famiglie nelle proprie abitazioni, alla fine per Franco tornare a casa significherà tornare al mare. Il mare è l´ignoto e dunque la minaccia, ma anche la possibilità di cambiare e di rigenerarsi, di troncare con il passato e di assumere una nuova identità. "Adieu plancheurs des vaches" è il titolo del film con cui Ioseliani, qualche anno fa, esprimeva tutto il suo filosofico disprezzo per la pesantezza e l´immobilità dei ‘terrestri´, individuando nell´acqua il mezzo attraverso cui liberarsi di condizionamenti e zavorre borghesi. Da luogo di pace, ventre materno e rifugio, la terra diviene il luogo della tragedia, degli omicidi, dei pestaggi e dei ricatti, il luogo della camorra e dei compromessi. Anche il film sembra divenire più pesante e didascalico nel narrare il melodramma privato (la morte della maestrina fidanzata di Franco che non vuole più partire per l´America).

Sarà Franco allora a imbarcarsi ancora una volta, ma questa volta per non tornare più: il mare può dare la morte (il giovane esita sull´orlo della barca con l´intenzione di uccidersi), ma darà la vita, la possibilità di rinascere al mondo per chi vede nel fluire incessante la risorsa più vera del vivere. La rinascita allora non può passare che attraverso la distruzione reale del documento che più di ogni altro ci tiene attaccati alla terra (quello d´identità), la distruzione simbolica della propria immagine (la foto della carta) e la negazione della propria lingua; non può passare che attraverso la ‘realtà´ di chi fa della clandestinità una necessità.