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The sixth sense - Il sesto senso
Anno: 1999
Regista: M. Night Shyamalan;
Autore Recensione: Luca Bandirali
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 08-11-1999


United States, 1999

Ecco un film che non potete farvi raccontare da chi lo ha già visto. Sarebbe un errore madornale: <Il sesto senso> è un racconto del mistero, del soprannaturale, che per singolare paradosso si offre ad una lettura a ritroso, da cominciare con pazienza e memoria (una volta smaltito l’effetto-sorpresa) fuori dalla sala, lontani dal film nel tempo e nello spazio.

Bruce Willis è il dottor Crowe, affermato psichiatra infantile; all’apice della carriera, si vede crollare addosso tutto quanto ha costruito, trovandosi nella necessità di ricominciare da capo, di rimettere a posto le cose del passato per conoscere la pace nel presente. L’incontro che segna questo itinerario esistenziale ha il nome e il volto di un bambino: è il fragile Cole (Haley Joel Osment, che è stato il piccolo Forrest Gump), che va prima compreso, e poi aiutato a convivere coi fantasmi della mente. Le ombre che si presentano allo sguardo del bambino sono proprio i defunti, che egli percepisce in virtù di una dote interiore che ricorderà allo spettatore la "luccicanza", lo "shining" dell’omonimo film di Kubrick.

E’ evidente come <Il sesto senso> disponga di un congegno narrativo ben architettato, da cui discendono scelte di messa in scena e fotografia rigidamente funzionali e strettamente connesse. In uno spazio filmico agito dai vivi come dai morti, il tema della compresenza di corpi reali e corpi immaginati (o "avvertiti") si risolve in un’opzione visuale che contribuisce al disegno generale: vi è un punto di vista dominante, attraverso il quale le presenze reali e irreali possiedono uguale materialità e consistenza. Enti indifferenziati, i vivi e i morti del film sono come le immagini mnemoniche (od oniriche) nei quadri di Gauguin, indistinguibili dalle cose vere prima che un’interpretazione non conferisca loro un preciso statuto. L’interpretazione de <Il sesto senso>, separata dalla visione, permette di ricostruire un testo che, come si è detto, ha delle qualità; certo però che il film, quando non aderisce ciecamente al progetto, indugia lungamente sulle note patetiche, con risultati mediocri. Se si aggiunge il fatto che Bruce Willis, chiamato a sostenere un ruolo complesso ed importante, tradisce le attese con una performance stanca e ripetitiva, si colgono allora le pecche di un’operazione che altro non vuole se non partecipare al nuovo filone del dramma americano: <Al di là dei sogni> e <La città degli angeli>, la paccottiglia New Age, sono i riferimenti principali del giovanissimo regista Night Shyamalan. Dettando un ritmo blando, che vorrebbe essere meditativo (il vizio, se vogliamo, che era di <Vi presento Joe Black>), Shyamalan finisce per assestare l’agognato colpo di scena quando la vicenda ha francamente perso di interesse: cosa che, per quanto si è detto, non può che nuocere ad un film che investe tutto sulla "rilettura" finale.